Maggio 15th, 2025 Riccardo Fucile
SCENDE DI 1,5 CENTESIMI AL LITRO L’IMPOSTA SULLA BENZINA, MA SALE DELLA STESSA CIFRA QUELLA SUL GASOLIO, PIÙ UTILIZZATO DA AUTOTRASPORTI E LAVORATORI (CON CONSEGUENZE INEVITABILI SUL PREZZO DELLE MERCI)
Da questa mattina l’accisa sulla benzina scende di 15 euro per mille litri (1,5 centesimi al litro) passando a 713,40 euro per mille litri (la vecchia aliquota era di 728,40); l’accisa sul gasolio usato come carburante sale di 15 euro per mille litri (1,5 centesimi al litro) a 632,40 per mille litri (la vecchia aliquota era 617,40).
A stabilirlo è il decreto del ministero dell’Ambiente e del ministero dell’Economia di concerto con Mit e Masaf 14 maggio 2025 “Revisione delle disposizioni in materia di accise”, adottato in attuazione del Dlgs di revisione del sistema delle accise per ridurre il “sussidio ambientalmente dannoso” individuato dal Catalogo Mase nell’aliquota più bassa sul diesel rispetto alla
benzina.
Così si legge nel provvedimento, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 110 del 14 maggio: “A decorrere dal giorno successivo alla data di pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, l’aliquota di accisa applicata alla benzina è ridotta di 1,50 centesimi di euro per litro; a decorrere dalla medesima data l’aliquota di accisa applicata al gasolio impiegato come carburante è aumentata di 1,50 centesimi di euro per litro”.
La Gazzetta Ufficiale è stata pubblicata ieri sera dopo le 21:38.
La misura era attesa, anche in considerazione del calo dei prezzi dei carburanti.
Il Dlgs di riordino dispone infatti che prima di adottare le variazioni delle aliquote sia valutato l’andamento dei prezzi medi di vendita di benzina e gasolio: nei due mesi solari precedenti l’adozione del decreto, si legge, rispetto al prezzo medio degli stessi prodotti rilevato dal Mase nell’anno 2024 la benzina è scesa del 3,75% e il gasolio del 3,87%.
Il Dlgs, ricordiamo, prevede che entro il 2029 le due aliquote siano allineate, con un extragettito complessivo per lo Stato calcolato intorno al miliardo di euro.
Il provvedimento adottato ieri dispone che le maggiori entrate (non eventuali, ndr) derivanti dalle variazioni delle aliquote siano destinate all’incremento del Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, per il finanziamento del rinnovo contrattuale del trasporto pubblico locale.
L’eliminazione del “sussidio dannoso per l’ambiente” (Sad) attraverso l’allineamento delle due aliquote è stata inserita dal governo Meloni nella revisione del Pnrr a fine 2023 (Raffaele Fitto ministro), poi recepito nel Piano strutturale di bilancio lo scorso settembre e infine annunciato dal ministro Giorgetti alla presentazione della manovra di bilancio, lo scorso ottobre.
(da agenzie)
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Maggio 15th, 2025 Riccardo Fucile
LE FORZE DI SICUREZZA DEL GOVERNO DI UNITÀ NAZIONALE HANNO SPARATO SUI DIMOSTRANTI ANTI DBEIBEH… LA LIBIA È UNA BOMBA UMANITARIA PRONTA AD ESPLODERE E A RIVERSARE NEL MEDITERRANEO MIGLIAIA DI IMMIGRATI
«Da mezzanotte alle nove e mezza di mattina è stato un vero inferno. Esplosioni,
raffiche, bombe, rumori di vetri infranti, urla: non abbiamo chiuso occhio. I libici sparavano come dei matti, non si capiva nulla, proprio qui, a due passi dal nostro albergo, in pieno centro città.
Una grande paura. Qui dicono che è normale, ma per me è una vera follia. Sto partendo adesso per Misurata in auto, approfitto di queste ore di calma. Parlano di tregua, non so quanto terrà. Poi, o riesco a prendere il volo inviato forse dalla Farnesina su Roma, oppure mi organizzo da solo e atterro dove capita, mi basta di uscire dalla Libia il prima possibile».
Sono le parole raccolte ieri sera dall’imprenditore 69enne padovano Bruno Ferrarese a farci toccare con mano la gravità della situazione. Da martedì notte Tripoli è ritornata nel pieno della guerra tra bande, come ai tempi della caduta di Gheddafi nel 2011, o nelle giornate peggiori delle sfide tra milizie, sino all’assedio da parte delle truppe della Cirenaica di Khalifa Haftar sei o sette anni fa.
