Aprile 3rd, 2025 Riccardo Fucile
“I DAZI NEL PRIMO MANDATO DI TRUMP NON HANNO FUNZIONATO. NON SOLO HANNO AUMENTATO IL DEFICIT COMMERCIALE, MA HANNO RIDOTTO LA PRODUTTIVITÀ. STAVOLTA PROMETTE CAMBIAMENTI CHE NON AVVERRANNO, GIOCANDO D’AZZARDO CON L’ECONOMIA USA. DANNEGGERÀ I RAPPORTI COL MONDO, SCATENERÀ GUERRE COMMERCIALI E AUMENTERÀ IL COSTO DELLA VITA NEL NOSTRO PAESE. L’INFLAZIONE TORNERÀ A CRESCERE. TRUMP È CONVINTO CHE PIÙ DAZI VERRANNO IMPOSTI, MEGLIO SARÀ. PENSA DI VIVERE NEL MONDO DI WILLIAM MCKINLEY, IL PRESIDENTE DELL’OTTOCENTO A CUI SI ISPIRA”
Leon Panetta, già direttore del Bilancio alla Casa Bianca, capo di gabinetto del
presidente, segretario del Pentagono e direttore della Cia, abbandona il linguaggio della politica per essere più diretto possibile: «Gli americani pagheranno un prezzo enorme per questo errore». Quindi avverte: «I dazi avranno un impatto molto duro per l’Italia, ma vi consiglio di aspettare a reagire, sperando che Trump rinsavisca e negozi».
Agli Usa conviene una guerra commerciale contro gli alleati?
«I dazi nel primo mandato di Trump non hanno funzionato. Non solo hanno aumentato il deficit commerciale, ma hanno ridotto la produttività. Stavolta fa pure peggio. Promette cambiamenti che non avverranno, giocando d’azzardo con l’economia Usa.
Danneggerà i rapporti col mondo, scatenerà guerre commerciali e aumenterà il costo della vita nel nostro Paese. L’inflazione tornerà a crescere e le famiglie non potranno più permettersi ciò che vogliono».
Perché lo fa?
«È convinto che più dazi verranno imposti, meglio sarà per l’economia Usa. Pensa di vivere nel mondo di William McKinley, il presidente dell’Ottocento a cui si ispira. Ma il mondo di oggi è globale, con i Paesi collegati tra loro dal punto di vista finanziario, della sicurezza e delle comunicazioni. La chiave per il successo oggi è essere competitivi, non isolazionisti».
Chi pagherà il prezzo più alto, europei o americani?
«Il risultato è che l’America si sparerà sui piedi. La nostra economia pagherà un prezzo altissimo, la storia ce lo insegna. I dazi non funzionano come cura magica».
Come dovrebbero reagire l’Italia e gli alleati europei?
«L’impatto sarà molto duro su Roma, ma anche sui consumatori americani perché fanno grande affidamento sui beni provenienti dall’Italia. […] Vi consiglierei di aspettare e vedere se Trump è abbastanza intelligente da negoziare […]».
Passiamo al “chatgate”. Trump dice che non sono state pubblicate informazioni classificate. Lei alla Cia ha guidato l’operazione per eliminare Bin Laden: cosa ne pensa?
«Non c’è modo di aggirare il fatto che sia stata una grave violazione. Quando i piani di guerra classificati vengono compromessi si mettono a rischio vite e missioni e si indebolisce la sicurezza nazionale. Non penso che il caso sia chiuso».
Un giudice ha chiesto di conservare le prove sul caso per verificare se è stata violata la legge.
«I piani di attacco sono le informazioni più delicate e classificate che possano esistere e un giornalista è stato incluso nella chat dove i leader della sicurezza nazionale ne stavano discutendo. Poi lo hanno fatto su Signal, una app commerciale non approvata per le informazioni segrete. Questa combinazione di gravi errori per me rappresenta una violazione delle nostre leggi sulla gestione delle informazioni classificate».
Se la legge è stata violata dal segretario alla Difesa e dal consigliere per la sicurezza nazionale, vanno licenziati?
«È necessaria un’indagine per appurare le responsabilità e i colpevoli devono andarsene, altrimenti ripeteranno l’ errore».
Sull’Ucraina Putin si prende gioco di Trump?
