PALERMO-CATANIA SIMBOLO DELLO SFASCIO ITALICO
TRA PILONI CADUTI E VECCHIE FRANE, SI RITORNA ALLA STRADA DEI BORBONI
Una frana vecchia di dieci anni, nessuna azione di messa in sicurezza e un pilone dell’autostrada che alla fine cede: così la Sicilia si è spezzata in due.
Un disastro che comincia nel 2005, quando dal monte Sciara, sulle Madonie, la terra inizia a franare: nessuno fa nulla per dieci lunghi anni e ora il crollo è arrivato ad inghiottire un pilone del viadotto Himera sull’autostrada 19, la più importante della Regione, quella che collega Palermo a Catania.
L’isola è spaccata, è tornata indietro agli anni 50 e la frana travolge anche il presidente di Anas Pietro Ciucci, che si è dimesso dopo aver rassicurato il governatore Rosario Crocetta (a sua volta in polemica con Palazzo Chigi) sui tempi di demolizione del viadotto crollato.
Secondo i tecnici la ricostruzione del ponte potrebbe durare anni, mentre la Procura di Termini Imerese ha aperto un’inchiesta ipotizzando il disastro colposo.
La viabilità borbonica, sconsigliata quando è buio
Nel frattempo Palermo e Catania non sono mai state così lontane: fino a pochi giorni fa erano collegate da 200 chilometri di autostrada, che si percorrevano agilmente in due ore.
Oggi, invece, è tutto molto più complesso. Colpa della cosiddetta viabilità alternativa, che in Sicilia è costituita soprattutto da strade di epoca borbonica.
L’idea di prendere un treno dal capoluogo fino alla città etnea è da archiviare: secondo il sito di Trenitalia ci vogliono 6 ore al modico costo di 31 euro.
Colpa delle vecchie littorine diesel mai mandate in pensione e di una rete ferroviaria ferma agli anni 30.
“Si è preferito investire nel trasporto su gomma”, si giustifica qualunque politico isolano negli ultimi 60 anni. Quegli investimenti sono serviti a poco.
Dopo il crollo, per arrivare da Palermo a Catania ci sono due modi: il primo è quello consigliato per i mezzi pesanti, e cioè imboccare l’autostrada per Messina (l’unica a pagamento sull’isola) e da lì arrivare a Catania.
Il percorso alternativo per i veicoli leggeri invece prevede di uscire a Scillato, a pochi metri dal viadotto crollato, e da lì imboccare la strada statale 643, che passa dal Comune di Polizzi Generosa, per poi rientrare sull’autostrada per Catania.
Sembra semplice: una piccola deviazione di una trentina di chilometri.
Due minuti dopo, però, un cartellone avverte: anche la strada statale 643 è chiusa a causa di una frana.
Possibile? È questo il cosiddetto percorso alternativo?
“Era franata fino a ieri, adesso la stanno riaprendo ma hanno dimenticato di rimuovere il cartello”, spiega un automobilista fermo sul ciglio della statale.
Più di 40 chilometri di tornanti franati, curve cieche alte centinaia di metri, una carreggiata troppo stretta per ospitare due sensi di marcia: eccola qui la nuova
“arteria” che collega le due principali città dell’isola.
La 643 è una delle antiche Regie Trazzere: battute dai contadini, tracciate sotto i Borbone, ereditate dai Savoia e sopravvissute fino alla Repubblica, che le ha trasformate in strade statali, asfaltandole a cadenza decennale.
Bastano pochi metri per il cartellone che segnalava la frana: ampie porzioni della strada alternativa per Catania sono praticamente sterrate, la segnaletica orizzontale non esiste e si viaggia nel fango, proprio come 150 anni fa.
Il limite di velocità è trai 30 e i 50 chilometri orari, ma è un lusso raggiungerli: le curve che danno sullo strapiombo sono sprovviste di guardrail, attimi di panico quando s’incrocia un veicolo in senso opposto.
Ai lati della carreggiata s’incrociano pascoli non recintati, pecore e mucche potrebbero invadere da un momento all’altro la strada: un’altra variabile sul vecchio tema del traffico sulla Palermo-Catania.
La statale è priva di illuminazione: non è il caso percorrerla di notte.
Alla fine dopo più di mezz’ora di tornanti, ecco a mille metri d’altezza Polizzi Generosa: meno di quattromila anime che non hanno mai visto tutto questo traffico. “Da due giorni c’è un sacco di movimento”, spiega soddisfatta la signora che gestisce il bar sulla strada.
Polizzi nasce intorno al VI secolo avanti Cristo, insediamento al confine tra i domini punici e quelli dell’antica Siracusa: dopo più di duemila anni è tornata ad essere città di frontiera nella Sicilia spezzata a metà .
“Dicono che per sistemare il viadotto ci vorranno dai due ai dieci anni: se chiamiamo i giapponesi ci stanno due mesi”, suggeriscono gli anziani fuori dal bar, appoggiatia una banchina sotto il cartellone verde: direzione Catania.
Un’ora e mezza tra le montagne
La città etnea, però, è lontana: bisogna scendere a valle e arrivare alla statale 120. Un’ora e mezza tra le montagne ed ecco l’autostrada: all’orizzonte c’è l’Etna, mentre Catania dista ancora160 chilometri.
Alla fine per coprire la distanza che separa le due principali città dell’isola ci vorranno più di quattro ore.
È bastato che crollasse il pilone di un viadotto e la Sicilia è finita tagliata in due, isolata da se stessa: e pensare che da vent’anni c’è chi promette addirittura un ponte sullo Stretto.
Giuseppe Pipitone
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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