COSÌ PARLANO I BARONI: “CI SCEGLIAMO I VINCITORI E POI SCRIVIAMO I BANDI”
“ALLA FINE QUI SIAMO TUTTI PARENTI”; “FACCIAMOGLI UN PO’ DI MOBBING”
Greve, sfacciato, a tratti inquietante. È il linguaggio a restituire l’idea di meritocrazia diffusa nelle università italiane: basata non sui titoli e le competenze, ma sulle relazioni di potere.
E c’è ben poco di accademico nelle telefonate in cui, da Milano a Palermo, si mercanteggia di cattedre. «Siamo tutti parenti (…) I nostri concorsi sono truccati». La regola è che «non si possono prima fare i bandi e poi cercare i vincitori, bisogna fare il contrario».
E per i rivali «un po’ di mobbing, così dimenticano i concorsi». Frasi pronunciate da quei professori – ordinari, associati, direttori di dipartimento, rettori – ben rodati nelle spartizioni. E che sono agli atti di inchieste avviate nelle procure di mezza Italia.
Sempre le stesse famiglie
L’ex rettore di Catania Francesco Basile, finito sotto inchiesta due anni e mezzo fa, aveva una sua personalissima teoria: «Perché poi alla fine qui siamo tutti parenti – diceva intercettato -. Alla fine l’università nasce su una base cittadina abbastanza ristretta, una specie di élite culturale della città, perché fino adesso sono sempre quelle le famiglie».
Il professore Gaspare Gulotta, direttore del Dipartimento di Chirurgia generale di Palermo, paragonava invece alcuni universitari ai boss. Ma non era un’accusa, tutt’altro: «Da Roma tutti preferivano fare le commissioni con i siciliani, volevano fare i patti con i siciliani, perché i siciliani erano affidabili, c’era ‘sta cosa della mafia, infatti si diceva che un siciliano muore ma non…».
A Reggio Calabria invece non c’è pubblicazione, risultato accademico o collaborazione che tenga. Si vince solo per indicazione dei vertici dell’ateneo. «Che devo fare, ormai ha gli impegni presi. Non capisco perché ma vabbè. Comunque, lo vogliamo fare e stiamo prendendo due cessi. È inutile che Pasquale (Catanoso, ndr) mi dice che sono fuoriclasse», sbottava il capo del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Reggio Calabria, Massimiliano Ferrara, mentre parlava con il rettore dell’epoca, Pasquale Catanoso, e quello che gli succederà, Marcello Zimbone. Avvicendamento che non ha cambiato l’andazzo, perché «tutti e due all’unisono vanno a braccetto», diceva il direttore di Architettura, Adolfo Santini.
Telefonate sfacciate
I prof non usano eufemismi: «Stavolta tocca a me e la prossima volta tocca a lui. Gli ho fatto un associato dieci giorni fa e gliel’ho fatto col solito sistema», diceva ancora Gulotta parlando del suo grande rivale, Mario Adelfio Latteri. Lo stesso Gulotta alla fine arrivava ad ammettere: «È bene che facciamo il regolamento di ateneo perché effettivamente anche i nostri concorsi sono truccati».
Il nodo riguarda sempre come trovare il modo più efficace per bypassare le regole. A Milano un’inchiesta sui bandi a Medicina, all’ospedale Sacco, vede indagato l’infettivologo Massimo Galli: «Ma cerchiamo di fare le robe ogni tanto un po’ più… seriamente», diceva la direttrice amministrativa di Scienze biomediche Monica Molinai a una ricercatrice.
Parlava della disinvoltura di Galli nel pianificare i bandi. Le due commentavano anche la commissione: «Mettiamo che quello di Palermo sia abituato a metodi un po’ più spicci, quello di Roma magari sta più attento, no?».
Nell’inchiesta di Genova su Giurisprudenza, invece, le figure centrali sono la prorettrice Lara Trucco e il prof emerito Pasquale Costanzo. Che arrivava a dire: «Non si possono fare i bandi e poi cercare i vincitori, bisogna fare il contrario».
Per il docente era questione di fair play: «Si presentano persone senza farmelo sapere. Vi rendete conto? Un po’ di galateo accademico».
La torta e lo champagne
Una volta apparecchiata la tavola, per gli accademici resistere alla metafora enogastronomica è dura. Sempre a Genova, il prof Costanzo si rivolgeva al collega Daniele Granara, che stava per diventare associato, in merito alla scelta fra cattedra in Diritto costituzionale e Diritto pubblico comparato: «È solo una tua preferenza soggettiva… se vuoi il bignè o la torta o il cannolo».
Negli stessi giorni a Milano Stefano Centanni, direttore del dipartimento di Scienze della salute della Statale, studiava un piano insieme al rettore della sua università, Elio Franzini (entrambi indagati): due concorsi da bandire con la stessa commissione per soddisfare i gruppi di potere a Urologia.
In questa conversazione riportava il suo dialogo con Marco Carini, altro potentissimo urologo fiorentino (indagato anche a Firenze). «Mi ha detto: “Sarebbe bellissimo chiudere tutte e due le gare insieme”. E io gli ho detto “Sì, perché a questo punto facciamo una grande festa” (…). E poi diciamo di portare il Dom Pérignon ovviamente», rideva Centanni. «Dom Perignon in calici – rispondeva Franzini – . E poi ci sorridiamo, è finita lì. Bel brindisi».
Maschilismo e pressioni
Parole in libertà, pronunciate nell’intimità di telefonate private. Ma da cui traspare un atteggiamento prevaricatore. Così la candidata invisa al sistema diventava «una femmina dal curriculum pesante». E per il prof ribelle si auspicava «un po’ di mobbing» affinché «si dimentichi i concorsi».
Conversazioni trascritte dai finanzieri che indagano sui bandi pilotati all’Università di Firenze: quaranta indagati, tra cui l’ex rettore Luigi Dei. L’ex primario dell’Urologia oncologica, Marco Carini, sembrava progettare ritorsioni contro un collega anti-sistema, il chirurgo Massimo Bonacchi.
«Io una soluzione l’avrei, un po’ di mobbing obbligandolo a fare guardie e lavorare. Chiaramente si dimentichi concorsi». Poi, quasi rammaricandosi di non poter attuare il piano: «Se lo potessi gestire in questo ultimo mio anno lo farei divertire».
(da La Repubblica)
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