DRAGHI BATTE DOVE LA LEGA DUOLE: SFRUTTA LE DIVISIONI TRA L’ALA MODERATA DEI GOVERNATORI E DEI MINISTRI DEL CARROCCIO E SALVINI
IERI HA PASSATO UN’ORA A PARLARE CON LUCA ZAIA, PER PROVARE A CONVINCERE IL PRESIDENTE DEL VENETO A FARE PRESSING SU SALVINI, CHE ROMPE LE PALLE PER I BALNEARI
A Palazzo Chigi dicono di non credere a una crisi di governo. Ma avvertono il clima di disgregazione che circonda Mario Draghi, sapendo che l’incidente è possibile in ogni momento, pure in una pianificazione delle riforme che il premier avrebbe voluto impeccabile.
Draghi ha capito che giugno potrebbe essere un mese fatale. Il calendario tra Parlamento e urne lacererà ancora di più i rapporti interni alla maggioranza. È scontato che le turbolenze che seguiranno alle elezioni amministrative avrà un impatto sulle due coalizioni e sui rapporti di forza interni ai partiti.
A giugno si deve votare la riforma della giustizia, il capitolo del Csm, c’è da dare finalmente l’ok la delega fiscale che è rimasta impantanata nonostante l’accordo tra Draghi e il centrodestra di governo, e si dovrà votare il decreto aiuti, quello che ha fatto infuriate il M5S perché contenente la norma sul termovalorizzatore di Roma. Norma che Giuseppe Conte ha fatto sapere che non voterà.
Ecco, appunto, uno dei possibili incidenti dietro l’angolo. Considerando questo scenario, mescolato alle crepe che si allargano dentro le forze politiche sull’invio delle armi, si capisce anche perché Draghi abbia forzato, convocando prima un Consiglio dei ministri all’improvviso, durato otto minuti, e inviando poi una lettera alla presidente del Senato per sollecitare il lavoro sulla riforma della concorrenza, vitale per il Pnrr. Prima del gelido avvertimento ai ministri Draghi, inoltre, aveva saputo dei timori a Bruxelles.
Il piano va a rilento. I tecnici della Commissione Ue vedono i ritardi italiani. Secondo uno studio di OpenPolis, solo 9 scadenze su 58 previste entro fine giugno sono state realizzate. Il sottosegretario alla Presidenza Roberto Garofoli è preoccupato. E in questo contesto, la difesa di Lega e Forza Italia del fortino dei balneari ha fatto infuriare come mai prima il premier.
Tra le forze politiche la percezione è differente. Anche perché adesso il gioco delle parti prevede di accusare gli avversari e di far emergere le criticità degli altri fronti. Ieri, per esempio, Matteo Salvini ha subito approfittato di un emendamento del M5S contro l’inceneritore di Roma per chiedere un intervento di Draghi tempestivo come quello che ha isolato il segretario del Carroccio sul dl concorrenza.
Ma basta raccogliere tutte le reazioni del giorno dopo, per avere chiaro il quadro disgregato che teme Palazzo Chigi. «Quella di Draghi è stata un’iniziativa sacrosanta contro le manovre diversive e dilatorie della destra», è lo sfogo di Enrico Letta. Una scossa che invece produce mugugni nella Lega fedele a Salvini: «Così non va, Draghi ha smesso di mediare, in otto minuti non si risolvono i problemi, deve cambiare atteggiamento».
Silvio Berlusconi, che sull’invio delle armi si sta rivelando la terza spina nel fianco del premier dopo Conte e Salvini, potrebbe creare altri problemi, anche se ora appare pronto a cedere: «Sui balneari volevo più tempo, ma si troverà un accordo».
Da questa maggioranza rissosa e instabile Draghi non intende farsi travolgere. Per questo, sta sfruttando la faglia che si è creata tra i ministri e i loro leader. Chi siede al governo non risponde «sissignore» ai capipartito.
Lo dimostra il «sì» al voto di fiducia sui balneari dei leghisti Giancarlo Giorgetti e Massimo Garavaglia, il modo netto con cui si sono smarcati dai vertici gli azzurri Renato Brunetta e Mariastella Gelmini, nonché la diversa postura sulla guerra del titolare degli Esteri Luigi Di Maio, rispetto a Conte.
Una circostanza che consente al premier di incunearsi nelle divisioni dei partiti, come dimostra l’ora passata a parlare ieri con Luca Zaia in Veneto, per manifestargli le sue preoccupazioni e indurre lui e la corrente realista dei governatori del Nord ad andare in pressing su Salvini.
In questo momento è cruciale per il premier concentrarsi sul centro destra: il caso balneari, la delega fiscale bloccata, la riforma del Csm che si voterà solo il 14 giugno, due giorni dopo il referendum, sono intoppi creati da Lega e Forza Italia, per difendersi dall’ascesa di Giorgia Meloni. Con Conte le cose non vanno bene, «non c’è mai stata chimica tra loro», spiegano fonti di governo, e l’ex premier sta evitando un confronto diretto a Palazzo Chigi.
Ma Draghi, al netto dell’impasse sul termovalorizzatore di Roma, non sembra impensierito da lui. Certo, non mancano punzecchiature e rappresaglie dei 5 Stelle che, con un’interrogazione del presidente della Commissione Affari Costituzionali Giuseppe Brescia, chiedono al ministro del Tesoro Daniele Franco «una maggior trasparenza dei dati relativi all’attuazione del Pnrr» e il perché di questi «ritardi e lacune».
Un modo per dire al premier che la strigliata va fatto non solo al Parlamento, ma anche ai suoi tecnici.
(da La Stampa)
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