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“MAI AFD AL GOVERNO”: I CANDIDATI TEDESCHI ORA HANNO PAURA DELLA RIVOLTA DEI LORO ELETTORI

Febbraio 17th, 2025 Riccardo Fucile

MERZ (CDU): “NON MI FACCIO DIRE DAGLI USA CON CHI ALLEARMI”… IL LEADER DEI VERDI ALLA NAZISTELLA WEIDEL: “SEI UNA SERVA DI PUTIN”

Olaf Scholz e Friedrich Merz sono planati ieri sera nello studio dell’emittente privata RTL per il duello elettorale a quattro con Alice Weidel e Robert Habeck direttamente dalla Conferenza di Monaco che sembra aver certificato la fine dell’Occidente.
Eppure, i moderatori dedicano alla politica estera 15 minuti su 120. Il cancelliere, peraltro, è in partenza per Parigi, dove oggi è previsto un vertice importante in cui i principali leader europei cercheranno di capire come reagire alla fuga in avanti di Donald Trump sull’Ucraina.
Scholz chiarisce che «senza di noi la pace non si può fare. Non ci saranno garanzie per la sicurezza senza di noi». Ma alla domanda diretta e insistente al prossimo, probabile cancelliere, Friedrich Merz, se la Germania invierà truppe in Ucraina, il leader conservatore svicola: «La questione non si pone». Falso: è la questione più urgente che dovrà essere chiarita già nelle prossime ore. Ma tant’è.
Merz approfitta del tema cruciale dell’Ucraina per attaccare la leader dell’ultradestra Afd, Alice Weidel: «Lei si rifiuta di dire che la Russia ha cominciato questa guerra». E ricorda che Putin «vuole la Grande Russia. Cioè, pezzi di Polonia, dei Baltici. Punta a territori Nato. Siamo pronti? No». E la colpa, il leader Cdu/Csu, la dà a Scholz, reo di aver speso troppo poco per la difesa e di negare finanziamenti all’Ucraina. Alla fine, l’affondo: «Francamente, che Macron sia il padrone di casa del vertice di lunedì, non corrisponde al ruolo che io immagino per la Germania».
Quando parla Weidel e difende Putin, che si sentirebbe «provocato dall’Occidente» se l’Europa mandasse truppe in Ucraina, quando reclama un ruolo «neutrale» per la Germania, Merz dice una frase importante: «Farò in modo che lei non abbia mai responsabilità di governo».
È una delle grandi questioni che aleggia sul post-voto, se i conservatori cederanno — anche alla luce delle enormi pressioni di Elon Musk e del vicepresidente americano J.D.Vance — e si alleeranno con l’ultradestra. E Merz ripete tre volte «non faremo accordi con l’Afd», anche perché «dobbiamo guardare all’Austria»: lì l’ultradestra Fpoe ha governato per anni «ed è cresciuta».
A margine della Conferenza di Monaco, Merz e Weidel hanno incontrato Vance. E il leader della Cdu/Csu sottolinea «non mi faccio dire da un vicepresidente americano con chi coalizzarmi. Gli ho spiegato che non voglio che il fuoco dietro al cordone sanitario diventi un incendio». Anche Scholz bolla come «inaccettabili» le ingerenze americane.
Ma uno dei momenti più formidabili è quando il leader dei Verdi Robert Habeck ricorda che l’attuale crisi economica è dovuta anche alla guerra in Ucraina e all’impennata di prezzi energetici, Weidel ribatte «no, è la sua svolta energetica», e Habeck «so che lei non ha problemi a buttarsi ai piedi di Putin, ma l’errore è stato prendere energia per anni dalla Russia». E l’Ucraina, le ricorda il leader dei Verdi, «non l’abbiamo invasa noi».
(da agenzie)

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ECCO DOVE FINISCONO I SOLDI EUROPEI DEL PNRR: NEL CESSO. IL CONCORSO E’ DA RIFARE

Febbraio 17th, 2025 Riccardo Fucile

NEL CONCORSO ORDINARIO PNRR PER DOCENTI DI LABORATORIO NELLE SCUOLE SECONDARIE DELLE REGIONI ABRUZZO, EMILIA ROMAGNA, MARCHE, PUGLIA E UMBRIA IL TAR DI ANCONA HA RILEVATO LA VIOLAZIONE DELL’ANONIMATO NELL’ESPLETAMENTO DELLA PROVA PRATICA,.. AI CANDIDATI ERA STATO RICHIESTO DI APPORRE IL PROPRIO NOME E COGNOME SUI FOGLI UTILIZZATI PER LA SOLUZIONE DEI QUESITI

