BUIO PESTO SULLA TAV
IL VERTICE SURREALE NELLA NOTTE LASCIA LE POSIZIONI INVARIATE E OPPOSTE: CLIMA DI PRE-CRISI DI GOVERNO
Il governo è in un tunnel, in cui non si vede la luce.
È tutto in un aggettivo, che Matteo Salvini a notte inoltrata consegna ai suoi all’uscita da Palazzo Chigi, visibilmente infastidito, esausto, consapevole che sulla Tav è l’intero impianto del governo gialloverde, il suo “capolavoro” politico a rischiare.
“Surreale”: è questo aggettivo che il leader della Lega, parlando coi suoi, usa per descrivere il vertice di questa notte.
Per tre ore è stata una battaglia tra i tecnici dell’una e dell’altra parte, ognuno impegnato a smontare le tesi degli altri.
Tavoli pieni di carte, slide, discorsi lunari, senza arrivare al dunque, perchè il nodo è politico, a settantadue ore dalla pubblicazione dei bandi che, in caso di annullamento, farebbe scattare un inferno di penali.
Per ora la linea di Salvini è di mantenere la calma, come ha fatto parlando a Potenza, con parole rassicuranti sul governo che non rischia, ma si respira un’aria da “pre-crisi” attorno al Capitano.
Perchè, come in un gioco dell’oca, si è tornati al punto di partenza, dopo mesi di chiacchiere, euforia dichiaratoria, analisi costi-benefici presentate come la Bibbia e messe da parte poi come documenti farlocchi. Sì o no, alla Tav. Punto.
E le posizioni sono, al momento, inconciliabili.
È stato alla fine del vertice che Luigi Di Maio ha messo agli atti la sua irrinunciabile richiesta del no alla pubblicazione dei bandi, da mettere al verbale già al cdm di questa sera.
Perchè una qualunque posizione diversa, che passasse per l’avvio dei bandi della Telt previsto per lunedì, equivarrebbe a una frana nel Movimento: “Luigi non li regge più — è il punto che fa Salvini coi suoi – perchè ha l’elenco dei consiglieri regionali pronti a dimettersi, 4-5 senatori che lasciano il Movimento”.
Per non parlare di Alessandro Di Battista che ha fatto sapere che il no alla Tav è il discrimine della sua partecipazione alla campagna per le Europee.
Ed è stato sempre alla fine del vertice che Salvini ha fatto capire che per la Lega la non pubblicazione dei bandi sarebbe inaccettabile, per tutta una serie di ragioni oggettive — la perdita dei finanziamenti, le penali, le responsabilità giuridiche che si assume chi blocca l’opera, ministri compresi — e soggettive, perchè a quel punto è la Lega a non reggerla al Nord.
Posizione ribadita quando la Lega fa sapere “che la Tav è utile per la crescita del Paese. E la conferma dei bandi resta un passaggio fondamentale per la realizzazione dell’opera”.
È una situazione limite. La classica situazione politica in cui indietro non si può tornare e avanti non si riesce ad andare.
Sono i classici casi in cui la crisi è il prodotto non di una volontà di rompere, ma di una impossibilità ad uscire dall’incastro perfetto.
E stavolta la crisi è nel novero delle possibilità , anzi tra i leghisti qualcuno vicino a Salvini la giudica “ineluttabile” come in una coppia in cui, nonostante il sentimento, la convivenza è diventata impossibile. Se il premier si presenta al cdm con la proposta di annullare i bandi, a quel punto c’è il patatrac.
Adesso è tutto nelle mani di Conte, anche se le ore che passano bruciano soluzioni e margini di compromesso, a meno che qualcuno non ceda. Il premier annuncia una conferenza stampa dicendo che sulla Tav “anche io sono dubbioso” e ha convocato il dg di Telt, Mario Virano, a Palazzo Chigi.
Al momento non è confermato che i leader torneranno a vedersi oggi. Difficile prima del consiglio dei ministri del pomeriggio, possibile dopo anche se Salvini ha un impegno Tv.
Tutto nelle mani di Conte, dicevamo. L’idea bislacca di pubblicare i bandi per dirottare i fondi sul Frejus — praticamente una barzelletta politica e un gioco delle tre carte politico — è già caduta perchè i soldi previsti da un trattato internazionale su un’opera non possono essere dirottati su un’altra opera.
Ora l’idea del premier è di cercare un bilaterale con la Francia per ridiscutere l’opera, come se un bilaterale con Macron fosse una cosa che si organizza dalla sera alla mattina, magari facendo un fischio perchè siccome il governo italiano rischia di cadere per incompetenza in materia, l’Eliseo può chiudere un occhio sui trattati già sottoscritti.
La nota che, in mattinata, viene diramata da palazzo Chigi è più sbilanciata verso le posizioni grilline, laddove si parla di “criticità ” sull’opera e della necessità di “affrontare il tema della ripartizione dei finanziamenti del progetto tra Italia, Francia e Unione europea”.
Siamo un nuovo capitolo di questa estenuante manfrina, in cui non si affronta il punto vero, la pubblicazione dei bandi.
L’avvocato Conte sa che le aziende aggiudicatarie e danneggiate da un eventuale stop potrebbero intraprendere una azione civile contro chi ha assunto questa decisione.
E lo stesso problema avrebbero i consiglieri della Telt, l’aggiudicataria della Torino-Lione assieme a Ferrovie. In una situazione del genere, anche di fronte a un no del governo, potrebbero varare i bandi, per poi dimettersi il minuto e non subire azioni civili.
Nella Prima Repubblica, quando c’erano delle logiche, una crisi si sarebbe già aperta, anche con la furbizia di chi sa che, con la crisi, la pubblicazione dei bandi procede.
In questa Repubblica sovranista lo spettacolo surreale continua.
(da “Huffingtonpost”)
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