«Una cosa che ho imparato alla Cia e al Pentagono è che non puoi mai fidarti di Putin. Il suo obiettivo è minare gli Usa e indebolire le democrazie nel mondo. Da parte di Trump pensare che manterrà la parola è un terribile errore. L’unico modo di trattare con Putin non è chiedere per favore, ma la forza»
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Aprile 3rd, 2025 Riccardo Fucile
CI SONO ALMENO VENTI GIORNI PER NEGOZIARE CON TRUMP E EVITARE CHE LA GUERRA COMMERCIALE DIVENTI UNA CATASTROFE PLANETARIA
“Risponderemo immediatamente”. L’Ue vuole passare subito al contrattacco. I dazi imposti da Donald Trump confermano le previsioni più pessimistiche. I toni usati dal presidente americano nei confronti dell’Unione europea, poi, sono stati giudicati «offensivi» e ben poco consoni nei confronti di uno storico alleato. E per questo inaccettabili
La Commissione, quindi, già nelle prossime ore emetterà i primi provvedimenti. Subito scatteranno le misure già approvate: quelle sull’acciaio e alluminio che valgono oltre 25 miliardi di euro e quelle sui beni che già erano presenti nell’elenco predisposto dall’Unione nel 2020. Un modo per replicare ai dazi del 25 per cento sulle auto. La linea è quella annunciata martedì scorso da Ursula von der Leyen: «Queste scelte impongono una rappresaglia».
La presidente ha già predisposto una ulteriore lista che punta a colpire i servizi, settore in cui la bilancia commerciale americana è in attivo di 109 miliardi all’anno. Si tratta dunque di misure che dovrebbero insistere anche sulle “Big Tech” come Amazon, Google, X, Microsoft. Ma anche sulla impossibilità per le aziende statunitensi di investire nel Vecchio Continente e su limitazioni al diritto d’autore.
Von der Leyen ha contattato tutti i 27 governi dell’Unione per concordare una «risposta coordinata». E non è escluso che venga convocato un Consiglio europeo straordinario per assumere una scelta ancora più formale. […] Dopo l’annuncio della Casa Bianca, in effetti, anche le cancellerie che fino a ieri avevano frenato e spingevano per una reazione moderata, adesso si stanno piegando alla richiesta di Palazzo Berlaymont di mettere in campo subito una risposta ferma
La Ue cerca comunque di mantenere il dialogo aperto. La strada del negoziato viene considerata non chiusa. E anche la seconda fase dei controdazi è costruita per avviare subito la trattativa. Queste tariffe, infatti, saranno operative a fine aprile. Ci sono almeno venti giorni, dunque, per negoziare con il presidente statunitense e evitare che la guerra commerciale diventi una catastrofe planetaria.
Va tenuto presente che secondo la Bce, la Banca centrale europea, i soli dazi americani ridurranno il pil dell’Unione dello 0,3 per cento. Ma con la reazione europea il calo sarà almeno dello 0,5. Per il Vecchio Continente
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Aprile 3rd, 2025 Riccardo Fucile
NEL CALCOLO, INFATTI, RIENTREREBBERO ANCHE LE “BARRIERE NON MONETARIE”: LE IMPOSTE SUL VALORE AGGIUNTO, LE “MANIPOLAZIONI DELLA VALUTA” E LIMITI “TECNICI” AI PRODOTTI AMERICANI LEGATE A SALUTE O A INQUINAMENTO … BARCLAYS: “I DAZI SONO PEGGIO DI QUANTO TEMUTO, AUMENTA IL RISCHIO RECESSIONE”
– Trump è stato “più falco del previsto” e “i dazi peggio di quanto temuto”, in
particolare per l’Europa e la Cina. Sebbene vi siano margini di negoziazione e molti colpi di scena, le tariffe elevate e l’incertezza persistente aumentano il rischio di recessione”. E’ la previsione degli analisti di Barclays. E per il mercato azionario “è probabile che la situazione peggiori”
“La tariffa sull’acciaio e sull’alluminio e sulle importazioni di auto negli Stati Uniti
rimane del 25%, il che potrebbe essere un po’ un sollievo per le scorte di auto dell’Ue, mentre alcune categorie di prodotti sono esenti dalle tariffe. La tariffa media annunciata per i beni dell’Ue è doppia rispetto al 10% che i nostri economisti avevano ipotizzato nelle loro previsioni economiche, mentre è in linea con la loro ipotesi di lavoro per i beni del Regno Unito.