Da rifare il concorso ordinario Pnrr per docenti di laboratorio nelle scuole secondarie delle regioni Abruzzo, Emilia Romagna, Marche, Puglia e Umbria. Lo ha stabilito il Tar di Ancona, accogliendo il ricorso proposto da un gruppo di concorrenti difesi dall’avvocato Gaetano Liberoti.
Il Tribunale amministrativo ha infatti rilevato la violazione dell’anonimato nell’espletamento della prova pratica, in quanto ai candidati era stato richiesto di apporre il proprio nome e cognome sui fogli utilizzati per la soluzione dei quesiti.
Il concorso, bandito a livello nazionale per immettere in ruolo circa 20 mila docenti, è stato strutturato a livello interregionale e le relative procedure sono state gestite, nel caso di specie, dall’Ufficio scolastico regionale delle Marche, che ha nominato la commissione addetta alla valutazione dei candidati.
Nell’elaborare le tipologie di prove, la commissione ha deciso di far svolgere la prova pratica agli aspiranti docenti della classe B022 […] in modalità scritta, nel qual caso, ha rilevato il Tar, non c’era ragione per discostarsi dal rispetto del principio di anonimato.
«Quando una prova pratica viene strutturata in forma scritta – commenta l’avvocato Liperoti – occorre rispettare la regola generale del suo svolgimento in forma anonima, non essendoci alcun valido motivo per cui chi corregge la prova debba conoscere il nome del suo autore, così da mettere a rischio la credibilità e la trasparenza del concorso».
Il Tar ha applicato questo principio giurisprudenziale, rilevando che si trattava di una prova pratica da espletarsi nell’ambito di un tempo massimo di otto ore e consistente nella redazione di una dimostrazione tecnica rivolta a studenti di una classe di un istituto tecnico o professionale, «sicché non è ipotizzabile che l’espletamento della stessa nell’arco delle otto ore concesse potesse avvenire alla presenza della commissione».
In esecuzione della sentenza, il Ministero dell’Istruzione dovrà ora far ripetere la prova pratica a tutti i candidati e, successivamente, ripetere le prove orali e approvare una nuova graduatoria di vincitori, che avrà effetto a partire dal prossimo anno scolastico. Il concorso si svolto nello scorso mese di maggio a Porto Sant’Elpidio.
(da agenzie)

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PALAZZO CHIGI, LA PRIMA BANCA D’AFFARI DEL PAESE. L’ECONOMISTA ALESSANDRO PENATI: “INVECE DI VALORIZZARE I PROPRI INVESTIMENTI, PER POI RICOLLOCARLI SUL MERCATO GUADAGNANDOCI, SEMBRA CAPACE SOLO DI DISTRUGGERE VALORE”

Febbraio 17th, 2025 Riccardo Fucile

IL CASO MPS: “LO STATO POTEVA INCASSARE UN MILIARDO VENDENDO IL SUO 11% SUL MERCATO; INVECE HA BENEDETTO L’INGRESSO DI DELFIN E CALTAGIRONE IN MPS PER POI LANCIARE ASSIEME UN’OPS SU MEDIOBANCA CHE HA FATTO SUBITO CROLLARE IL TITOLO: PER IL TESORO, UNA PERDITA POTENZIALE DI UN MILIARDO”… “CURIOSO CHE IL GOVERNO USI IL GOLDEN POWER CONTRO L’ITALIANA UNICREDIT, PER POI MANTENERE IL CONTROLLO ‘PUBBLICO’ DELLA RETE TIM COI CAPITALI DI TRE FONDI STRANIERI DI PRIVATE EQUITY”

