DENTIFRICIO A 10 DOLLARI E CAOS SOCIALE
LA LUNA DI MIELE IN ARGENTINA E’ FINITA… INTERVISTA ALL’ECONOMISTA PABLO MANZANELLI
Il presidente argentino, Javier Milei, ha confermato nelle scorse l’intenzione del suo governo di ‘dollarizzare’ l’economia, dopo la diffusione dei dati sull’inflazione – che a gennaio ha subito un aumento del 20,6%, arrivando al 254,2% – e le critiche dell’ex presidente, Cristina Kirchner. Ma cosa significa?
Pablo Manzanelli è un economista argentino, professore nel dipartimento di Economia della Universidad Nacional de Quilmes, ricercatore del CONICET e dell’area economica del FLACSO, direttore del CIFRA-CTA. Con Fanpage.it ha fatto il punto della situazione economica dell’Argentina e dei primi provvedimenti economici adottati dal governo Milei.
I due primi provvedimenti di Milei sono fermi: la Legge Omnibus non è passata alla Camera e torna in Commissione, il decreto economico (DNU) è all’esame della Corte Suprema per l’analisi dei ricorsi: che succede ora?
“La cosa più probabile è che la legge Omnibus cambi nella forma, il decreto è invece vigente perché non c’è stata alcuna sentenza definitiva. Ora si apre una incognita rispetto alla strategia che adotterà il governo, se cercherà il consenso o continuerà sulla via del fondamentalismo. Probabilmente si avvarrà di una combinazione di entrambe le cose, privilegiando la via della decretazione d’urgenza e appoggiandosi su questa manovra correttiva di tipo ortodosso. In una società che viene da vari anni di redditi reali in caduta libera, con un livello di povertà che riguarda la metà della popolazione, è complicato avere successo con una manovra correttiva che in Argentina non ha molti antecedenti”.
L’impressione è che a Milei non stia andando tutto come sperava: gli interventi della giustizia, l’opposizione alla Camera, le mobilitazioni dei sindacati e in prospettiva del femminismo, la popolarità in declino: perché?
“Milei è arrivato al governo con la proposta di una manovra correttiva molto pesante sull’economia e in particolare sui redditi dei settori popolari, con una svalutazione di quasi il 120% e un taglio della spesa pubblica molto ampio. Tutto questo in un’economia che aveva già un’inflazione molto elevata che si abbatteva sulle tasche delle persone e perciò con una ripercussione, almeno nel breve periodo, sull’immagine del governo. Milei ha anche accompagnato questa manovra correttiva con il tentativo di realizzare riforme strutturali, privatizzando le imprese pubbliche e deregolamentando l’economia.
Con la privatizzazione delle imprese si vuole generare un accordo all’interno del potere economico per abilitare una serie di affari per alcune imprese argentine. Nel governo di Milei, infatti, c’è un forte peso della componente legata a Macri, che è notoriamente sostenuto dal capitale finanziario internazionale. A questo Milei aggiunge una strategia di business per i gruppi economici locali argentini, garantendosi una certa sostenibilità nei confronti dell’establishment economico locale. Da una parte questi affari ruotano attorno alle fonti energetiche come il petrolio, dall’altra alle privatizzazioni. Queste privatizzazioni avevano nella Legge Omnibus che Milei ha appena perso nel parlamento una leva fondamentale per la loro abilitazione. Perciò c’è una parte del business che Milei voleva avviare che resta zoppo, perché non ci sono più le privatizzazioni. Quindi non c’è solo la grande maggioranza della popolazione che vede tagliati i propri redditi, c’è anche una parte del potere economico che continua ad appoggiarla ma comincia a guardarlo con maggiore attenzione dopo questi primi scivoloni”.
Che sta succedendo nel blocco che lo ha sostenuto nel secondo turno?
“Nel primo turno, che è quando si elegge il parlamento, Milei ha preso meno del 30% dei voti e poi ha vinto il secondo turno con l’appoggio di Macri. Il settore macrista vuole avanzare nel progetto di Milei e perciò ha giocato le sue carte in parlamento. Ma Milei non solo è più autoritario di Macri, ma è anche molto più drastico nelle riforme strutturali e queste richiedono un consenso che lui non ha ancora realizzato nella società”.
