BERLUSCONI HA PROVATO A CORREGGERE IL TIRO SULLA RUSSIA, PUR STANDO BEN ATTENTO A NON NOMINARE NÉ ATTACCARE L’AMICO PUTIN
SOLO LA GELMINI HA AVUTO IL CORAGGIO DI PRENDERE POSIZIONE, MA LA SUA NON È AFFATTO UNA POSIZIONE ISOLATA
I malumori, i timori, gli scontri frontali e le rivalità restano per un giorno sospesi, in un partito che si aggrappa al suo leader ancora una volta, e che attorno a lui – assieme trascinante e stremato – si compatta.
Alla fine di una due giorni difficile, in un clima più pesante rispetto a quello festoso della prima kermesse di un mese fa a Roma che aveva visto il ritorno in presenza del Cavaliere, Silvio Berlusconi per tranquillizzare gli animi è costretto a correggere sé stesso e le sue dichiarazioni sull’Ucraina, parlando con disinvoltura ai giornalisti di poca opportunità di fornire armi e di necessità di «convincere» gli ucraini ad accettare in qualche modo le richieste di Putin.
Salvo poi, in serata, prima di godersi due pizze (una battezzata «Silvio» e l’altra «Marta» sul lungomare con la compagna Fascina), sentirsi al telefono con Matteo Salvini che gli ha sottolineato come «a sinistra parlano di guerra e armi mentre noi lavoriamo per il cessate il fuoco». Una sintonia che non si incrina, insomma.
Però le sue parole avevano messo in grande imbarazzo il partito, compreso quell’Antonio Tajani che – come un direttore d’orchestra – ha gestito e accompagnato ogni passaggio della Convention facendo alternare sul palco ospiti di peso ai vertici del Ppe, compresa la presidente del Parlamento europeo Metzola.
Tutto per dare a FI la veste tradizionale – europeista, atlantista, liberale, anche governativa visto il peso dato ai tre ministri – ma che Berlusconi rischiava di oscurare con parole a briglia sciolta.
Il leader ha quindi accettato di far diramare prima, venerdì sera, una nota chiarificatrice, poi ieri ha ribadito anticomunismo e vicinanza all’Ucraina, anche militare se in chiave difensiva. È bastato almeno per evitare nuove polemiche, limitate all’uscita mattutina della ministra Gelmini che chiedeva chiarezza e che, al termine dell’intervento, non ha commentato proprio per evitare di tornare sull’argomento ed evitare di ripetere tutte le sue critiche.
Che comunque restano: quelle di una Forza Italia troppo schiacciata sulla Lega, che non aiuta il governo, che sta perdendo la sua ispirazione liberale e che al vertice ha una linea di comando che condiziona le mosse del Cavaliere.
Critiche che solo lei ha mosso in pubblico. Gli altri due ministri, Carfagna (lodata da Berlusconi dal palco) e Brunetta, tacciono e si muovono agilmente al governo fedeli alla linea Draghi e assieme confermando vicinanza a Berlusconi; in Sicilia il partito si è spaccato su Musumeci ma l’eco non arriva fino a Napoli.
Il fermento per la scelta dei nuovi coordinatori è tanto. Il tutto alla vigilia di un turno difficile di Amministrative e con l’angoscia per le ricandidature alla Politiche, che rende difficile esporsi.
Quindi la Gelmini appare forse più isolata di quanto sia. Tajani non si capacita, ci resta male: «Il partito è unito, anche se non è una caserma». Maurizio Gasparri sintetizza e manda un messaggio alla ministra: «C’è un tempo per tutto, pure per le critiche. Ma come si fa nella giornata di Berlusconi, quella in cui parla, si espone, e non lo fa tutti i giorni, ad attaccarlo? Questo è il suo giorno, va rispettato».
D’altronde allo stato non sembrano esistere progetti alternativi a FI, e più la lotta per la sopravvivenza si fa dura, più diventa sotterranea. Di visibile c’è un Berlusconi fragile e assieme indispensabile, unico collante di un partito sull’altalena tra antichi fasti e nuove paure.
(da Il Corriere della Sera)
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