Uno dei tanti imprenditori italiani che fanno affari in Libia. Sembra che al momento siano nel Paese 200-300 lavoratori italiani. «Non tutti si registrano e li stiamo cercando per aiutare l’evacuazione», ci dicono alla nostra ambasciata.
Oggi un centinaio potrebbe andare a Misurata con un convoglio organizzato dalla nostra rappresentanza per imbarcarsi sul volo speciale per Roma, che ieri
sera era in preparazione alla Farnesina.
I motivi della fuga sono evidenti. I media e i social locali affermavano ieri sera che in meno di 24 ore i morti sono stati «ben oltre cento», con un numero più alto di feriti.
Il caos violento della Libia priva di vera autorità centrale da 14 anni. Il premier Abdulhamd Dbeibeh (al governo dal 2021) a metà giornata annuncia una tregua e la fine degli scontri, ma pochi gli credono, ieri sera c’erano ancora spari sporadici.
Quest’ultima ondata di violenze ha origine lunedì sera con l’assassinio di Abdulghani Al-Kikli, noto come Ghaniwa e comandante dell’Apparato di Supporto e Stabilità che contribuisce alla forza militare della capitale. Suo nipote, il 32enne Saif, pochi giorni fa con un gruppo di uomini armati aveva fatto irruzione nelle due maggiori compagnie telefoniche nazionali per impadronirsi dei guadagni. Le altre milizie non hanno gradito, ne è scaturito un diverbio.
Risultato: tre colpi di pistola in faccia a Al-Kikli. Puro stile libico, la legge del più forte. Mentre i combattenti della sua milizia erano divisi tra i fuggiaschi e chi invece cercava vendetta, il premier Dbeibeh ne ha approfittato per lanciare una vasta operazione volta a smantellare una volta per tutte le milizie jihadiste che fanno il bello e cattivo tempo nella capitale.
Ma la sua mossa ha spinto le altre a coalizzarsi con la Rada, la milizia più forte che tra l’altro controlla anche l’aeroporto. Dbeibeh ha fatto appello ai vecchi alleati di Misurata, sua città natale, che da tempo vorrebbe controllare la piazza di Tripoli.
E così, in poche ore siamo tornati al vecchio scontro tra città-stato divise da odi tribali, ma anche in gara per la fetta più grossa dei proventi dell’export energetico e del traffico dei migranti.
Dbeibah vorrebbe liberarsi di Njeem Osama al-Masri, il capo dei gruppi armati che controllano le prigioni, tra cui quella terribile di Mitiga. È un volto noto in Italia, per lo scandalo della sua cattura con rapida liberazione lo scorso gennaio a Torino.
Intanto c’è il rischio che Haftar, oggi più che mai legato alla Russia di Putin, sia
invogliato ad approfittare del caos in Tripolitania per mandare i suoi soldati. Nulla prova che la crisi sia risolta.
Il primo ministro Dbeibeh, alle prese con la scadenza del suo mandato e indebolito dinanzi alle milizie, ha approfittato del caos scatenato dall’uccisione del capo delle gruppo paramilitare Ssa, Abdel Ghani al-Kikli, detto Gheniwa, per dare mandato alla Brigata 444 di scatenare la resa dei conti con un’altra milizia, Rada, per riprendere parte del controllo della capitale.
In attesa di capire come evolveranno gli eventi, il governo italiano ha attivato tutte le misure di emergenza possibili. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha convocato una riunione con i vertici della Farnesina per valutare l’ipotesi di evacuazione dei cittadini italiani. A Tripoli si trovano una cinquantina di espositori, presenti per una fiera dell’edilizia.
(da Il Corriere della Sera)
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Maggio 15th, 2025 Riccardo Fucile
L’8 MAGGIO SCORSO SONO STATI STANZIATI ALTRI 300MILA EURO: TRA LE SPESE, L’ACQUISTO DI 67 TROLLEY PERSONALIZZATI CON LOGO DELL’ENTE E INIZIALI DEL DESTINATARIO, E “OMAGGI DI RAPPRESENTANZA” COME CRAVATTE E FOULARD … TRA COMPONENTI DELLA GIUNTA, STAFF, CONSIGLIERI REGIONALI, DELEGATI DELLA SOCIETÀ “LAZIOINNOVA” E INTERPRETI SI CONTANO 51 PERSONE. E CHI SONO GLI ALTRI 16?