Lo Stato italiano ha una presenza pervasiva nel capitale delle imprese che non ha eguali nel mondo. Vuole il controllo, ma senza avere i capitali.
Nomina i vertici delle società quotate in Borsa pur avendo quote di minoranza, come nei casi di Enel, Eni, Leonardo e tanti altri.
E quando non può sfruttare la quotazione si trasforma in banchiere d’affari per bypassare il mercato e stringere accordi con fondi di private equity (come in Autostrade con Blackstone e Macquarie) e con investitori sovrani (i cinesi di State Grid in Cdp Reti per Snam, Italgas e Terna).
Questo Governo ha impresso un’ulteriore espansione alla presenza pubblica nel mercato, facendo anche un salto di qualità con un uso estensivo quanto arbitrario del Golden Power indirizzando le operazioni a favore di un determinato gruppo: ha blindato il controllo di Tronchetti Provera su Pirelli, lo sta vagliando per UniCredit nell’offerta su Bpm, ha ventilato la minaccia per scoraggiare possibili iniziative di Credit Agricole, come quelle di Iliad e Cvc per Tim.
In questo modo la Borsa diventa ancora più asfittica perché l’attivismo del Governo e una partecipazione pubblica così pervasiva riduce la liquidità e l’attrattiva del mercato in quanto scoraggia gli investitori istituzionali che vedono molte decisioni rilevanti per il controllo prese a Palazzo Chigi piuttosto che dagli azionisti.
Un mercato asfittico è però un costo reale per il Paese: le imprese italiane che volessero raccogliere capitali per crescere o fare acquisizioni e fusioni, preferiscono quotarsi in una Borsa straniera, o fare ricorso al private equity o rimanere a controllo familiare.
Questo Governo sembra avere trasformato Palazzo Chigi in una banca di affari che invece di valorizzare i propri investimenti, per poi ricollocarli sul mercato guadagnandoci sembra capace solo di distruggere valore.
Prendiamo Mps: lo Stato poteva incassare un miliardo vendendo il suo 11 per cento sul mercato, aumentando così anche il flottante; invece ha benedetto l’ingresso di Delfin e Caltagirone in Mps per poi lanciare assieme un’Ops su Mediobanca che ha fatto subito crollare il titolo: per il Tesoro, una perdita potenziale di un miliardo.
Se poi l’offerta andasse in porto, Generali e Mediobanca, due delle poche public company rimaste dove prevalgono gli investitori istituzionali, si ritroverebbero invece con un gruppo di controllo che agisce assieme allo Stato azionista; ma se anche non avesse successo, con questa iniziativa il Governo non migliorerebbe certo la sua reputazione presso gli investitori stranieri, già danneggiata dal Decreto Capitali.
Il grande progetto di Palazzo Chigi Investment Bank (PC Bank) rimane però la creazione della società unica della rete a controllo pubblico; ma senza avere i capitali necessari.
Così, lo Stato ha fatto ricorso al fondo Macquarie per rilevare Enel in OpenFiber; poi a Kkr per comperare assieme al Mef e F2i la rete di Tim in FiberCop, e infine ad Asterion per comprare, assieme al Mef, Sparkle sempre da Tim.
Curioso che il Governo usi il Golden Power contro l’italiana UniCredit, per poi mantenere il controllo “pubblico” della rete coi capitali di tre fondi stranieri di private equity. Chiaramente l’obiettivo di PC Bank sarà quello di fondere le tre società (OpenFiber, FiberCop e Sparkle), diluire la partecipazione dei fondi che tipicamente cercano di liquidare in propri investimenti entro circa sette anni per remunerare i loro manager e investitori, immagino tramite una quotazione in Borsa, e permettere in questo modo allo Stato di arrivare al controllo di un’altra grande azienda
Il problema è che Kkr, come tutti i fondi di private equity, ha un obiettivo di rendimento elevato, ipotizzo intorno circa al 14 per cento (prima della leva): non conosco il business plan, ma lo riterrei difficile da raggiungere in una fusione con OpenFiber che ha 5,5 miliardi di debiti e, da notizie di stampa, ha perso 300 milioni su 550 di fatturato; non una fusione facile da negoziare visto che Macquarie ha gli stessi obiettivi di rendimento e lo Stato è socio di entrambi i fondi.
Eppure, in caso di fusione Kkr si è contrattualmente impegnata a pagare a TIM una maggiorazione di prezzo per la rete (earn-out) di ben 2,5 miliardi, circa 15 per cento in più del valore già pagato a Tim.
La spiegazione più convincente che riesco a trovare è in una nota a margine della presentazione di Tim in cui, illustrando la cessione della rete, si dice che l’earn-out dipenderà anche da “regulatory relief on prices” che tradotto significa tariffe più alte per tutti.
Se poi aggiungiamo che col Pnrr (che è debito pubblico) lo Stato ha dato a queste società oltre 5 miliardi per lo sviluppo di rete e 5G, viene da domandarsi quanto alla fine ci costerà questa rete unica; oltre a immobilizzare altri soldi pubblici solo per esercitare il controllo sull’ennesima partecipazione.
Senza contare che l’arrivo di Starlink di Musk potrebbe portare la connessione veloce a un costo inferiore alla rete, e che presto i satelliti a bassa orbita permetteranno il collegamento veloce direttamente coi cellulari (direct-to-video), riducendo in questo modo il valore della società della rete.
Senza la rete, Tim è di fatto una holding con tre società distinte: la divisione consumatori, i servizi alle imprese e il Brasile. Come tutte le holding Tim vale meno della somma delle parti anche perché la telefonia si fonderà probabilmente con un altro operatore riducendo la concorrenza, come nel resto d’Europa, che migliorerà in questo modo i margini; il Tesoro deve restituire a Tim un miliardo; e ci sono infine i 2,5 miliardi del possibile earn-out.
Naturale che la Borsa abbia festeggiato quando si è diffusa la notizia dell’interesse per Tim di un concorrente come Iliad e di un fondo come Cvc, facendo presagire un possibile break up futuro.
Ci si aspetterebbe che spetti ora gli azionisti privati di Tim decidere del suo futuro, avendo ceduto la rete come voleva il Governo: e invece no, perché la BC Bank ha bloccato ogni potenziale interesse di terzi per Tim ventilando il solito Golden Power, e al posto di vendere il suo residuo 10 per cento per fare cassa, creare flottante e rivitalizzare il titolo in Borsa, ha architettato lo scambio della quota di Cdp in Tim con quella di Poste in Nexi.
Quale sia la logica economica dello scambio non mi è chiara. Ma Golden Power e ingresso di Poste significano che lo Stato intende rimanere in Tim e che ogni riassetto futuro dovrà essere concordato col Governo, rendendo in questo modo il titolo meno attraente per gli investitori.
Lo stesso dicasi per Nexi dove con lo scambio, lo Stato (tramite Cdp), aumenta la sua quota al 18 per cento. L’ingresso dello Stato in Nexi risale a fine 2020 quando conferì Sia, la società di pagamenti a controllo pubblico, per creare un “campione nazionale” nel fintech. Da allora, però, Nexi ha perso quasi 70 per cento del proprio valore, anche a ragione della concentrazione dei ricavi in Italia (60 per cento) dove i consumi ristagnano: per lo Stato significa una perdita potenziale di circa 2,5 miliardi.
Nel tentativo di rilanciare Nexi, i suoi soci privati vorrebbero disfarsi di Sia restituendola a Cdp, ma a un quinto circa del suo valore di conferimento. Perdite su perdite. Cdp naturalmente non esce da questo investimento ma rimarrebbe in Nexi in vista di una possibile fusione con la francese Worldline, immagino con il pretesto di bilanciare la presenza dello Stato francese in quest’ultima.
Non che la presenza dei due Stati sia garanzia di creazione di valore: Stm, il nostro “gioiello” nei semiconduttori, partecipata da Francia e Italia, negli ultimi due anni di boom dei titoli tecnologici, ha perso quasi la metà del suo valore, 70 per cento in meno. Tanto il conto lo paghiamo noi.
(da Editoriale Domani)