Per quanto riguarda la Cina, ci risulta che le tariffe cumulative salirebbero al 54 per cento” riassumono. “Questi nuovi dazi e la persistente incertezza sulla politica commerciale frenano le prospettive economiche globali, sia a livello mondiale che europeo. Tuttavia, le dichiarazioni delle autorità e il modo in cui si è arrivati alle tariffe finali suggeriscono che ci potrebbe essere spazio per i negoziati.
È quindi possibile che i dazi annunciati siano visti come un tetto massimo e che da qui in poi possano scendere, anche se le potenziali ritorsioni dei partner commerciali statunitensi aumenterebbero i rischi di crescita al ribasso. Ci si aspetta anche un sostegno politico da parte delle banche centrali e dei governi, che potrebbe attenuare in parte il freno della guerra commerciale. Nel complesso, però, i nostri economisti vedono rischi al ribasso per le loro previsioni di crescita”.
Guardando ai listini azionari gli analisti non si aspettano crolli perchè il rischio di dazi “è ampiamente previsto, quello di recessione meno, con i principali indici fuori dai massimi e una significativa rotazione a livello settoriale”. Sia in Europa che negli Usa, guardando al passato, i titoli azionari sono tipicamente scesi del 35% da un picco all’altro della recessione “ma non siamo ancora a quel punto e un’ulteriore sofferenza dei mercati potrebbe costringere Trump a un’inversione di rotta” spiegano gli analisti.ù
“A medio termine, riteniamo che lo stimolo della politica fiscale tedesca dovrebbe fornire una compensazione positiva e aiutare l’Europa a superare la tempesta dei dazi, mentre potrebbero arrivare anche tagli più aggressivi da parte della Bce” spiegano. I titoli e i settori esposti ai dazi e alla Cina hanno già registrato una forte sottoperformance ma non abbastanza da stimolare l’appetito degli investitori con le prospettive degli utili che rimangono a rischio. Barclays guarda ai titoli difensivi come telecom, utilities e immobiliari e ritiene che le banche siano il settore più performante in Europa.
“Se i timori di una recessione dovessero aumentare e le aspettative sui tassi venissero riviste al ribasso, riteniamo che il settore potrebbe subire delle prese di profitto e manteniamo una preferenza tattica per il settore assicurativo all’interno dei titoli finanziari” sottolineano in un report.
Dopo settimane di aspettative e clamore, ecco i numeri calcolati dal Consiglio dei consulenti economici della Casa Bianca che mostrano due tipi di tariffe: una tariffa
base del 10% che verrà applicata a tutti i Paesi (per esempio al Regno Unito, all’Australia, al Brasile); e tariffe personalizzate per i Paesi «peggiori» — che hanno imposto dazi o tasse sui prodotti americani e che hanno ampi surplus della bilancia commerciale con gli Usa.
I «peggiori» individuati dall’amministrazione Usa sono una sessantina: tra questi, nelle prime righe della prima pagina appaiono la Cina e l’Unione europea.
Le tariffe personalizzate sono basate non solo sui dazi veri e propri ma anche sulle «barriere» che l’amministrazione Usa accusa i Paesi stranieri di imporre.
Nel calcolo di questo numero rientrano cioè anche le «barriere non monetarie» definite «peggiori dei dazi stessi»: le imposte sul valore aggiunto, le «manipolazioni della valuta», le barriere «tecniche» ai prodotti americani legate alla salute o all’inquinamento che un funzionario, parlando con i giornalisti, definisce «non davvero scientifiche»
Per esempio, nel suo discorso Trump ha criticato l’Unione europea per «le imposte del 10% con l’aggiunta dell’Iva al 20%». «In molti casi, in materia di commercio, l’amico è peggio del nemico», aveva detto poco prima il presidente. Nella tabella compare una tariffa del 39% che l’Ue imporrebbe agli Stati Uniti. In giallo l’amministrazione Trump indica che risponderà con dazi di circa la metà della cifra calcolata, quindi del 20% per l’Ue e questo vale per ogni Paese
Invece Israele, secondo la Casa Bianca, applica contro gli Usa tariffe del 33% e verrà punita con il 17%: in tal caso, spiega il funzionario, la ragione è «il furto di proprietà intellettuale dei nostri farmaci».