Una delegazione sempre più corposa. E un budget che è continuato a crescere fino alla vigilia della partenza. Francesco Rocca non vuole fare brutta figura a Osaka, in Giappone, dove dal 17 al 24 maggio la Regione Lazio occuperà (è proprio il caso di dirlo) il padiglione italiano all’Expo 2025. Così l’8 maggio scorso sono stati stanziati altri 300 mila euro, facendo salire il conto della missione a quota 1,8 milioni di euro. Il motivo di questa nuova immissione di denaro?
Nel conto ci sono anche 18.300 euro per l’acquisto di ben 67 trolley di una nota marca Usa, personalizzati con logo dell’Ente e iniziali del destinatario. […] Il 13 aprile scorso Il Fatto aveva raccontato in esclusiva la corsa di assessori, consiglieri e portaborse a salire sull’aereo per il Giappone. Ben 14 persone tra componenti della giunta e staff, più altri 12 consiglieri regionali di maggioranza e opposizione, scelti con rigoroso metodo Cencelli.
Considerando anche i delegati della società regionale LazioInnova e gli interpreti saliamo a 51 persone. Di chi sono gli altri 16 trolley omaggio, descritti in una scheda progetto firmata il 13 maggio dal presidente di LazioInnova, Francesco Marcolini? La società non risponde, la Regione nemmeno. Fonti del Fatto spiegano che qualcuno ha scelto di portare con sé figli e nipoti, mettendo di tasca sua il costo extra.
Ma come si arriva ai 299.194,46 euro dell’ultima determinazione dirigenziale? Tra gli “omaggi di rappresentanza” sono presenti anche 30 cravatte personalizzate e 30 foulard. Circa 170 mila euro riguardano il trasporto delle opere d’arte: l’Elmo Paladino, due abiti della Sartoria Tirelli, e un’urna etrusca e 4 teste del museo di Valle Giulia. Poi ci sono 105 mila euro per gli hotel St.
Regis di Osaka (dove suonerà l’orchestra del Teatro dell’Opera) e Westin di Tokyo.
Si legge negli atti regionali: “L’unico hotel che avesse disponibilità di stanze per una delegazione così numerosa e allo stesso tempo disponesse di uno spazio adeguato allo svolgimento della cena istituzionale (…) era l’Hotel St. Regis”. Infine, ci sono i 6.710 euro per i servizi di traduzione italiano-giapponese. Quelli sì, decisamente indispensabili.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Maggio 15th, 2025 Riccardo Fucile
ARRESTATO IL DIRETTORE DEL MARKET ED È STATA SEQUESTRATA LA SOCIETÀ, DAL VALORE DI TRE MILIONI DI EURO … “GRAZIE” AI SALARI DA FAME, NEGLI ANNI L’IMPRESA HA RISPARMIATO 2,7 MILIONI DI EURO… I DIPENDENTI, IN GRAVE DIFFICOLTÀ ECONOMICA, NON AVEVANO ALTRA POSSIBILITÀ CHE ACCETTARE DI ESSERE SFRUTTATI
Trentasette lavoratori di un supermercato del Catanese sarebbero stati impiegati “un
numero di ore nettamente superiore rispetto a quelle previste da contratto, con retribuzioni che, nei casi più gravi, si sarebbero attestate a 1,6 euro l’ora con stipendi mensili di 7-800 euro per i giovani a fronte di oltre 60 ore settimanali di lavoro”.
E’ quanto emerso da indagini della guardia di finanza che hanno portato all’arresto, per caporalato e autoriciclaggio, del rappresentante legale e del direttore commerciale, che sono stati posti ai domiciliari, e al sequestro preventivo della società, il cui valore è stimato in 3 milioni di euro.
Al centro delle indagini della compagnia della guardia di finanza di Paternò ci sarebbe un noto supermercato di Biancavilla dove un controllo, spiegano le Fiamme gialle, ha permesso di quantificare “l’omessa corresponsione di retribuzioni negli anni per un ammontare pari a circa 1.600.000 euro e di contributi previdenziali per 1.150.000 euro”.
Ai due indagati la Procura di Catania contesta la “reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali o, comunque, sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, i periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie; la violazione delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro”.
