“ALLE COMUNALI RISCHIAMO DI PRENDERE MENO VOTI DI OTTOBRE”: NEI TERRITORI I MILITANTI GRILLINI SONO PREOCCUPATI
“MANCANO TUTTE LE STRUTTURE CHE CONTE AVEVA ANNUNCIATO CON LA NASCITA DEI COMITATI. BISOGNA ACCELERARE”
Dopo le minacce, lo stallo. Nel Movimento 5 stelle ieri, nonostante la raffica di dichiarazioni al veleno degli ultimi giorni, sembrava regnare una strana calma. «Oggi c’è la pax mattarelliana» ironizza uno dei volti più noti tra i parlamentari M5s intercettato all’uscita da Montecitorio.
Una relativa quiete che chiaramente più che a una vera tregua fa pensare al fatto che le manovre di accerchiamento avviate da Luigi Di Maio e Giuseppe Conte sono tutt’ altro che strategie da guerra lampo.
La carta Virginia Raggi giocata dal primo, e l’asso Beppe Grillo calato dal secondo, non hanno spostato immediatamente gli equilibri, ma è escluso non lo facciano al momento giusto.
Così come avranno senza dubbio un peso il nuovo statuto redatto proprio dall’avvocato l’estate scorsa (rendendo di fatto inverosimile una sua sfiducia), e le numerose entrature tra i parlamentari che può vantare il ministro.
Intanto però Conte ieri, nel ribadire che il confronto va affrontato «nelle sedi e secondo le modalità opportune» (quindi in pubblico e non solo in assemblea congiunta come chiesto dai senatori) perché nel M5s «le questioni le affrontiamo con la democrazia diretta, digitale», sembra aver quantomeno provato ad abbassare toni: «Gli iscritti saranno coinvolti nella misura in cui vogliono capire cos’ è il M5s, qual è la direzione di marcia, chi siamo, cosa stiamo diventando. Questa discussione va fatta, io credo che il ministro Di Maio abbia posto le questioni in questa prospettiva».
Una timidissima mano tesa che apre alla possibilità se non che il ministro degli Esteri (con cui non debba per forza finire fuori dal partito se dovesse risultare sconfitto nel redde rationem, quanto che non debbano necessariamente farlo i suoi.
Tant’ è che, a rimescolare bene nei gruppi, c’è chi sostiene che questi giorni servano soprattutto a contare le truppe. «Noi non abbiamo mai avuto correnti né la necessità di crearne – spiega un senatore al secondo mandato – per cui non sappiamo realmente chi sta con chi».
E poi è noto che tra i due ci sia «una massa grigia» di eletti che «non hanno preso una posizione definita». Ed è anche per questo che il confronto davanti agli iscritti «è temuto da entrambi».
Se dovesse essere la base a decidere infatti, considerato che di mezzo ci sono risultati elettorali tutt’ altro che esaltanti e la battaglia sul vincolo al secondo mandato (che taglierebbe fuori dalla possibile rielezione circa 70 parlamentari, Di Maio compreso), oggi nessun risultato sarebbe scontato. Anche perché mentre Luigi e Giuseppe incrociano le spade, gli elettori del Movimento continuano ad agitarsi. Specie in quelle città dove nel giro di qualche mese si andrà al voto.
Quasi mille comuni italiani, tra cui anche 25 capoluoghi di provincia. Una battaglia sul territorio che, nonostante l’intesa con il Pd della scorsa tornata e le parole al miele dell’epoca, non è detto che il M5s combatterà organicamente accanto ai dem. Tant’ è che anche città culla dei grillini come Genova o Parma non c’è affatto un candidato definito, né ce ne sono a L’Aquila o a Palermo.
E se la volta scorsa Conte quasi se ne lavò le mani sostenendo di aver seguito una direzione già definita, stavolta è impensabile che non prenda in mano la situazione. A patto che il mandato di Conte consista in una leadership definita.
«Così – spiega il senatore – il rischio è che raccoglieremo meno voti di ottobre. Io sono presente sul mio territorio e mancano tutte le strutture che Conte aveva annunciato con la nascita dei comitati. Bisogna accelerare».
Sullo sfondo poi, resta sempre il nodo del governo. L’incontro di tra Di Maio e Giorgetti del resto, il moderato della Lega che non ha preso parte al Cdm di mercoledì scorso, quello che ha visto l’astensione dei suoi colleghi di partito, racconta anche di questo. Dell’asse per il premier che si voleva anche al Quirinale.
Al contrario di Conte che, oltre a non aver voluto il premier al Colle, ora preme per ottenere di più, vuole un «patto» con Draghi che espliciti le priorità per il M5s. Così come chiede Salvini. Insomma dietro lo scontro tra Conte e Di Maio ci sarebbe anche la linea da tenere sulla fedeltà all’esecutivo, nell’ottica di possibili futuri scossoni pre-elettorali.
(da “il Messaggero”)
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