(da il “Corriere della Sera”)
argomento: Politica | Commenta »
Aprile 3rd, 2025 Riccardo Fucile
“LA NUOVA OFFENSIVA TARIFFARIA STA OFFRENDO ALLA CINA UN’ALTRA OCCASIONE PER CORTEGGIARE GLI ALLEATI AMERICANI” … “CI SARANNO SICURAMENTE COSTI PIÙ ELEVATI PER CONSUMATORI E IMPRESE. LE TARIFFE SONO TASSE, E QUANDO SI TASSA QUALCOSA, SE NE OTTIENE DI MENO”
Mercoledì il presidente Trump ha annunciato le sue tariffe del “giorno della liberazione”, che rappresentano un altro grande passo verso una nuova, vecchia era di protezionismo commerciale. Se questa politica dovesse rimanere in vigore – e speriamo di no – si tratterebbe di un tentativo di rimodellare l’economia statunitense e l’intero sistema commerciale globale.
Al momento della stesura non tutti i dettagli sono chiari, ma le tariffe di Trump sembrano “reciproche” solo nel nome. Innanzitutto, egli impone a tutte le nazioni del mondo una tariffa “di base” del 10% per esportare merci nel mercato statunitense.
Per quei paesi che definisce “attori malintenzionati”, aggiunge all’aliquota tariffaria che questi applicano ai beni statunitensi anche una stima arbitraria del costo della loro “manipolazione valutaria” e delle barriere non tariffarie. Somma tutto ciò e applica la metà di quel totale come tariffa sulle esportazioni di quei paesi verso gli Stati Uniti.
La Cina sarà colpita con una tariffa del 34%, ma anche i nostri amici giapponesi pagheranno quasi altrettanto, con un’aliquota del 24%. L’Unione Europea subirà una tariffa del 20%, l’India del 24%. per oggi prendiamo in considerazione alcune conseguenze che stanno già emergendo in questa nuova era protezionista:
• Nuovi rischi economici e incertezza.
L’impatto economico complessivo dell’offensiva tariffaria di Trump è imprevedibile – anche perché non sappiamo come reagiranno i paesi coinvolti. Se questi sceglieranno di negoziare, i danni potrebbero essere contenuti. Ma se la risposta sarà una ritorsione generalizzata, potremmo assistere a una contrazione del commercio mondiale e a un rallentamento della crescita economica, se non addirittura a una recessione.
Ci saranno sicuramente costi più elevati per i consumatori e le imprese americane. Le tariffe sono tasse, e quando si tassa qualcosa, se ne ottiene di meno. I prezzi delle automobili saliranno di migliaia di dollari, incluse quelle prodotte in America. Trump
sta deliberatamente decidendo di trasferire ricchezza dai consumatori alle imprese e ai lavoratori protetti dalla concorrenza grazie a barriere tariffarie elevate.
Nel tempo ciò comporterà un’erosione progressiva della competitività statunitense. Le tariffe che attenuano la concorrenza favoriscono profitti monopolistici e riducono l’incentivo all’innovazione. È la storia dell’industria americana dell’acciaio e dell’auto negli anni Cinquanta e Sessanta, prima che la concorrenza globale ne mettesse a nudo le inefficienze.
• Danni alle esportazioni americane.
Uno degli obiettivi storici della politica commerciale USA è sempre stato quello di ampliare i mercati per beni e servizi statunitensi. Amministrazioni di entrambi i partiti hanno perseguito accordi commerciali, bilaterali e multilaterali, a questo scopo. Secondo Apollo Global Management, il 41% dei ricavi delle aziende dell’S&P 500 proviene dall’estero.
Le tariffe unilaterali di Trump fanno saltare questi accordi e invitano alla ritorsione. Le esportazioni statunitensi ne risentiranno direttamente per effetto delle contromisure tariffarie, e indirettamente perché altri paesi stringeranno accordi che offriranno trattamenti preferenziali a imprese non statunitensi. Basti pensare alla “cuccagna” della soia brasiliana dopo le tariffe imposte da Trump alla Cina durante il suo primo mandato.
• Un pantano di lobbying a Washington.
Le tariffe impongono costi che le imprese cercheranno di evitare. Saranno quindi una manna per i lobbisti di Washington, mentre aziende e paesi cercheranno di ottenere esenzioni dalle tasse doganali. Trump sostiene che non ci saranno esenzioni. Ma vedrete che questa promessa svanirà
• La fine della leadership economica statunitense.