Per l’accusa “i lavoratori sfruttati, in ragione dello stato di bisogno in cui versavano, in virtù della situazione di grave difficoltà economica tale da limitarne la libertà di autodeterminazione, non avendo nessun’altra valida alternativa, accettavano di essere impiegati per molte più ore rispetto a quelle contrattualizzate, non godendo delle ferie maturate e fruendo di soli due riposi settimanali al mese”. Dalle indagini sarebbero anche emersi “elementi indicativi del reato di autoriciclaggio a opera del rappresentante legale della società in relazione al profitto del delitto di sfruttamento lavorativo”.
In particolare, e a titolo esemplificativo, ricostruisce la Procura di Catania, “sarebbe emerso a livello di gravità indiziaria che buona parte dei lavoratori veniva impiegata per circa 65 ore settimanali, a fronte di contratti che prevedevano un Impegno di 40 ore settimanali, fruendo di soli due riposi settimanali al mese” in contrasto con la norma che fissa il diritto del lavoratore ad avere ogni sette giorni a un periodo di riposo di almeno ventiquattro ore consecutive. I nuovi dipendenti, in servizio da un anno, secondo quanto emerso, non avrebbero mai fruito di ferie.
(da agenzie)
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Maggio 15th, 2025 Riccardo Fucile
A QUESTE PAROLE, GIANCARLO GIORGETTI, CHE SEDEVA DI FIANCO ALLA PREMIER, HA INIZIATO A SCUOTERE LA TESTA… QUALCUNO SPIEGHI ALLA “STATISTA DELLA GARBATELLA” CHE LO SPREAD RAPPRESENTA IL DIFFERENZIALE TRA I RENDIMENTI CHE GLI INVESTITORI CHIEDONO A DUE DIVERSI STATI PER ACQUISTARE IL LORO DEBITO. E, PER IL MERCATO, I BUND TEDESCHI RESTANO AMPIAMENTE “PIÙ SICURI” DEI TITOLI ITALIANI …LE OPPOSIZIONI INFILZANO MELONI: “COSÌ DIFFONDE FAKE NEWS”
Gaffe della premier Giorgia Meloni durante il question time alla Camera. Rispondendo a una interrogazione di Maria Elena Boschi, Meloni ha rivendicato il calo dello spread sotto i 100 punti commentando: “I titoli di Stato italiani vengono considerati più sicuri dei titoli di Stato tedeschi”.
Se il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, di fianco a lei, si è limitato a scuotere la testa, è stata immediata la reazione delle opposizioni, che hanno fatto notare come l’interpretazione non stia in piedi visto che i rendimenti dei Btp restano più alti di quelli dei Bund (di 100 punti base, appunto) e il rating dei titoli italiani è assai inferiore rispetto a quello dei titoli tedeschi.
“Peccato che abbia confuso il calo dello spread (misura della differenza dei rendimenti tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi) con il rating (valutazione del rischio finanziario e di credito).
Secondo le agenzie specializzate (Standard&Poor’s) i titoli di stato tedeschi hanno un rating AAA (il massimo della sicurezza dell’investimento), mentre quelli italiani sono classificati BBB, ben 8 livelli sotto”, il commento di Federico Fornaro del Pd.
Mentre i parlamentari M5S delle Commissioni bilancio e finanze di Camera e Senato parlano di cantonata e sottolineano che la discesa dello spread è legata all’aumento dei tassi sui Bund: “Sa quando Meloni si è insediata il rendimento dei Bund è aumentato del 41,8% mentre quello del Btp è rimasto stabile, calando solo di qualche punto
Del resto tutti gli spread europei stanno calando proprio per tale ragione, con la differenza che il rendimento dei Btp italiani è ancora più alto di tutti”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Maggio 15th, 2025 Riccardo Fucile
RACHELE SCARPA: “VIAGGI AMMANETTATI, UMILIAZIONIE DISPERAZIONE, IN ALBANIA STESSA VIOLENZA STRUTTURALE DEL CPR ITALIANI”
Con il decreto Albania, che ha trasformato l’hotspot di Gjader (fino a poco fa vuoto) in
Cpr, il governo “prende in giro gli italiani”, dice a Fanpage.it, la deputata Pd Rachele Scarpa. Finora, secondo i calcoli della parlamentare, sono in tutto 157 le persone portate in Albania. “Stiamo parlando di poche decine di disgraziati che subiscono una vera e propria deportazione. Tutto per esaudire quella che alla fine è un’esigenza di propaganda, ovvero dire che quei centri in qualche modo stanno venendo utilizzati”.