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SILVIA SALIS E’ LA CANDIDATA SINDACO DI GENOVA: “ACCETTO CON ORGOGLIO”. I POTERI FORTI LOCALI, BENEFICIATI DALLA CONFRATERNITA TOTI-BUCCI, COMINCIANO A TREMARE

Febbraio 17th, 2025 Riccardo Fucile

VIA LIBERA ANCHE DAL M5S… “IL MIO IMPEGNO INIZIA DA SUBITO, ANDRO’ QUARTIERE PER QUARTIERE, TORNANDO A METTERE AL CENTRO ESIGENZE DEI GENOVESI DA TEMPO INASCOLTATE E OPPORTUNITA’ DA TEMPO LORO NEGATE”

Silvia Salis è la candidata sindaco del centrosinistra. Via libera anche del Movimento Cinque Stelle. “Dopo un lungo confronto il Movimento si è detto pronto a dare il suo sostegno a questa importante sfida, con un programma identitario e con il supporto dell’esperienza e competenza dell’ex parlamentare europea M5S, Tiziana Beghin. Siamo certi che questa sia la migliore risposta alle esigenze di Genova e dei suoi cittadini”.
“Raccolgo con orgoglio e forte senso di responsabilità la richiesta alla candidatura a sindaca di Genova, alla guida di una coalizione progressista, di centrosinistra, ampia e civica. Ringrazio della fiducia sincera che ho raccolto, nella convinzione di poter avere il privilegio di guidare una squadra plurale e forte, mossa dallo stesso comune di spirito di cambiamento – ha detto l’Ansa – Il mio impegno inizierà da subito, quartiere per quartiere, per incontrare le genovesi e i genovesi, tornando a mettere al centro esigenze da tempo inascoltate e opportunità da troppo tempo negate. Con questo spirito accetto la candidatura a sindaca di Genova”.
Il Partito Democratico di Genova con una nota rende ufficiale la scelta facendo trapelare un senso di pace interna come se tutto quello che è successo nelle ultime settimane non avesse lasciato trascichi. “Alla luce dell’esito del comitato politico, il Partito Democratico ha formalizzato a Silvia Salis la richiesta di candidarsi a sindaca di Genova alla guida di una coalizione progressista, larga, plurale e civica”. Silvia Salis, genovese, 39 anni, laureata in Scienze politiche, è dal 2021 vicepresidente vicaria del Coni, dopo una grande esperienza maturata sui campi dell’atletica italiana e internazionale.
“Prima donna ai vertici dell’organismo sportivo nazionale, ha orientato il suo impegno ponendo al centro l’uguaglianza di genere e il contrasto alle disparità territoriali”, ricordano i dem. Già nelle prossime ore sarà convocata l’assemblea metropolitana del partito per gli adempimenti statutari. “Si arriva a questo risultato grazie a coloro che in queste settimane hanno lavorato per l’unità del Partito Democratico e per la più ampia coesione di una nuova coalizione progressista”
(da agenzie)

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GIORGIA BIFRONTE: PARTECIPERÀ AL VERTICE EUROPEO DI PARIGI PER L’UCRAINA MA NON SOPPORTA L’ATTIVISMO DI MACRON

Febbraio 17th, 2025 Riccardo Fucile

LA PREMIER DELLA GARBATELLA, CHE SOGNAVA DI ESSERE IL “PONTE” TRA EUROPA E TRUMP, DIMENTICA CHE LA FRANCIA E’ L’UNICA POTENZA NUCLEARE EUROPEA, PRESENTE NEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU… LA RESISTENZA PER RAGIONI DI ”AGENDA” E IL PATETICO TENTATIVO DI TENERE SULLA CORDA L’ELISEO