La Gran Bretagna ha svolto questo ruolo fino alla Prima Guerra Mondiale, ma fu troppo indebolita dal conflitto per continuare. Gli Stati Uniti assunsero quel ruolo solo dopo la Grande Depressione e la Seconda Guerra Mondiale. La leadership americana e la decisione di promuovere il libero scambio hanno prodotto settant’anni di prosperità crescente, in patria e nel mondo. La quota USA del PIL globale è rimasta stabile intorno al 25% per decenni, nonostante l’alternarsi delle industrie.
Quell’era sta ora finendo, mentre Trump adotta una visione più mercantilista del commercio e dell’interesse nazionale. Il risultato sarà probabilmente un “ognuno per sé”, con i paesi che cercheranno di spartirsi i mercati globali non in base all’efficienza, ma al vantaggio politico. Nel peggiore dei casi, il sistema commerciale globale potrebbe regredire verso le politiche del “beggar-thy-neighbor” degli anni Trenta
Il costo in termini di perdita di influenza americana sarà considerevole. Trump crede che l’attrattiva del mercato USA e la potenza militare bastino a piegare le nazioni alla sua volontà. Ma anche il “soft power” conta, e questo include la fiducia nella parola dell’America come alleato e partner commerciale affidabile. Trump sta distruggendo quella fiducia, punendo gli alleati e facendo a pezzi l’USMCA che lui stesso aveva negoziato nel primo mandato.
• Una grande opportunità per la Cina.
La grande ironia delle tariffe di Trump è che egli le giustifica anche come strumento diplomatico contro la Cina. Eppure, nel suo primo mandato, Trump ha abbandonato l’accordo commerciale Asia-Pacifico che escludeva Pechino. La Cina ha poi siglato un proprio accordo con molti di quei paesi.
La nuova offensiva tariffaria di Trump sta offrendo alla Cina un’altra occasione per usare il suo vasto mercato come leva per corteggiare gli alleati americani. Corea del Sud e Giappone sono i primi obiettivi, ma anche l’Europa è nel mirino di Pechino. Legami commerciali più stretti con la Cina, in un momento di incertezza sull’accesso al mercato USA, renderanno questi paesi meno propensi ad affiancare gli Stati Uniti in controlli alle esportazioni tecnologiche verso la Cina o nel blocco di aziende come Huawei.
Questa non è certo una lista esaustiva, ma offriamo questi spunti come riflessione mentre Trump costruisce il suo nuovo mondo protezionista. Rimodellare l’economia globale ha conseguenze enormi – e potrebbero non corrispondere affatto a quella che Trump pubblicizza come una nuova “età dell’oro
editoriale del “Wall Street Journal”
argomento: Politica | Commenta »
Aprile 3rd, 2025 Riccardo Fucile
HEARD E MCDONALD SONO ZONE VULCANICHE E COPERTE DI GHIACCIAI
Un piccolo gruppo di isole vulcaniche disabitate vicino all’Antartide. Coperte da
ghiacciai e dove vivono pinguini. Anche loro sono finite nel Liberation Day di Donald Trump: il presidente degli Stati Uniti le ha colpite con una tariffa del 10% sulle merci. Anche se sono completamente disabitate.
E si ritiene che l’ultima volta che l’uomo sia arrivato lì risalga a 10 anni fa. Anche se forse c’è una spiegazione tecnica. Le isole sono tra i vari «territori esterni» dell’Australia. Che nella tabella vengono elencati separatamente. Forse per evitare triangolazioni commerciali.
Le isole Heard e McDonald
Il primo ministro australiano Anthony Albanese ha affermato giovedì: «Nessun posto sulla terra è sicuro». I territori non sono autonomi ma hanno un rapporto unico con il governo federale.
Nell’elenco della Casa Bianca ce ne erano altre tre: le isole Cocos (Keeling), Christmas Island e Norfolk Island. Norfolk Island, che ha una popolazione di 2.188 persone e si trova a 1.600 km a nord-est di Sydney, è stata colpita da una tariffa del 29%. 19 punti percentuali in più rispetto al resto dell’Australia.
Nel 2023, Norfolk Island ha esportato negli Stati Uniti beni per un valore di 655.000 $ (1,04 milioni di dollari australiani). La sua principale esportazione è quella di calzature in pelle per un valore di 413.000 dollari, secondo i dati dell’Observatory of Economic Complexity.