Nelle sue numerose visite nelle strutture albanesi, Scarpa è riuscita a ricostruire – non senza difficoltà – che cosa succede ai migranti deportati e il quadro è drammatico. “In Albania si riproduce la violenza strutturale che c’è nei Cpr in Italia”. Alcuni dei migranti con cui ha potuto parlare “hanno raccontato di situazioni che hanno subito assolutamente umilianti, della disperazione che provano e hanno provato nel capire solo quando arrivavano in Albania dove si trovavano”.
Con un decreto il governo ha trasformato le strutture albanesi in Cpr. È un tentativo di nascondere il fallimento del modello Albania?
Albania, Cpr di Gjader è in funzione e Meloni se ne vanta: in un mese 40 tentati suicidi e casi di autolesionismo
Beh, direi proprio di sì. I centri in Albania ostentano una forma di potere che vuole raccontarsi come sicura, ma la cui implementazione in realtà è oggettivamente molto fragile. Questo è dimostrato dal fatto che anche nel percorso legislativo, da ottobre a qui, si è proceduto per strappi, per tentoni, per aggiustamenti di volta in volta. Fino a qualche mese fa i centri dovevano in teoria trattenere le persone soccorse in acque internazionali, richiedenti asilo provenienti da Paesi sicuri. Tutto questo per pochi giorni e in un quadro normativo estremamente fragile da un punto di vista giuridico, tanto che le autorità giudiziarie non hanno mai convalidato quei trattenimenti e sono tutti sempre tornati in Italia. Ora si cerca di mettere una pezza sostanzialmente e lo si fa, secondo me, certificando un fallimento sopra di tutti, cioè il fatto che si cerca di esportare quanto di più brutto e sbagliato e violento abbiamo in Italia, cioè i Cpr, e si cerca di farli anche in Albania con tutte le complicazioni che comportano. Io penso che questo sia un fallimento politico, ma anche operativo che credo vada raccontato.
A tal proposito, lei si è recata più volte in Albania per svolgere delle attività ispettive nei centri. Ci racconta cosa avete visto? Quali sono le condizioni?
Sì, più che delle attività ispettive, sono state delle vere e proprie odissee alla ricerca di informazioni. Perché se c’è un dato, soprattutto, è stato che il nostro potere ispettivo, le nostre prerogative parlamentari e in generale la possibilità dell’opinione pubblica di accedere a delle informazioni precise su quante persone, su cosa succedeva là dentro, su come funzionavano veramente i centri, è stato praticamente impossibile e quasi nulla ci è stato comunicato se non sotto forma di dichiarazione trionfalistica da parte da parte del governo. Quello che abbiamo trovato è che anche in Albania si riproduce la violenza strutturale che c’è nei Cpr in Italia. Tutto ciò che non è stato detto dal governo ci veniva raccontato dalle persone migranti. Ci hanno raccontato di viaggi da 12 ore dai Cpr italiani, con tutto il viaggio in nave ammanettati. Ci hanno raccontato di situazioni che hanno subito assolutamente umilianti, della disperazione che provano e hanno provato nel capire solo quando arrivavano in Albania che si trovavano in Albania. E in generale una condizione di reclusione che è estremamente afflittiva anche più delle carceri italiane e che non lascia alcuna
prospettiva e alcuna speranza a quelle persone. Il che poi si ripercuote su quello che succede tutti i giorni.
Dalla vostra ultima ispezione assieme al Tavolo immigrazione e Asilo è emerso che nei centri si sono verificati tentativi di suicidio e atti di autolesionismo. Che cosa avete scoperto in particolare
Anche qui noi scopriamo cosa succede solo consultando il registro degli eventi critici, perché nulla ci viene detto altrimenti. Da lì abbiamo contato nei primi 13 giorni di attività del Cpr, ad aprile, 35 eventi critici, di cui più della metà erano atti di autolesionismo e o tentativi di suicidio. Una media di 2,7 al giorno che fa a gara con le peggiore carceri d’Italia. A questo si aggiunge il fatto che quelle persone si trovano in una condizione di isolamento da un punto di vista sanitario, di diritti familiari ed di assistenza legale ancora maggiore rispetto ai Cpr italiani. E questo non può che mettere in pericolo concreto, secondo me, la vita di chi sta lì dentro. Per questo abbiamo fatto anche una segnalazione al Comitato europeo di prevenzione per la tortura e i trattamenti inumani, perché credo che ci sia concretamente il rischio che succeda in Albania quello che è successo in Italia inizio maggio. Cioè persone che muoiono a 37 anni, o ad agosto a Potenza, a 19 anni per dei “malori” che sono solo condizioni causate dalle strutture in cui si trovano, che sono patogene violente.