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni sarà nel pomeriggio a Parigi per il vertice convocato dal presidente francese Emmanuel Macron sull’Ucraina. Lo comunica Palazzo Chigi aggiornando l’agenda della premier che oggi anticiperà alle 13.30 la partecipazione alla Conferenza dei prefetti e dei questori d’Italia alla Scuola Superiore Amministrazione dell’Interno.
Per lo stesso motivo slitta a mercoledì alle 12 il Consiglio dei ministri, inizialmente convocato per oggi pomeriggio alle 17. Invariato il resto dell’agenda che prevede per domani alle 16 l’incontro a Palazzo Chigi con il Commissario europeo per gli Affari interni e la migrazione, Magnus Brunner e mercoledì la mattina la partecipazione di Meloni alla cerimonia di giuramento dei nuovi giudici della Corte Costituzionale e nel pomeriggio la visita del presidente dello Stato d’Israele, Isaac Herzog.
Non le piace il formato scelto da Emmanuel Macron per il vertice di Parigi. Lamenta l’assenza al tavolo europeo di alcuni attori chiave lungo il confine orientale, ad esempio le capitali baltiche.
«È assurdo che non ci siano». Non gradisce di dover mettere la faccia su un’operazione politica continentale che certifica la frizione con Donald Trump.
Sente Emmanuel Macron, si lamenta. Avrebbe preferito vedersi a Bruxelles, in territorio neutro. Prova anche ad accampare ragioni di agenda e di scarso preavviso per tenere sulla corda l’Eliseo. E lascia aperta l’improbabile opzione di limitarsi a un videocollegamento con il summit, che avrebbe del clamoroso. Giorgia Meloni deciderà all’ultimo minuto, oggi, prima di pranzo. Ma alla fine, in qualche modo, parteciperà.
È strategia studiata, che manda in ansia la Farnesina e certo non rende felice il Colle. Tutto frutto di ragioni politiche e diplomatiche evidenti: la presidente del Consiglio non ha voglia di lasciare al leader francese il timone della reazione europea alla crisi ucraina. Non intende regalare slogan antieuropeisti troppo facili a Matteo Salvini. E preferisce mostrare alla Casa Bianca che punta a giocare da ala destra del blocco continentale.
L’equilibrismo delle ultime ore segnala il dilemma che lacera la premier negli ultimi giorni: non può non stare con l’Unione, ma soffre a mostrarsi delusa dalle mosse del tycoon
Un passo indietro, a ieri pomeriggio. Per alcune ore, Palazzo Chigi spegne letteralmente i radar. Nessuna conferma ufficiale sul viaggio a Parigi. La prima reazione di Meloni, d’altra parte, è assai critica verso Macron.
Secondo la leader, il francese ha sbagliato mossa: invece di attendere i primi passi concreti degli americani, come aveva suggerito l’Italia, ha scelto di accelerare (in realtà, l’esigenza di battere un colpo arrivava praticamente da tutti i leader riuniti a Monaco).
Il primo formato ipotizzato dall’Eliseo – il Weimar plus, quello che assieme a Roma vede allo stesso tavolo Gran Bretagna, Francia, Germania e Polonia – viene considerato dalla presidente del Consiglio un altro errore. Passano alcune ore e diventa chiaro che ci saranno anche i vertici del Consiglio e della Commissione europea, e poi l’Olanda e la Danimarca, ma soprattutto il segretario generale della Nato Mark Rutte.
La premier è costretta a riconsiderare la valutazione iniziale: difficile sfilarsi, se anche l’Alleanza atlantica parteciperà al summit. A quel punto decide di farsi portavoce con Macron del disagio dei baltici, esclusi dal summit: «Non ha senso».
Ma non basta. Le prova tutte, pur di tenersi almeno un passo di lato.
Dilemmi. E nervosismo per quello che deve, nonostante tutto, sostenere al fianco dei partner: una reazione europea decisa alle mosse di Trump. Ci sarebbe da rispondere anche a J.D. Vance, che ha sfidato il continente con argomenti cari a Elon Musk.
Sono ragionamenti però non troppo distanti da quelli messi in fila da Meloni mesi fa all’Atlantic Council, a proposito dei valori fondativi dell’Occidente. Ecco perché Meloni non si è indignata ascoltando il vicepresidente Usa: «Quello che ha detto non è uno scandalo».
Eppure, sempre con l’Europa è costretta a schierarsi. Nella battaglia sui dazi, ma anche nella partita per l’Ucraina. Oggi dirà che va accordata fiducia a Washington, ma che la pace deve essere giusta
L’Europa, sosterrà, può fare leva sulle sanzioni a Mosca: per toglierle, deve essere coinvolta, dunque Trump dovrà chiamarla al tavolo. E poi, sosterrà che gli Usa devono fornire garanzie di sicurezza all’Ucraina e all’Ue.
Ad esempio, attrezzando il confine orientale della Nato con missili a lunghissima gittata, blindando di fatto il confine della tregua. Non è detto che basti a Kiev, ma potrebbe garantire gli eventuali militari europei (e italiani, che potrebbero essere alcune migliaia) impegnati in una missione di peacekeeping.
(da agenzie)

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“HO SCRITTO UNA LETTERA A GIORGIA MELONI PER RIPORTARE A CASA IL NOSTRO ALBERTO TRENTINI, COME E’ STATO FATTO CON CECILIA SALA”

Febbraio 17th, 2025 Riccardo Fucile

LE PAROLE DI ARMANDA TRENTINI, MADRE DELL COOPERANTE ITALIANO IN CARCERE A CARACAS… “NON ABBIAMO NOTIZIE DI LUI”… PER I SOVRANISTI CI SONO ITALIANI DI SERIE A E ALTRI DI SERIE B

