CONFINDUSTRIA DEMOLISCE IL TESORETTO DI RENZI: “SOLO UN’ARMA DI DISTRAZIONE DI MASSA”
IL BONUS DA 1,5 MILIARDI E’ SOLO UNA “STRUMENTALIZZAZIONE ELETTORALISTICA” PER DISTOGLIERE DAI VERI PROBLEMI
Il tesoretto? Soldi che “proprio non ci sono”, “roba di carta, numeri astratti e potenziali”.
Niente altro che “un’arma di distrazione di massa” per “distogliere l’attenzione della pubblica opinione dai nodi veri dell’economia e dell’azione di governo”.
Il Sole 24 Ore torna all’attacco del governo Renzi.
E colpisce dove fa più male: sul “bonus Def“ di cui si favoleggia da venerdì scorso, quando il premier ha incentrato gran parte della conferenza stampa seguita al Consiglio dei ministri sugli 1,6 miliardi spuntati come per magia dalle pieghe del Documento di economia e finanza.
Un asso nella manica che il segretario del Pd ha estratto non a caso a poche settimane dalle elezioni regionali, salvo spiegare subito dopo che l’esecutivo deve ancora decidere “se e come usarlo”.
Inevitabile l’immediato scatenarsi di proposte, richieste, appelli e auspici sulla destinazione migliore del gruzzolo.
Peccato che, stando all’editoriale che campeggia in prima pagina sul quotidiano di Confindustria, il supposto gruzzolo non esiste.
Si tratta di “un deficit”, “numeri astratti e potenziali”, appunto.
Definizione molto simile a quella data domenica, sul Corriere della Sera, da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi: “Spesa in deficit”, hanno sentenziato i due economisti sotto il titolo “Lo slancio perduto del premier”.
Mossa da prestigiatore per distrarre dai “nodi veri”: l’occupazione e i tagli di spesa tutti da realizzare
Deficit che Renzi, continua il vicedirettore del Sole Fabrizio Forquet, ha trasformato in “bonus” e tirato fuori dal cilindro come un prestigiatore con “evidente strumentalizzazione elettoralistica” ma soprattutto per distrarre gli italiani “dai nodi veri“.
Tipo i dati ufficiali sull’occupazione diffusi dall’Inps — tredici contratti di lavoro in più attivati nei primi due mesi dei 2015 rispetto allo stesso periodo del 2014 — ma soprattutto la differenza tra quei numeri e quelli maldestramente diffusi a fine marzo dal ministro Giuliano Poletti, smentito a stretto giro dallo stesso Sole.
O i “tagli di spesa dolorosi che dovranno trovar posto nella prossima legge di Stabilità ” per “evitare il disastroso aumento della pressione fiscale legato all’incremento dell’Iva“.
Il riferimento è alle famigerate clausole di salvaguardia, che il governo, in un focus inserito in extremis nel Def, dà già per cancellate.
Trucchetto che permette di affermare che il peso delle tasse sul Pil quest’anno calerà sotto il 43%.
Un “maquillage per persuadere anche il più duro dei gufi”, scriveva domenica sempre Il Sole.
Peccato che lunedì sera, a Presadiretta, lo stesso consigliere di Palazzo Chigi per la spending review Roberto Perotti abbia ammesso che i 10 miliardi di sforbiciate che il governo prevede per il 2016 “non sappiamo se riusciremo a farli”.
Altro che bonus, il bilancio pubblico è sotto stress e il debito al nuovo massimo storico –
L’editoriale di Forquet prosegue poi ricordando la “figuraccia” di sabato, quando è emerso che l’esecutivo, che “per quest’anno non è ancora riuscito a trovare la copertura alla decontribuzione per chi assume stabilmente” con il contratto a tutele crescenti del Jobs Act, ha pensato bene di rimediare “ricorrendo al paradossale aumento generalizzato dei contributi”.
Salvo fare marcia indietro dopo un’altra durissima presa di posizione del giornale confindustriale, che aveva parlato di decisione “oltre la decenza“.
E’ il segno “di quanto sia difficile ritagliare risorse disponibili in un bilancio già sotto stress“, scrive Forquet.