Inizialmente il governo non ha comunicato i dati sui migranti nei centri. Ora sappiamo che sono 43 quelli trattenuti e 16 quelli rimpatriati, numeri comunque bassi per parlare di successo. Tra l’altro, i dieci Cpr italiani non sono pieni. Quindi perché queste persone dovrebbero essere spostate li?
Non esiste un senso logico nell’operazione Albania, logico e logistico. Tutte le persone che transitano per l’Albania, anche quelle che vengono rimpatriate, poi, devono tornare in Italia per essere effettivamente rimpatriate. Quindi un senso proprio materiale non c’è. A me non appassiona neanche questo gioco di numeri comunicati a spizzichi e bocconi che il governo ha tentato di fare. Provo a darvi un’altra prospettiva su questi numeri. Da ottobre, quindi da quando questi centri hanno iniziato a funzionare, sono state portate in Albania in tutto, alla meglio, 157 persone: erano 16 nel viaggio di ottobre, 8 nel viaggio di novembre, 49 nel viaggio di gennaio e ora noi stimiamo, anche se non abbiamo la certezza, che da
aprile a oggi ne siano transitate 84. Alla meglio 157 persone in sette mesi, per una spesa complessiva di 1 milione di euro in cinque anni. Io questo non lo chiamo solo fallimento, la chiamo presa in giro e lo chiamo anche accanimento, perché stiamo parlando di poche decine di disgraziati che subiscono una vera e propria deportazione. Tutto per esaudire quella che alla fine è un’esigenza di propaganda, cioè dire che in qualche modo quei centri stanno venendo utilizzati.
Ieri si è tenuto a Bruxelles un incontro della Commissione Libe sul rapporto dello Stato di Diritto in Italia, a cui ha partecipato anche il nostro direttore, Francesco Cancellato. Il rapporto segnala che l’uso Cpr in Paesi terzi risulterebbe vietato dalla direttive europee (la 2008/115/CE). È possibile quindi garantire in Albania le stesse tutele previste per i Cpr in Italia?
Assolutamente no e bisogna essere veramente in malafede per sostenerlo. Il punto più eclatante che ho anche ripreso ampiamente nella segnalazione al Comitato per la prevenzione della tortura, sono le criticità sanitarie laddove si manifestasse un’emergenza (e nei Cpr Sappiamo che si manifestano molto spesso). Chi sta in Italia viene messo in cura nell’ambito del Servizio sanitario nazionale italiano. Questo nel Cpr in Albania, ad esempio, non avviene e si viene eventualmente ricoverati presso strutture albanesi. Bisogna veramente essere audaci per sostenere che il trovarsi in un altro Paese non rappresenti un ostacolo anche per il diritto alla comunicazione, per il diritto alla difesa, per appunto la possibilità di essere raggiunti da delle reti familiari associative che nei Cpr in Italia qualche volta sono essenziali e sono vitali. Poi aggiungerei anche che il problema dei diritti e delle tutele e di che cosa è compatibile con lo stato di diritto si pone sui Cpr in generale: che siano in Italia o che siano in Albania sono luoghi dove le garanzie per la persona sono molto minori rispetto anche alle carceri. Non sono paragonabili nemmeno all’ordinamento penitenziario, tanto che sono normati da una legge di rango secondario, la direttiva Lamorgese. Questo sarà oggetto a giugno anche di una valutazione di legittimità costituzionale da parte della Corte Costituzionale. Quindi vedremo se abbiamo esportato fino in Albania un modello che non è neanche compatibile con la nostra Costituzione.
(da Fanpage)
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Maggio 15th, 2025 Riccardo Fucile
IL LEADER LEGHISTA E’ AI FERRI CORTI CON PALAZZO CHIGI DOPO LO STOP IMPOSTO DA MANTOVANO AL DECRETO SULLE INFRASTRUTTURE MA DIETRO IL RINVIO CI SONO ANCHE I DUBBI DEL QUIRINALE, IN PARTICOLARE SU UNA NORMA SUL PONTE E SU UN’ALTRA “SALVA-SPINELLI” CHE RIGUARDA IL PORTO DI GENOVA
Slitta il decreto omnibus sulle infrastrutture. Quello voluto da Matteo Salvini. Al mattino, all’improvviso, viene rinviato il consiglio dei ministri convocato per le 17.45 di ieri. Sconvocato in gran fretta dopo un vertice tecnico a Palazzo Chigi. È Alfredo Mantovano a imporre lo stop.