«Ho scritto una lettera e la nostra avvocata l’ha inoltrata alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, e proprio perché è madre pure lei, mi aspetto che me lo porti a casa, che percorra delle strade anche facendosi aiutare dalle Istituzioni di altri Paesi come è stato fatto per la nostra giornalista Cecilia Sala». Queste le parole di Armanda Trentini, madre di Alberto Trentini, il cooperante dell’ong internazionale Humanity&Inclusion, da oltre 90 giorni detenuto in un carcere di Caracas, Venezuela, con accusa di terrorismo, a Che Tempo Che Fa sul canale Nove.
«Non ho notizie di Alberto dal 15 novembre 2024. Voglio dire che il 15 novembre lui era all’aeroporto e come al solito, perché ci sentivamo con messaggi o con videochiamate ogni giorno, dall’aeroporto di Caracas mi ha mandato un saluto, come era solito fare. Poi ho aspettato, come eravamo abituati, di ricevere i saluti quando arrivava a destinazione e con i saluti la piccola mappa di Google. Non è mai arrivata, la notte l’ho cercata perché con il fuso orario avrei dovuto trovare il messaggio, e la sera del 16 ci hanno avvertito che era in stato di fermo. Da allora di Alberto non abbiamo avuto notizie. È isolato e non ci risulta che abbia incontrato nessuno, non ha potuto chiedere di parlare con un avvocato o di contattare la sua famiglia, nulla», racconta. «Ci è stato riferito che sta discretamente bene. Prima ci hanno avvertiti che è vivo e non avendo altre notizie è stata una buona notizia. Poi ci hanno detto che la sua salute è discreta e che può prendere il farmaco di cui ha bisogno. Siamo seguiti sin dai primi momenti dall’avvocata Alessandra Ballerini, che ci informa perché tiene i contatti con la Farnesina e con le istituzioni consolari. Da Alberto non abbiamo mai avuto nulla, non abbiamo avuto nessun contatto, la nostra disperazione è questa», ha aggiunto la donna ospite da Fazio
«Alberto è un cooperante, e ha scelto questo mestiere perché amava aiutare»
«Alberto è un cooperante, e ha scelto questo mestiere perché amava aiutare chi era in stato di necessità. E ne aveva fatto la sua missione, aveva studiato per prepararsi, aveva preso una specializzazione a Liverpool poi un Master a Litz sulla sanificazione dell’acqua, era specializzato anche nelle emergenze. Per lui era la sua passione e la sua missione. Aveva scelto questa ong che si occupava di persone con disabilità perché si era innamorato di una ragazza che viveva là, per stare vicino a lei. Era arrivato da poco tempo, per questo noi siamo rimasti sconvolti da questo stato di fermo, non ce lo spieghiamo e da 3 mesi non lo sentiamo», racconta la signora Trentini.
(da agenzie)

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IL CREMLINO ATTACCA ANCORA MATTARELLA PER IL PARAGONE TRA RUSSIA E GERMANIA NAZISTA: “CI SARANNO CONSEGUENZE”

Febbraio 17th, 2025 Riccardo Fucile

MARIA ZAKHAROVA MINACCIA… LORO SONO ESPERTI NEL FAR SUICIDARE GLI OPPOSITORI FACENDOLI CADERE DALLE FINESTRE

Le parole di Sergio Mattarella «non resteranno senza conseguenze». Ad assicurarlo ieri è stata la portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakharova, ospite della televisione russa. Il riferimento è al discorso pronunciato dal presidente della Repubblica all’Università di Marsiglia il 5 febbraio scorso, nel quale il capo dello Stato ha paragonato la Russia al Terzo Reich nazista per l’attacco sferrato contro l’Ucraina. Zakharova aveva già attaccato Mattarella il 14 febbraio, per lo stesso motivo.
Il Cremlino: «L’Italia storicamente attacca la Russia
«Nella sua veste di presidente ha dichiarato di ritenere che la Russia possa essere equiparata al Terzo Reich. Ciò non può e non rimarrà mai senza conseguenze», l’esponente del Cremlino intervista dal giornalista filogovernativo Vladimir Solovyov sul canale Rossiya-1. Dal proprio canale Telegram, Zakharova sostiene che le parole di Mattarella provengano da un «Paese che storicamente è stato tra coloro che hanno attaccato il nostro Paese». «Purtroppo l’Italia è il Paese in cui è nato il fascismo», ha insistito la portavoce. «Questo ci viene detto da una persona che non può fare a meno di sapere quanti soldati italiani hanno ucciso i nostri nonni e bisnonni sul nostro territorio durante la Seconda Guerra Mondiale»
Un’ondata di russofobia
«Su quale base questo viene detto nell’anno dell’80esimo anniversario della nostra Vittoria?», ha aggiunto ancora Zakharova. La portavoce sostiene che le parole di Mattarella abbiano generato «un’ondata di russofobia in Italia». «La gente ha creato una petizione online in cui comuni cittadini italiani, giornalisti, e personaggi pubblici si sono scusati con i russi per queste parole indegne» ha concluso Zakharova. La petizione esiste veramente, ed è stata firmata da oltre 11 mila persone.
(da agenzie)

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EUROPEISTA, ANTIFASCISTA, A FAVORE DEI DIRITTI DEI GAY E DELL’INTEGRAZIONE: MARINA BERLUSCONI E LA DESTRA ANTI-TRUMP

Febbraio 17th, 2025 Riccardo Fucile

L’INTERVISTA AL FOGLIO: “SERVONO PIU’ LIBERTA’ E PIU’ CONCORRENZA, QUESTO VALE PER L’EUROPA COME PER L’ITALIA”

