DECRETO IMPRESE, IL GOVERNO DARA’ IL 100% DELLE GARANZIE ALLE BANCHE PER I PRESTITI FINO A 800.000 EURO
FINO A 25.000 EURO NON SARA’ VALUTATO NEANCHE LO STATO DELL’AZIENDA, DA 25.000 A 800.000 EURO CI SARA’ LA VALUTAZIONE DEL CREDITO, OLTRE 800.000 GARANZIA AL 90%. .. RESTITUZIONE RATEALE A PARTIRE DAL 2022 (SE NON VIENE ONORATO, PAGANO TUTTI GLI ITALIANI, PER CAPIRCI)
Il compromesso si impone come soluzione obbligata a tarda sera, quando si prende atto che in un modo o nell’altro bisogna chiudere, e in fretta, perchè il decreto che dà i soldi alle imprese dilaniate dal coronavirus è stato annunciato già da giorni e non può essere più rinviato.
Ma quello che si tira dietro l’ultimo miglio del provvedimento è un tratto che neppure l’emergenza ha cancellato e cioè i litigi interni alla maggioranza, i vertici a palazzo Chigi, i testi da riscrivere a poche ore dal Consiglio dei ministri per il via libera. La traccia della tensione, questa volta, passa lungo la tangente Tesoro-5 stelle. Ma anche il pungolo di Matteo Renzi, all’ora di cena, è lì a dimostrare che i mal di pancia interni sono molteplici.
Certo, non siamo alla minaccia di una crisi di governo o, letta nella prospettiva di Italia Viva, all’evocazione dell’uscita dalla maggioranza, ma il malcontento si è insediato ancora una volta in modo velenoso tra le norme e le percentuali.
Il compromesso dice che Sace, il braccio assicurativo-finanziario dedicato all’export della Cassa depositi e prestiti, non sarà acquisita dal Tesoro, come voleva Roberto Gualtieri. E questo è un punto che portano a casa i grillini, fermamente contrari all’operazione. Però sarà proprio attraverso Sace – e questo è un punto che va al ministro dell’Economia – che arriveranno le garanzie statali sui prestiti destinati alle grandi imprese. Di più: l’indirizzo e il coordinamento di Sace saranno in capo a via XX settembre. Fonti parlamentari rivelano che Gualtieri l’avrebbe comunicato alle opposizioni durante la riunione della cabina di regia serale in video conferenza. Un assetto, quello dell’indirizzo e del coordinamento, che rafforza il ruolo del Tesoro. Così avviene anche con Eni e Poste.
La sottigliezza della formula del compromesso la dice tutta sulle tensioni e sulla trattativa che hanno animato la parte finale della gestazione del decreto che arriverà lunedì in Consiglio dei ministri.
Un rush finale lunghissimo e alquanto turbolento. È Giuseppe Conte che di buon mattino alza il telefono per convocare a palazzo Chigi Gualtieri e Fabrizio Palermo, l’amministratore delegato di Cdp. Da due giorni i grillini hanno alzato un muro contro il disegno che il titolare del Tesoro ha messo sul tavolo: trasferire Sace dalla Cassa al Tesoro. Luigi Di Maio e i suoi vogliono mantenere intatto quello che ritengono un loro fortino.
La nomina di Palermo fu voluta dai 5 stelle in tal senso, anche se il manager ha da subito dimostrato di muoversi nell’interesse esclusivo della Cassa. Non si può dire, quindi, che sia un uomo dei pentastellati. Ma è il Movimento a continuare a leggere la sua nomina in questa chiave. E non solo. “Il punto centrale è che vogliono indebolire Cdp perchè se gli togli Sace, gli togli tanto, anzi tantissimo”, rivela una fonte di governo M5s di primissimo livello a Huffpost.
Alla riunione di palazzo Chigi si parte dalle posizioni iniziali. Gualtieri vuole portare Sace sotto l’ombrello di via XX settembre per rendere più fluida l’erogazione dei prestiti che andranno alle imprese. Si discute e si tratta per ore.
Alla porta premono le pressioni dei grillini, ma anche l’urgenza di arrivare a una quadra. Le imprese sono lì a martellare ogni minuto, a dire che servono soldi per fronteggiare l’emergenza. E servono subito. Di mezzo c’è anche la necessità di evitare gli scivoloni dei giorni scorsi, con i decreti del presidente del Consiglio annunciati prima di essere scritti o validati dalle forze di maggioranza. Ma il vertice si conclude senza una soluzione. I grillini insistono per impedire lo scorporo di Sace da Cdp.
Il governo passa tutto il pomeriggio e tutta la sera a cercare di capire come uscirne fuori.
La posta in gioco è elevatissima: dieci miliardi a mettere sul piatto per un effetto leva da 200 miliardi di prestiti garantiti.
L’impresa va dalla banca, che eroga il prestito. Se non riesce a restituirlo allora subentra la garanzia dello Stato. Fino a quanto?
Appena sabato sera, Gualtieri aveva parlato di una garanzia del 100% per i prestiti fino a 800mila euro, al 90% per gli altri. Ma i renziani non ci stanno. La tensione scorre forte anche in questa partita. Italia Viva, ma anche i grillini, chiedono di portare la garanzia al 100% per tutti. Fanno leva sulla decisione di Bruxelles, che ha autorizzato ad allargare le maglie.
Ma una garanzia al 100% per tutti i prestiti significa alzare i costi per lo Stato. Le garanzie, infatti, non possono avvalersi di un’espansione ulteriore del deficit, quindi di una nuova concessione dell’Europa, ma vanno caricate sul saldo netto da finanziare. Renzi compare su Facebook poco prima delle otto di sera e rincara la dose: “La garanzia statale al 100% alle banche per dare subito ad aziende e partite Iva il 25% del fatturato 2019 (da restituire a partire dal 2022) è la vera misura di ripartenza. Italia Viva sostiene con forza, da giorni, questa proposta. Facciamola semplice, facciamola subito”. È il tentativo di allargare ancora di più le maglie.
Solo quando sono le nove e mezza di sera si arriva al compromesso di cui si diceva prima. Sulle garanzie per le grandi imprese, invece, la soluzione colloca l’asticella al 90 per cento.
Per le piccole e medie, invece, la quadra la annuncia Stefano Patuanelli, che al ministero dello Sviluppo economico ha lavorato su questa parte del decreto.
I soldi passeranno dal Fondo di garanzia delle Pmi, che sarà rifinanziato con 7 miliardi e garantirà liquidità per 100 miliardi alle aziende che hanno fino a 499 dipendenti.
La garanzia sarà al 100% per i prestiti fino a 800mila euro, ma con una differenza: quelli fino a 25mila non avranno la valutazione del merito di credito, mentre quelli superiori sì.
La valutazione del merito di credito è un check sull’affidabilità dell’impresa in relazione al prestito che gli verrà concesso.
Da 800mila euro e fino a 5 miloni di euro, la garanzia sarà al 90%, con la possibilità di arrivare al 100% attraverso la controgaranzia dei Confidi, cioè dei consorzi che offrono garanzie creditizie.
Il decreto è finalmente pronto per il Consiglio dei ministri.
(da “Huffingtonpost“)
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