Le tariffe ai pinguini
Albanese ha detto giovedì: «Norfolk Island ha una tariffa del 29%. Non sono del tutto sicuro che Norfolk Island sia un concorrente commerciale con la gigantesca economia degli Stati Uniti, ma questo dimostra ed esemplifica il fatto che nessun posto sulla terra è al sicuro da questo».
Le cifre delle esportazioni da Heard Island e dalle isole McDonald, spiega oggi il Guardian, sono ancora più sconcertanti. Il territorio ha una zona di pesca ma nessun edificio o abitazione umana. Secondo i dati sulle esportazioni della Banca Mondiale, gli Stati Uniti hanno importato 1,4 milioni di dollari USA di prodotti da Heard Island e dalle isole McDonald nel 2022, quasi tutti di “macchinari ed elettricità”. Non è stato immediatamente chiaro di cosa si trattasse.
Territorio australiano
Nei cinque anni precedenti, le importazioni da Heard Island e dalle isole McDonald variavano da 15.000 dollari USA a 325.000 dollari USA all’anno. La Casa Bianca e il dipartimento degli affari esteri australiani non hanno risposto alle richieste di commenti del Guardian. Invece un funzionario della Casa Bianca ha detto ad Axios
che le isole Heard e McDonald sono state incluse perché sono territorio australiano. Un’altra regione senza popolazione umana residente nella lista di Trump è l’isola vulcanica di Jan Mayen nell’Oceano Artico. È designata collettivamente con Svalbard, un arcipelago con orsi polari e una piccola popolazione umana a circa 580 miglia a nord di Tromsø, Norvegia.
Trump ha imposto tariffe del 10% per le isole Svalbard e Jan Mayen, mentre la Norvegia deve pagare tasse del 15% sulle importazioni dagli Stati Uniti. Anche il Territorio britannico dell’Oceano Indiano, occupato esclusivamente da personale militare statunitense e britannico presso la base di Diego Garcia , è interessato dalle imposte di base del 10% sulle importazioni dagli Stati Uniti.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Aprile 3rd, 2025 Riccardo Fucile
NEL 2024 BEN 156.000 ITALIANI HANNO FATTO LE VALIGIE PER ALTRI LIDI… META’ SONO LAUREATI
Le politiche dei rimpatri di Giorgia Meloni sono un vero successo, infatti nel 2024 156 mila italiani si sono rimpatriati da soli in altri Stati, facendo le valigie e salutando la carbonara e le ospitate di Italo Bocchino in tv (si suppone con qualche rammarico, almeno per la carbonara). Considerando che sempre nel 2024 sono nati in Italia 370 mila bambini, si può dire che per ogni due nuovi italiani, un “vecchio” italiano ha levato le tende. Ciao e grazie di tutto. “Vecchio italiano” si fa per dire, perché di quei 156 mila che sono espatriati, 131 mila hanno meno di quarant’anni e la metà (il 48,5 per cento, per la precisione) sono laureati.
Volendo correre subito alle conclusioni, si potrebbe dire che la retorica nazionalista della signora Meloni, i suoi monologhetti in video diffusi a reti unificate sulla ritrovata grandezza della “Nazzione”, il suo volitivo spronare alla fierezza e al rinascente orgoglio dell’italianità, l’attaccamento sacro alla patria, e tutte quelle fregnacce da cronachette del Ventennio, hanno prodotto risultati concreti: quelli che se ne vanno sono aumentati del 20,5 per cento in un solo anno. Brava Giorgia. Il fatto
è – come al solito – che le belle parole colorite e mascellute non servono a niente, perché la gente non vive mettendo in tavola la bella retorica ardita e la Weltanschauung tricolore di Giorgia & Arianna, ma di solito preferisce buon cibo, sicurezza sociale e una risonanza magnetica quando serve, non tra ventotto mesi. Le statistiche parlano chiaro: ci dicono che a tre anni dalla laurea, solo sette italiani su dieci trovano un lavoro, e la media europea è all’otto e mezzo. Ma le statistiche sono anche freddine: non ci dicono se quei sette lavori hanno veramente a che fare con la laurea conseguita, in un Paese in cui basta lavorare una settimana ogni tanto per essere considerati “occupati”. E infatti quando Giorgia parla di boom dell’occupazione, sotto bisognerebbe scrivere, con nota segnalata da asterisco: grazie al cazzo.