Ha fatto male i suoi conti?
“Milei aveva un programma di massima, ma non ha generato la legittimazione sociale per portarlo avanti e questo è molto diverso da quanto avvenne con Carlos Menem negli anni Novanta. Allora c’era una crisi molto grave, Menem ridusse l’inflazione col piano di convertibilità e lanciò il programma di privatizzazioni delle imprese pubbliche per combatterne l’inefficienza. C’era una legittimazione sociale diversa, che in questo momento Milei dovrebbe costruire prima di tradurre in pratica il suo piano. E invece ha fatto il percorso inverso: ha cercato di metterlo in pratica prima di legittimarlo socialmente. Questo gioca sulla sua immagine e poi la sua debolezza politica in parlamento gli procura uno scivolone nel momento di fare approvare le sue leggi”.
Un tubetto di dentifricio in Argentina costa circa 10 dollari, si registrano tassi d’inflazione del 25% ogni mese: come può reggere la popolazione?
“Certo, questo è il tallone di Achille del governo, perché la crescita dell’inflazione peggiora le condizioni delle classi popolari ed è probabile che la società non riesca a tollerare questa situazione, specie quando l’aumento dei prezzi e la caduta dei salari reali si accompagnano a una spesa minore per sostenere i settori più vulnerabili. È probabile che la resistenza sociale a questi provvedimenti vada crescendo. Oggi c’è però una scarsa rappresentanza politica a sostenerla, la nuova leadership si costruirà durante questa resistenza per poterla rappresentare e capitalizzare, costruendo un’alternativa democratica”.
La svalutazione del peso argentino è continua, al cambio non ufficiale il dollaro è superiore ai 1.000 pesos: è la dollarizzazione strisciante dell’economia?
“Il governo Milei eredita una crisi di indebitamento molto forte, perché l’Argentina, non solo nei confronti dell’FMI ma anche di creditori privati, ha accumulato un debito esterno molto elevato con scadenze in dollari insostenibili. Il problema è ancora attuale e lo sarà soprattutto a partire dal prossimo anno, quando ci saranno scadenze debitorie in dollari difficili da saldare. È probabile che con le esportazioni energetiche si riesca ad avanzare in questo obiettivo, ma è una questione che non si può sottovalutare. A questo, si sommano le aspettative di una forte svalutazione, per il fatto che non solo questa crisi di indebitamento genera un problema, ma anche perché il governo precedente ha perso l’opportunità di accumulare riserve.
Vi era stato infatti un attivo commerciale molto alto, ossia più esportazioni che importazioni soprattutto nel periodo 2020-2022, ma questi dollari sono finiti nel portafoglio delle grandi imprese per cancellare i loro debiti privati: circa 25 miliardi di dollari che avrebbero permesso una politica di governo basata sull’economia reale. In più, c’era un debito importante sulle importazioni e tutto questo configurava una situazione di mancanza di dollari, accentuando quella tendenza alla dollarizzazione dell’economia argentina che non si determina per generazione spontanea, ma è il frutto di bolle finanziarie che scoppiando generano fughe di capitali molto grandi. Queste crisi sono state ricorrenti nella storia argentina e hanno fatto sì che l’insieme della società abbia una tendenza a dollarizzare i propri risparmi per non rimetterci in situazione di forte inflazione”.
E cosa propone allora Milei?
“Milei cerca di risolvere la situazione con una manovra correttiva molto forte e una politica di svalutazione che riduce le importazioni. La manovra sulle importazioni effettivamente ha generato nei primi mesi di Milei una crescita delle riserve internazionali del banco centrale. Ma l’alta inflazione si sta mangiando la maggiore competitività esterna che viene da questa svalutazione e questo sta producendo l’aspettativa di un’ulteriore svalutazione. In Argentina, il periodo critico è quello in cui si cominciano a liquidare le esportazioni di grano, soia, mais e la raccolta comincia a esportarsi tra marzo e aprile. È probabile che questi settori che non hanno avuto una forte svalutazione stiano aspettando una nuova svalutazione per marzo o aprile e questo è quello che può diventare intollerabile socialmente”.