“Un bilancio che per quest’anno vede affidati 5,2 miliardi di tagli alla difficile trattativa con gli enti locali e le Regioni, che conta su 3,3 miliardi di lotta all’evasione tutti da realizzare, che confida in un via libera tutt’altro che scontato della Ue su 1,7 miliardi frutto di split payment/reverse charge e, non ultimo, deve ancora trovare circa un miliardo di euro per la bocciatura della Robin tax da parte della Corte costituzionale”.
Un bilancio su cui, ha appena comunicato Bankitalia, pesa una zavorra di debito pubblico da 2.169,2 miliardi di euro, il nuovo record storico (il precedente picco, 2.167,7 miliardi, era stato toccato nel luglio 2014).
Meno male che il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha assicurato che nel 2018 “l’incubo” sarà dimenticato.
Il tesoretto è solo nuovo deficit
In questo quadro, il cosiddetto tesoretto è nulla più che lo 0,1% di differenziale tra l’obiettivo programmatico di un rapporto deficit/Pil a 2,6% e il tendenziale, che è al 2,5%. “Numeri astratti e potenziali”, appunto.
Una “franchigia” che “si determina sulla base di un aumento del Pil che il governo stima superiore a quello che era stato precedentemente previsto e di tassi di interesse in declino.
Una previsione, dunque, non un dato di fatto (…). Ed è bene ricordare che nell’ultimo decennio tutte le stime sul Pil effettuate dai governi nel Def/Dpef — sempre prudenziali per carità — sono state inesorabilmente riviste al ribasso al momento del consuntivo di fine anno“.
Tirando le somme, dunque, il tesoretto a cui la maggior parte dei quotidiani in questi giorni dedicano le prime pagine è semplicemente il deficit aggiuntivo che Palazzo Chigi potrebbe concedersi se tutte le sue previsioni si realizzassero.
Supponendo che si verifichi lo scenario più favorevole, non sarebbe allora opportuno utilizzare gli 1,6 miliardi per iniziare a disinnescare davvero, in attesa dei risultati della spending, le clausole di salvaguardia?
O, come auspica Forquet, “per mettere in atto il programma impostato dal governo, a cominciare dall’attuazione delle deleghe sul lavoro e sul fisco“, dalla cui realizzazione dipende per di più il via libera di Bruxelles alla possibilità di sfruttare la “clausola di flessibilità ” prevista dalla comunicazione dello scorso gennaio.
E l’ex capoeconomista del Tesoro critica il Def: “Progresso limitato sui tagli strutturali” –
A mettere a nudo la contraddizione ci ha pensato per altro, prima ancora del quotidiano di Confindustria, l’ex capoeconomista del Tesoro Lorenzo Codogno, che ha dato le dimissioni da via XX Settembre lo scorso autunno (stando alle indiscrezioni per contrasti con Palazzo Chigi): l’ex dirigente, in una nota intitolata ‘Le riforme di Renzi si stanno esaurendo’, ha scritto che il Def non sfrutta il miglior quadro economico e la minore spesa per interessi per raggiungere migliori risultati di finanza pubblica ma piuttosto per allentare la stretta sulla spesa.
“Il progresso limitato sui tagli strutturali alla spesa riduce il margine per riduzioni delle tasse o onerose iniziative di riforma aggiuntive”, sottolinea Codogno.
“L’Italia sta pericolosamente camminando su un filo. Evitare di entrare in una spirale negativa sul debito dipende dalla possibilità di migliorare in fretta il potenziale di crescita del Paese e sull’accelerazione del processo di riforme. Ma mancano alcune iniziative determinanti”.
Cioè, appunto, tagli di spesa strutturali e corposi.
Chissà come l’ha presa Padoan, in questi giorni impegnato a garantire che “la crescita sarà via via più sostenuta” e ad esercitarsi sul possibile utilizzo del tesoretto. “Probabile” la destinazione alle fasce più povere, ha detto domenica al Tg1.
Ma “ovviamente le misure concrete saranno valutate più avanti”. Il che ha dato la stura a ipotesi di ogni tipo.
Lunedì Repubblica strillava in prima pagina: “Il bonus sarà per 7 milioni di italiani” (trattasi di una simulazione della Uil), mentre martedì Il Messaggero, sotto il titolo “Ecco a chi andrà il tesoretto”, informa che ci saranno “un assegno per i redditi bassi e risorse per scuole e strade”.
Alla fiera del tesoretto tutto è possibile.
(da “il Fatto Quotidiano”)
Leave a Reply