Anche la perdita vertiginosa del potere d’acquisto (meno 8,7 per cento in quindici anni) non è tutta responsabilità del governo Meloni, ci mancherebbe, ma è un dato di fatto che in due anni abbondanti non è stato fatto nulla per invertire la tendenza. Pure la retorica pre-elettorale si è sciolta senza lasciare traccia: chi ricorda i “mille euro con un clic” e “toglieremo le accise sui carburanti” può serenamente farsi una risata, anche se molti se la faranno dalla Germania, o dalla Spagna o dalla Svizzera. È probabile che gli italiani che scappano dall’Italia non troveranno altrove l’Eldorado, certo, tutta l’Europa ha i suoi problemi (primo tra tutti quello di educarli alla guerra prossima ventura), ma almeno si risparmieranno l’eterno giorno della marmotta di cose sentite e risentite. Per avere un lavoro non dovranno passare dalle forche caudine dello “stage non retribuito”, non si sentiranno dire che devono lavorare “per avere visibilità e migliorare il curriculum” e non si dovranno sorbire le periodiche lacrimose intemerate dei ristoratori che non trovano cuochi e camerieri che – avidi – vogliono essere pagati.
Insomma, la retorica del Make Italia Great Again che i patrioti spargono a piene mani, abbellita dal paradosso (ah, finalmente non governano più i “comunisti”) diventa, da patetica che era, fortemente autosatirica, una presa in giro autoinflitta. Brutta immagine, quella del comiziante che arringa le folle e poi è costretto a dire, nel bel mezzo del discorso: “Aò! Ma dove andate tutti?”.
(da Il Fatto Quotidiano)
argomento: Politica | Commenta »
Aprile 3rd, 2025 Riccardo Fucile
SALVINI, IL CARATTERISTA ELETTO DAGLI ITALIANI PER FARE GLI INTERESSI DEGLI AMERICANI… DAL COLBACCO RUSSO AL CAPPELLO DA COWBOY: NEMMENO A CINECITTA’ TROVATE UNO COME LUI
Trump è stato eletto dagli americani per fare gli interessi degli americani, dice il
Salvini. Vero. Ma, per quanto possa essere incredibile, anche il Salvini, almeno in teoria, sarebbe stato eletto dagli italiani per fare gli interessi degli italiani.
E può capitare, per una amara congiura del destino contro il Salvini, che gli interessi degli uni e degli altri non siano coincidenti; e anzi, entrino in conflitto.
E dunque continuare a ripetere che «con Trump bisogna trattare», nel momento in cui quello ti ha dichiarato una guerra commerciale senza tregua, ricorda da vicino — sebbene siano in ballo le mozzarelle e il prosecco, non vite umane — quelli che
volevano trattare con Putin mentre bombardava l’Ucraina e faceva rapire i bambini dalle sue truppe di invasione.
È sempre un’intenzione lodevole, trattare: ma per farlo bisogna essere in due, e i prepotenti non trattano, aggrediscono e umiliano, invadono e minacciano.
Del Salvini, dunque, rischiamo di dover dire che è stato eletto dagli italiani per fare gli interessi degli americani. E che gli farebbero bene due chiacchiere con Zaia (incredibilmente: nel suo stesso partito) che, da veneto eletto dai veneti per fare gli interessi dei veneti, maledice i dazi, e invoca una risposta “europea” a Trump.
Ma Europa è una parola troppo stretta per il Salvini. Sospesa la fase del colbacco, è entrato in quella del cappello da cowboy. Ha una specie di vocazione all’esotismo, pur di non passare per europeo per lui vale tutto. Prima o poi potremmo vederlo con il turbante, o con l’elmo vichingo, nemmeno a Cinecittà ne conoscono uno come lui.
(da epubblica.it)
argomento: Politica | Commenta »
Aprile 3rd, 2025 Riccardo Fucile
MISTERIOSI I CRITERI DI CALCOLO… L’IMPATTO SULLA NOSTRA ECONOMIA POTREBBE ARRIVARE A MEZZO PUNTO DI PIL
Ecco le “tariffe reciproche scontate” di Donald Trump. Come siano state calcolate resta un mistero. In qualche modo la Casa Bianca ha sommato tutte le barriere – reali e presunte – che i prodotti americani fronteggiano all’estero, dai dazi ai blocchi non tariffari, dalle normative all’odiata Iva.