Troppi i dubbi di Palazzo Chigi su alcuni dettagli. Ma a scavare si scopre che non è solo nel quartier generale meloniano che nasce il rinvio: è al Quirinale – si apprende da fonti dell’esecutivo, poi confermate a tutti i livelli politici e istituzionali – che rallenta la corsa del testo voluto dal vicepremier del Carroccio. Perché nell’interlocuzione informale tra gli uffici dell’esecutivo e quelli del Colle, che precede sempre il varo dei dl, emerge la necessità di alcuni approfondimenti.
Tecnici, innanzitutto, ma anche di metodo. Il provvedimento omnibus è infatti assai corposo, perché contiene oltre duecento nuove previsioni di legge. E non per tutte, tra l’altro, sembrano valere ragioni di necessità e urgenza. Un dettaglio non irrilevante, visto che più volte il capo dello Stato ha chiesto di non abusare di questo strumento.
Quando si consuma lo slittamento, Sergio Mattarella è lontano. Da martedì è in visita in Portogallo, ieri ospite a Coimbra. Si attenderà dunque il suo rientro nella Capitale per affrontare il dossier e provare a sbrogliare la matassa. Per capire il peso di quanto accaduto nelle ultime ore, intanto, bisogna fare almeno un paio di passi indietro.
Il primo, fino a martedì pomeriggio. L’ultima bozza del testo del decreto approda sul tavolo di Palazzo Chigi. E subisce un primo, deciso stop. L’artefice della frenata è proprio Mantovano. Su un punto, in particolare, si incaglia il governo: è la cosiddetta norma “salva Spinelli”.
Si tratta di una questione complessa e assai tecnica, che si può provare a riassumere così: una sentenza del Consiglio di Stato aveva annullato una concessione di Genoa Port Terminal (gruppo Spinelli, partecipato al 49% dalla tedesca Hapag Lloyd). In attesa della pronuncia definitiva della Cassazione, l’autorità portuale aveva stabilito un regime transitorio per permettere lo svolgimento delle attività. Ne era seguita una battaglia di ricorsi e controricorsi, che l’esecutivo progettava di superare attraverso il decreto con un microritocco alla legge portuale. Garantendo di fatto il superamento della pronuncia del Consiglio di Stato e assicurando a Spinelli e Hapag Lloyd di non perdere la concessione.
La norma viene infine cancellata da Palazzo Chigi. Ma non basta. Siamo a ieri. Al mattino si riunisce il pre-consiglio. E vengono sollevati nuovi dubbi, stavolta attorno a una norma sul Ponte di Messina.
Nel decreto, infatti, spunta un cavillo che, come anticipato da Repubblica, permette l’aumento dei contratti delle aziende che devono realizzare l’opera (anche se dalla società Stretto di Messina, committente per lo Stato, assicurano che comunque il tetto resterà a 13,5 miliardi di euro come previsto dalla legge di bilancio). In ogni caso, anche questa previsione finisce sotto la lente di Mantovano.
E attira l’attenzione degli esperti del Colle. Ne nasce un confronto diretto tra gli uffici di Palazzo Chigi, del ministero delle Infrastrutture e del Quirinale. Sono almeno cinque i passaggi legislativi su cui riflettere.
Serve tempo, insomma. Alla fine, è lo stesso Salvini a chiedere lo slittamento, su suggerimento di Mantovano. È la strada più ragionevole, anche per evitare frizioni gratuite con il Quirinale.
Ciononostante, quanto accaduto sembra lasciare scorie ai vertici dell’esecutivo. E, in particolare, tra Palazzo Chigi e il leader della Lega. Salvini decide di disertare platealmente l’intervento di Meloni alla Camera, durante il premier
time: mentre alle 16 la presidente del Consiglio affronta le opposizioni in Aula, viene fotografato per i quarti di finale degli Internazionali d’Italia
(da agenzie)
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Maggio 15th, 2025 Riccardo Fucile
NELL’ULTIMO MESE LA RAI HA DEDICATO ALLE CONSULTAZIONI DELL’8 E IL 9 GIUGNO SU LAVORO E CITTADINANZA APPENA LO 0,62% DELLO SPAZIO IN TG E TALK, MEDIASET LO 0,45%… L’AGCOM HA ADOTTATO UN PROVVEDIMENTO DI “RICHIAMO” PER TUTTE LE EMITTENTI, INVITANDOLE A “UN’ADEGUATA COPERTURA SUI TEMI OGGETTO DEI REFERENDUM”
Sabotaggio referendum via tv. Quattordici tabelle e una sola certezza: l’imminente
consultazione popolare su cittadinanza e lavoro non vale, dati alla mano, neanche l’uno per cento dell’offerta informativa.
