COLDIRETTI PIGLIA TUTTO, ANCHE IL BUSINESS DEI CAF AGRICOLI
LE MANOVRE DI LOLLOBRIGIDA PER FAVORIRLA, PENALIZZANDO LE SIGLE MINORI
Voci alternative (e scomode) quasi sempre non invitate ai tavoli ministeriali dove si decide il futuro dell’agricoltura e a cui partecipano, invece, Coldiretti, Confagricoltura e Cia. Ora le organizzazioni minori, come Confederazione italiana Liberi Agricoltori, Assorurale e Altragricoltura bio, rischiano di essere escluse definitivamente dalla gestione dei fascicoli per l’accesso ai contributi europei in agricoltura e sviluppo rurale. Uno schema di decreto del ministro Lollobrigida, infatti, pone così tanti ostacoli alle organizzazioni minori, da costringere gli agricoltori a rivolgersi a quelle più grandi, principalmente Coldiretti o Confagricoltura, per attivare pratiche e ottenere finanziamenti a cui hanno diritto. Secondo le organizzazioni, è l’ennesima manovra che mostra l’influenza di Coldiretti sul Governo di Giorgia Meloni, che guarda caso ha scelto il villaggio Coldiretti per la sua prima uscita ufficiale da premier. Un’influenza, quella dell’associazione sui governi, esercitata dai tempi della Democrazia Cristiana e in maniera sempre più forte sui ministeri dell’Agricoltura, fino a diventare una sorta di eredità per chiunque abbia ricoperto il ruolo che oggi è di Francesco Lollobrigida. Sono partite da Coldiretti l’idea del nuovo ministero della ‘Sovranità alimentare’ e le battaglie per i contratti di filiera (per cui sono stati raddoppiati i bandi ministeriali) e contro la carne coltivata. Un legame rafforzato da porte girevoli e alleanze che i vertici delle giubbe gialle hanno intrecciato con i colossi di industria alimentare, grande distribuzione, energia e mondo bancario, sotto l’ombrello di Filiera Italia, presieduta dall’ex ministro Paolo De Castro. Un sistema che viene contestato da chi non si sente tutelato, con la crisi di rappresentanza che può costare cara alla Confederazione dei coltivatori diretti, più potente che mai nell’era di Vincenzo Gesmundo, segretario generale dal 1998.
Fuori dai tavoli ministeriali
“Dal 2007 siamo sempre stati presenti ai tavoli ministeriali, fino a quando il Governo Meloni ci ha tirato fuori da quelli di diversi comparti” racconta a Il Fatto Quotidiano Furio Camillo Venarucci, fondatore e vicepresidente di Confederazione italiana Liberi agricoltori, che oggi conta 55mila iscritti. “Non intrecciamo interessi con l’industria agroalimentare e ai tavoli abbiamo sempre mandato gli agricoltori – rivendica – perché conoscono i problemi del settore, ma abbiamo disturbato. Così, oggi sono pochi i tavoli a cui partecipiamo, come quelli su canapa e mais”. Eppure si parla di una organizzazione riconosciuta, nel 2022 (ministro era Stefano Patuanelli), come tra le cinque più rappresentative, insieme alle quattro nel Cnel, ossia Coldiretti, Confagricoltura, Cia e Copagri. “Tra queste, siamo l’unica gestita totalmente da agricoltori e garantiamo il cibo sano ai consumatori, cosa che non fa l’importazione di alimenti che arrivano da mezzo mondo, dove utilizzano prodotti da noi vietati” aggiunge Venarucci. A protestare, in questi giorni, anche il gruppo degli Agricoltori Indipendenti Italiani. Non riconosce “alcuna associazione, sindacato o altro organo a rappresentarli” e ha diffidato Coldiretti “a parlare in loro nome” a Bruxelles, descrivendo un comparto agricolo “amareggiato dagli avvicendamenti degli ultimi anni”.