Per ogni partner ha così ottenuto un valore da “pareggiare” in nome della reciprocità, poi dimezzato con quello che Trump, da navigato venditore, definisce uno “sconto”. In molti casi, tra cui quello europeo, il risultato appare comunque spropositato.
l 20% per Bruxelles, Pechino sale al 54
I dazi sulle merci dell’Unione europea, tra cui quelle italiane, saranno del 20%. Quelli del 34% contro la Cina si sommano al 20 già varato in precedenza, portando il totale a 54%. Giappone e India ricevono il 26%, la Corea il 25%, mentre il Regno Unito ha la tariffa più bassa, del 10%, così come Australia, Argentina, Turchia, Arabia Saudita. Sulla lavagna dei “cattivi” non compaiono Messico e Canada: su parte dei loro prodotti Trump aveva già applicato dazi tra il 10 e 25%, ma un’altra parte era e continua ad essere esentata
Tassa minima su tutto l’import, penalizzati acciaio e alluminio
I dazi reciproci dovrebbero colpire in modo orizzontale tutti i prodotti importati negli Stati Uniti, senza alcuna esenzione, salvo quelli, come per esempio le auto o l’acciaio, oggetto di barriere di settore specifiche. La tariffa “minima” universale del 10% partirà da domani, mentre quelle specifiche e più alte contro i 60 worst offenders, Paesi che – nell’ottica Trump – “fregano” di più gli Stati Uniti scatteranno da mercoledì 9 aprile. Di questo gruppo fa parte anche l’Europa.
Il colpo per l’automotive, 25% dalla mezzanotte di ieri
Oltre ai dazi reciproci e trasversali, alcuni settori specifici sono invece già colpiti da tariffe imposte nelle scorse settimane da Trump.
È il caso dell’acciaio e dell’alluminio, i cui prodotti sono tassati al 25%, e dell’automotive. Sulle auto prodotte all’estero sono scattate a mezzanotte tariffe al 25%, mentre sulle singole componenti entreranno in vigore dal 3 maggio. Altri settori potrebbero ricevere un trattamento specifico, come chip, farmaceutica, rame e legname.
Lo scenario peggiore
Dal punto di vista europeo, e italiano, il pacchetto annunciato da Trump – per livello ed estensione dei dazi – si colloca all’estremo peggiore delle previsioni. Ieri Confindustria aveva ipotizzato, in caso di tariffe al 25% (quindi poco superiori) e di ritorsione europea, un impatto sul Pil italiano di oltre 4 decimi quest’anno e di 6 nel 2026, che eroderebbe quasi del tutto la modesta crescita prevista. Si attende ora la risposta di Bruxelles e poi, si spera, un negoziato che scongiuri l’escalation. Nel frattempo resta l’incertezza.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Aprile 3rd, 2025 Riccardo Fucile
I POTENTI VERI NON SALGONO MAI SUL PALCOSCENICO DELLA POLITICA, POTREBBERO FARE UNA BRUTTA FINE
Tra Trump e Musk è già tutto finito. Chi l’avrebbe detto, eh? Che durassero comunque
tre mesi. Considerata la stabilità dei rispettivi caratteri, è possibile che ci ripensino e rimangano insieme alla Casa Bianca, oppure che la affittino a Putin per le vacanze, o ancora che si facciano ibernare in Groenlandia dopo averla invasa a cavallo di una Tesla mascherata da iceberg.
Ma per il momento vogliamo credere alle indiscrezioni che danno per conclusa l’avventura politica di Musk nei panni improbabili di consigliere di Trump e domatore di statali, mentre sarebbe stato meglio viceversa.
Nell’imbullonarsi alla poltrona, la burocrazia americana non avrà la costanza di
quella europea, ma è perfettamente in grado di tenere testa a un uomo d’azione che si annoia in fretta. Quanto a Trump, fa già fatica ad andare d’accordo col suo ciuffo arancione davanti allo specchio, figuriamoci se poteva sopportare di essere oscurato da un tizio che gira con un cappello a forma di formaggio e ha trasformato lo Studio Ovale in un asilo-nido, riempiendoglielo di piccoli Elon che si chiamano come algoritmi.
Da quando Musk aveva liberato l’estremista che è in lui, i titoli delle sue aziende erano precipitati. Strano che uno così sensibile alle teorie complottiste non sapesse che i potenti veri non salgono mai sul palcoscenico della politica; si limitano a mettere o togliere la corrente del denaro che muove il sole e le altre stelle. Ora tornerà dietro le quinte, sempre che Trump non abbia già venduto anche quelle.
(da corriere.it)
argomento: Politica | Commenta »