In poco più di un mese di programmazione, si va dal clamoroso 0,62 per cento rilevato, in media, su tg e talk della Rai meloniana allo 0,45 per cento del colosso Mediaset – reti controllate direttamente o indirettamente dalle forze di
maggioranza – fino a salire verso gli spazi appena meno angusti destinati da Sky e da La7 ai cinque quesiti che attendono il sì o il no dei cittadini per l’8 e il 9 giugno.
È impietoso il monitoraggio in mano all’Agcom, che tre giorni fa aveva adottato il provvedimento di “richiamo” per la Rai e tutte le altre emittenti, spingendole a «un’adeguata copertura sui temi oggetto dei referendum».
Dati analizzati da Repubblica che confermano l’allarme lanciato dalle opposizioni sul pesante oscuramento in corso. E che, nel giorno dello show di Magi alla Camera travestito non a caso da fantasma, preoccupano un costituzionalista come Roberto Zaccaria.
«Anche se nel periodo di osservazione ci sono le guerre, la morte di Francesco e il nuovo pontificato, non appare giustificabile un silenzio così mirato, con punte di inadempienza inaccettabili nei tg di Stato», sottolinea l’ex presidente Rai.
L’osservazione dell’Authority va dal 9 aprile al 10 maggio scorso. La maglia nera della Rai tocca proprio alla rete ammiraglia, con uno 0,89 per cento del Tg 1: significa meno di 39 minuti in 32 giorni, dedicati globalmente a tutti e cinque i referendum; meno peggio il Tg 3 con un risicato 1,17.
Mentre cola a picco, con uno 0,14 , lo spazio dei contenuti extra Rai ( Porta a Porta, Linea Notte, Agorà, Rainews speciale ): meno di 40 min spalmati in centinaia di ore di programmazione. In casa Mediaset, primato negativo a Studio Aperto : 7 minuti di spazio (lo 0,26 per cento), seguiti dai 21 minuti del Tg 4 e da poco meno di mezz’ora concessi dalTg5.
Va meglio, rispetto al regime di buio pressocché completo, con lo 0,75 dei programmi La 7 e con il graduale miglioramento di Sky, che arriva allo 0,82. Ed è il tg di Mentana a lanciare un sondaggio che stima la partecipazione tra il 33 e il 36 per cento.
(da agenzie)
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Maggio 15th, 2025 Riccardo Fucile
IL GOVERNO SOVRANISTA RAGGIUNGE UN ALTRO RECORD
Il debito pubblico italiano tocca un nuovo record a marzo: è aumentato di 9,5 miliardi rispetto al mese precedente, salendo a 3.033,9 miliardi. Lo rende noto Bankitalia precisando che il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche (23,7 miliardi) ha più che compensato la riduzione delle disponibilità liquide del Tesoro (13,9 miliardi, a 62,2) e l’effetto degli scarti e dei premi all’emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e della variazione dei tassi di cambio (-0,2 miliardi).
Con riferimento alla ripartizione per sottosettori, il debito delle amministrazioni centrali è aumentato di 9,6 miliardi, mentre quello delle amministrazioni locali è diminuito di 0,1 miliardi, sottolinea la Banca d’Italia. Il debito degli enti di previdenza è rimasto invece sostanzialmente stabile. La vita media residua del debito – immutata rispetto al mese precedente – è risultata pari a 7,9 anni.
La quota del debito detenuta dalla Banca d’Italia è diminuita al 20,5 per cento (dal 20,8 del mese precedente). A febbraio (ultimo mese per cui questo dato è disponibile) la percentuale del debito detenuta dai non residenti è aumentata al 31,9 per cento (dal 31,4 dello scorso gennaio), mentre quella detenuta dagli altri
residenti (principalmente famiglie e imprese non finanziarie) è aumentata al 14,3 per cento (dal 14,2 del mese precedente).
A marzo le entrate tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato sono state pari a 38,1 miliardi, in aumento del 2,8 per cento (1,0 miliardo) rispetto al corrispondente mese del 2024. Lo rende noto Bankitalia nella pubblicazione statistica “Finanza pubblica: fabbisogno e debito”. Nei primi tre mesi del 2025 le entrate tributarie sono state pari a 128,1 miliardi, in aumento del 4,2 per cento (5,1 miliardi) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
(da agenzie)
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