Cosa intende fare Milei rispetto al debito con l’FMI?
“Il problema continua a essere attuale e per il momento Milei si propone solo di rispettare gli accordi precedenti. Non c’è ancora una soluzione, ma a partire dal prossimo anno si deve cominciare a pagare. Questa mancanza di dollari si sostiene solo sulla manovra correttiva ortodossa e sulla necessità che le esportazioni rendano meglio dell’anno scorso, il che accadrà perché l’anno scorso ci fu una siccità molto forte che interessò le esportazioni agricole. Manovra correttiva più esportazioni è l’obiettivo del governo Milei per sostenere il debito. Ma la svalutazione rapidamente intaccata dall’aumento dei prezzi può generare un grave problema a livello sociale”.
Milei è diverso da Trump, diverso da Vox, diverso da Meloni: che cosa li accomuna?
“Vedo una similitudine in termini del metodo politico, mettendo in questione la democrazia vigente, lo Stato come regolatore delle asimmetrie sociali. Ci sono punti in comune ma non necessariamente in termini di modello economico. Al momento Javier Milei è una grande incognita, perché non è chiaro quale sia il suo progetto una volta fatta la manovra correttiva, ossia non è chiaro quale sarà il programma di crescita e stabilizzazione posteriore. Milei è un personaggio senza storia politica, senza esperienza, una marionetta espressione del potere economico tanto del capitale finanziario come dei gruppi economici. Da quello che sorgerà da questa alleanza tra capitale finanziario e gruppi economici locali più produttivi verrà fuori il suo modello economico. Tutto sembra indicare che la dollarizzazione è il punto di stabilizzazione dell’economia se ci riesce, e da lì verrà il programma economico”.
La manovra economica che lei ha fin qui spiegato è ultraliberista, non è questo un progetto che si sta sperimentando a livello globale?
“Milei ha molto più a che vedere con il mondo degli anni Ottanta e Novanta che con l’attualità. Nell’attualità, al di là se siano governi progressisti o di destra, anche laddove si mantengono politiche neoliberiste, queste sono accompagnate da politiche protezioniste, vedo un mondo in questo senso molto competitivo e più complesso. Se l’Argentina entra in questo mondo con una riforma neoliberista, a parte risultare anacronistica, finirà col distruggere il proprio apparato produttivo, determinando una situazione molto difficile da invertire”.
Alla fine, però, quello che vogliono realizzare i poteri economici e finanziari è una società con una popolazione crescente ai margini e la ricchezza sempre più concentrata nelle mani di pochi.
“Tutto sembra indicare che nella fase attuale si voglia approfondire la regressione nella distribuzione dei redditi che si ereditò dal periodo di egemonia della finanza iniziata negli anni Ottanta a livello mondiale e che sembrò sconvolgersi con la crisi del 2008 negli Stati Uniti. È probabile che tutte queste politiche siano accomunate dal peggioramento della partecipazione dei salari al reddito globale. Bisogna vedere che forma adotterà il processo in termini di modello economico”.
Milei punta molto sulla sua appartenenza all’anarco capitalismo per attaccare la casta: non si tratta piuttosto di una variante del neoliberismo?
“Effettivamente Milei ha una visione libertaria assolutamente neoliberista estrema che non ha niente di nuovo e che applica la correzione sull’insieme dei settori popolari, e questa è una delle cose che fa cadere la sua immagine. E’ l’espressione di una destra estrema in cui non c’è niente di nuovo: è il pasto rancido della sconfitta del neoliberismo in Argentina e nel mondo. Perciò è anacronistico, non solo per le privatizzazioni che in Argentina fallirono, ma perché tornare a proporre le privatizzazioni e la deregolamentazione non significa altro che dare maggiori profitti ai settori oligopolistici argentini, mentre invece ci vorrebbero politiche di sviluppo industriale. È probabile che sia sconfitto, come fallì prima il neoliberismo in Argentina e che questo permetta una nuova alternativa popolare, sempre e quando torni a esserci una guida politica dei settori popolari credibile”.
(da Fanpage)
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