Chi gestisce le richieste dei contributi Ue
Nell’inchiesta Vanghe Pulite lo racconta Dario Dongo, avvocato esperto in diritto alimentare internazionale e fondatore di Great Italian Food Trade, parlando anche della gestione dei contributi Ue. In Italia è l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (ente statale più volte richiamato dalla Corte dei Conti) a gestire registrazioni delle imprese, domande e liquidazioni, attraverso il Sistema informativo agricolo nazionale. Nel 2001 sono nati i Centri di Assistenza Agricola autorizzati, soggetti privati poi riformati nel 2008 “a cui è affidata – spiega Dongo – gran parte delle pratiche del settore agroalimentare presentate attraverso il Sian e gestite da Agea per la fase istruttoria e di liquidazione”. Prima sono state imposte, per entrare nel sistema, una serie di condizioni ai liberi professionisti, che dovrebbero costituire CAA o convenzionarsi con essi per offrire i servizi per i quali sono già abilitati da norme e ordini professionali. Anomalia alla quale solo di recente si sta cercando di trovare una soluzione. L’ultima ‘manovra’ è uno schema di decreto del ministro Lollobrigida di cui è stata diffusa una bozza ad agosto. I requisiti previsti per i CAA che possono gestire quote dei contributi Ue escluderebbero quelli delle organizzazioni minori, creando una sorta di monopolio (o quasi) sui Centri di Assistenza agricola. “L’ambito territoriale operativo di questi centri dovrebbe coincidere almeno con il territorio di una regione o provincia autonoma – spiega Mario Apicella di Altragricoltura bio – mentre il CAA dovrebbe avere strutture in tutte le province di quella regione e operatori con rapporto di lavoro subordinato e clausola di esclusiva. In questo modo si fanno fuori le piccole associazioni di categoria”. In Italia a occuparsi di questi fascicoli ci sono sempre stati anche i settori agricoli dei sindacati Cgil, Cisl e Uil. “Stando a questo schema – continua – possono continuare a occuparsi di piccole pratiche, ma non tenere i fascicoli delle aziende, quasi tutti in mano a Coldiretti”. Una partita che vale miliardi di euro l’anno.
Il legame tra Governo e Coldiretti
Tutto il testo lo fa un rapporto simbiotico tra ministero dell’Agricoltura e Coldiretti, che ha permesso a quest’ultima di rafforzare il suo potere. Certamente nella lunga era di Vincenzo Gesmundo, affiancato in questo momento storico dal presidente Ettore Prandini. Proprio Gesmundo, consapevole del disastro che può rappresentare la protesta dei trattori in termini di consenso, ha già richiamato i suoi a una reazione immediata in nome di quello che definisce ‘Orgoglio Coldiretti’. La posta in gioco è alta: intanto c’è proprio il rapporto simbiotico con il governo. Poche settimane dopo la diffusione dello schema di decreto, il 13 settembre 2003, il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida ha nominato come capo di gabinetto Raffaele Borriello, prima ex direttore generale di Ismea, l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare, e poi, dopo essere stato vicecapo di gabinetto del ministro Maurizio Martina e capo gabinetto dell’ex-ministra Teresa Bellanova, a capo dell’area legislativa e relazioni istituzionali di Coldiretti. Ora, però, è al ministero che ha appena pubblicato il bando che stanzia altri due miliardi di euro per i contratti di filiera. Sul quinto bando sono piombate polemiche (e pure ricorsi). Tra i 38 progetti approvati, sette sono stati presentati da Raffaele Grandolini, responsabile della Finanza di Coldiretti e quattro da Davide Granieri, vicepresidente nazionale di Coldiretti e presidente di Coldiretti Lazio. Ma quello di Borriello non è certo l’unico caso. Prima di essere capo dell’Area Economico-Sindacale di Coldiretti, Ezio Castiglione è stato capo gabinetto degli ex ministri per l’Agricoltura Gianni Alemanno e Paolo De Castro, secondo lo stesso Gesmundo “il parlamentare europeo che in questi anni è stato più vicino alle istanze Coldiretti”. Anche il responsabile dell’Agricoltura di Fratelli d’Italia, Aldo Mattia, è stato per quasi mezzo secolo nella Coldiretti, ricoprendo anche ruoli al vertice.
Da Bonifiche Ferraresi a Filiera Italia
Ma il potere si alimenta con alleanze e operazioni. Come la nascita di Filiera Italia (oggi presieduta da De Castro con vice Ettore Prandini) nella quale Coldiretti è socia di industriali (come McDonald’s, ma anche Inalca e Montana di Cremonini, leader nella trasformazione della carne), grande distribuzione organizzata e pure Eni. E poi c’è l’alleanza con Bonifiche Ferraresi, prima azienda agricola italiana per superficie, con cui si è data vita a IBF Servizi, che affianca le aziende del settore nello sviluppo dell’agricoltura di precisione. Bonifiche Ferraresi è l’anima agricola della holding BF, quotata in Borsa, che ha inglobato i segmenti chiave del comparto, dalle sementi ai consorzi agrari. Amministratore delegato di BF è Federico Vecchioni (ex presidente di Confagricoltura) che l’ha comprata, mentre Coldiretti creava Consorzi agrari d’Italia. In Cai, invece, amministratore delegato è Gianluca Lelli (capo dell’Area Economica di Coldiretti e delfino di Gesmundo, oltre che presidente di Enerfin retail e componente del comitato esecutivo di Eurocap petroli spa), mentre Federico Vecchioni è consigliere delegato. Bonifiche Ferraresi controlla anche la Società Italiana Sementi SpA (ad è Vecchioni, mentre Lelli è consigliere) che l’Antitrust ha sanzionato nel 2019 (la conferma del Tar è arrivata a novembre 2023) per pratiche commerciali sleali nei confronti dei coltivatori di grano Senatore Cappelli. Ma questa è un’altra storia.
(da il Fatto Quotidiano)
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