«Troppo spesso l’appartenenza all’Unione è ancora vissuta come una cessione di sovranità, come se più Europa significasse meno Italia, meno Germania, meno Francia… Basta vedere quei movimenti che da una parte proclamano di voler rendere grande l’Europa e dall’altra predicano il motto di meno Europa e più sovranità. Ma vale esattamente il contrario, perché la vera sovranità è saper rispondere al meglio ai bisogni dei cittadini e non può esserci sovranità nella solitudine». L’intervista di Marina Berlusconi al Foglio di Claudio Cerasa è un manifesto politico chiaro. La primogenita del Cavaliere critica il bullo Donald Trump e dice di essere a favore dei matrimoni e dei diritti degli omosessuali. Ma soprattutto il suo è un inno europeista con pochi distinguo: «Servono più libertà e più concorrenza. Questo vale per l’Europa come per l’Italia».
L’Europa deve svegliarsi
Marina B. dice che i 27 stati europei, presi singolarmente, «sono poco più di un’espressione geografica». Ma «l’Europa deve svegliarsi», sostiene la presidente di Fininvest: «Penso alla difesa comune, alla politica estera comune, al debito comune, al mercato unico dei capitali: tutti casi in cui l’unione fa la forza».
Ma soprattutto è interessante l’analisi sulla destra estrema tedesca alla vigilia delle elezioni in Germania dove Afd potrebbe diventare il secondo partito: «In Europa, in questo momento, ci sono tante destre. Quella italiana – e credo che tutti dovrebbero dargliene atto – riesce a mantenere una posizione di equilibrio e piena adesione ai valori democratici. Mi lasci dire che chi si è inventato il nostro centrodestra trent’anni fa ci aveva visto lungo… Oggi viviamo una fase storica molto difficile e il ruolo di Giorgia Meloni è decisamente complesso: sono convinta che meriti stima e rispetto per quello che sta facendo. Purtroppo la situazione appare molto diversa in altri paesi, dove i movimenti più radicali si stanno rafforzando: in alcuni casi addirittura dettano l’agenda alle forze più moderate».
Antifascismo
Rispetto a quella destra, però, Marina B. non ha molti problemi a dichiararsi «assolutamente antifascista, così come sono assolutamente anticomunista. Non vedo come possa non esserlo chiunque dia il giusto valore alla storia. Tutte le polemiche sulla necessità di dirsi antifascisti mi paiono, però, forzature strumentali». Perché invece «servono leader politici che guidino la società, invece che lasciarsi guidare solo dalla ricerca del facile consenso, assecondando – e spesso fomentando – la rabbia e le paure della gente».
E ancora: «Oggi ci troviamo a dover fare i conti con problemi giganteschi, che mi pare si possano affrontare in tre modi diversi: possiamo ignorarli, come ha fatto il progressismo più miope, lasciandoli così crescere fino a diventare ingestibili; possiamo inseguire soluzioni semplicistiche ed estreme, che nella realtà però non risolvono assolutamente nulla, anzi si rivelano davvero pericolose; oppure possiamo rimboccarci le maniche, sapendo che i tempi saranno lunghi e le difficoltà enormi, ma che, pezzo dopo pezzo, mediazione dopo mediazione, troveremo una qualche via d’uscita.
Le agende della crudeltà e dell’integrazione
Un altro tema è quello dell’immigrazione, nel quale ci sono due agende: quella della crudeltà e quella dell’integrazione. La scelta di campo di Marina Berlusconi è chiara: «Quello delle migrazioni è un problema epocale che ci porteremo dietro per chissà quanto tempo, e che si potrà risolvere – se mai si potrà risolvere – solo con l’integrazione e con il supporto allo sviluppo dei paesi di provenienza. Ma occorre anche molta ragionevolezza. È chiaro che non possiamo impedire a milioni di disperati d’inseguire il sogno di una vita migliore, ma è altrettanto chiaro che questa vita migliore non possiamo certo offrirla a tutti».
Matrimoni gay, cittadinanza, suicidio assistito
Infine, sui diritti civili: «Sono favorevole ai matrimoni gay. Guardi, se c’è qualcuno che dà valore alla famiglia, beh quella sono io. Avere una famiglia unita e solida è da sempre l’obiettivo principale della mia vita. Proprio per questo, sono convinta che la famiglia non possa essere ingabbiata in schemi e modelli standard, ma ognuno debba avere il diritto di creare la propria insieme alla persona che ama. Altro discorso è quello della maternità surrogata, su cui mi trovo contraria: qualcosa di intimo e profondo come la maternità non può trasformarsi in una mercificazione del corpo femminile. Per quanto riguarda invece il suicidio assistito, penso che chi è afflitto da una malattia incurabile e dolorosa debba avere il diritto di porre fine alla propria esistenza con dignità, ovviamente sulla base di una decisione presa in totale libertà e consapevolezza».
«Ho tenuto per ultimo l’argomento della cittadinanza per chi nasce in Italia perché su questo tema penso serva molta gradualità: posizioni troppo drastiche e ideologiche non fanno che generare eccessi in senso opposto. Servono piccoli passi in avanti, con l’obiettivo di un’integrazione ragionevole, senza pretendere di cambiare il mondo nello spazio di una notte, altrimenti la sindrome del pendolo colpirebbe ancora».
(da Open)

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SONDAGGIO GHISLERI: DUE ITALIANI SU TRE CONTRARI AL TERZO MANDATO

Febbraio 17th, 2025 Riccardo Fucile

PER IL 73% DEI PIU’ GIOVANI VIETARLO E’ L’UNICA STRADA PER IL RINNOVAMENTO DELLA POLITICA

Da un sondaggio di Euromedia Research per Porta a Porta risulta che un cittadino due (50.4%) è contrario alla possibilità di un terzo mandato di governo per i Presidenti delle Regioni. Un cittadino su tre (28.9%) si dice invece favorevole.
Tra coloro che si dicono favorevoli a votare questa proposta si riconoscono il 58.8% degli elettori di Forza Italia, il 55.5% di quelli della Lega e il 45.5% degli elettori di Italia Viva.
La maggioranza di coloro che reputano questa proposta dannosa vede il 45.6% di Fratelli d’Italia nonché tutte le opposizioni schierate. Azione è l’unico partito i cui elettori non si dimostrano risoluti in una scelta verso una direzione o l’altra, ma si dividono tra favorevoli (45.5%) e contrari (36.5%).
Molti cittadini temono che un terzo mandato possa portare a una concentrazione eccessiva di potere nelle mani di una sola persona.
Questo potrebbe ridurre la possibilità di rinnovamento e di nuove idee nella politica locale. Del resto la sovranità popolare si basa anche sulla possibilità di votare e di avere un’alternanza di leadership, per evitare che le istituzioni vengano dominate per troppo tempo da una sola persona. In questo senso limitare i mandati degli amministratori aiuta a garantire che altri possano entrare in gioco e portare nuove proposte. Un presidente di Regione o un Sindaco al terzo mandato, potrebbe essere letto come una volontà a perpetrare lo stesso potere e quindi anche a limitare le risposte alle sfide di un mondo in continuo cambiamento. Tuttavia, la domanda valida di chi è favorevole a liberare le candidature permettendo ai cittadini di rivotare per il “consolidato amministratore” si aggancia al buon governo del territorio.
In effetti alcuni cittadini sostengono che i Sindaci e i Presidenti di regione con più esperienza possano continuare a lavorare su progetti avviati durante i loro mandati precedenti, migliorando così la gestione delle amministrazioni locali e regionali.
La continuità potrebbe aiutare a portare avanti iniziative importanti senza interruzioni politiche. Del resto sono sempre i cittadini che chiamati al voto possono, se vi partecipano, rinnovare le amministrazioni. I candidati uscenti, nella maggior parte delle situazioni, sono sempre favoriti nelle urne soprattutto se il loro lavoro è riconosciuto dai cittadini. In molte realtà locali, i politici che rimangono più a lungo in carica possono avere una comprensione più profonda delle problematiche specifiche e delle necessità della comunità; il che potrebbe portare a decisioni più mirate e soluzioni maggiormente efficaci. Tuttavia, allo stesso tempo, mandati molto lunghi potrebbero aiutare a fare uso delle proprie posizioni per favorire i propri interessi o quelli di pochi eletti.
Sono i più giovani quelli che rifiutano con forza l’ipotesi terzo mandato (73.2%), sono spesso proprio loro i più favorevoli al rinnovamento politico e alla possibilità di dare spazio a nuove idee e – soprattutto – a nuove generazioni.
Un terzo mandato potrebbe essere visto come un ostacolo a questo rinnovamento, limitando la possibilità di nuove leadership. In molti test i giovani italiani hanno mostrato una certa sfiducia nelle istituzioni politiche, e vedono il terzo mandato come un potenziale elemento di stagnazione, che potrebbe portare a politiche meno dinamiche e più autoreferenziali. Gli italiani sono generalmente favorevoli a un sistema politico più dinamico e aperto, che garantisca opportunità per nuove voci e che non consenta ad alcun politico di “restare troppo a lungo”.
Questa visione è spesso legata anche a un desiderio di cambiamento più ampio, sia a livello locale sia nazionale e anche sempre alla ricerca di qualcosa “di meglio”. L’Italia ha una storia politica caratterizzata da continui cambiamenti di governi e instabilità.
Il Paese ha vissuto periodi di instabilità politica con frequenti cambi di governo e alleanze, che hanno contribuito a generare negli elettori un senso di frustrazione e sfiducia nei confronti delle istituzioni e della classe dirigente. Inoltre i numerosi casi di corruzione e di sprechi hanno minato fortemente la fiducia degli italiani, perché questi scandali, ognuno a modo suo, hanno sempre messo in luce un sistema di potere che appare distante dai reali bisogni della gente.
Così, quando si pensa che nonostante tutto il proprio voto non possa portare a cambiamenti significativi, o che non ci siano alternative valide, ci si sente disincentivati a parteciparvi, oppure a non desiderare il cambiamento dei vertici delle istituzioni di riferimento, andando incontro a qualcosa che non si conosce o che è mosso solo attraverso lo spoils system politico – traduzione letterale dall’inglese: “sistema bottino” – e non la competenza, il merito, la preparazione… e – purtroppo – oggi si sente così un italiano su due (49.0%).
Alessandra Ghisleri
(da lastampa.it)

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