E’ CROLLATO IL MURO DI ARCORE, MA ANCHE LA LEGA HA PERSO
IL PREMIER HA VOLUTO FARE DI QUESTE AMMINISTRATIVE UN TEST NAZIONALE… IL SOGNO BERLUSCONIANO SI ‘ TRASFORMATO IN UN INCUBO: L’UOMO DELLA PROVVIDENZA NON INCANTA PIU’… VINCONO TUTTE LE OPPOSIZIONI
Adesso si può dire. Il Muro di Arcore è crollato.
La vittoria schiacciante di Pisapia a Milano, l’affermazione netta del centrosinistra nei principali comuni del Nord, da Trieste a Mantova a Novara, è una svolta che non si può non definire storica.
Cade la capitale del berlusconismo e della Padania.
Si sfalda un sistema, si sfarina un blocco di potere, si sbriciola un modello politico, si frantuma un nucleo duro di interessi.
È il collasso di un monolite che sembrava invincibile e impermeabile ai movimenti sociali e ai mutamenti economici.
Insieme a questa Rivoluzione Settentrionale, si sconvolge la geografia politica del Sud, con un ciclone De Magistris a Napoli che fa piazza pulita, in un colpo solo, del bassolinismo e del cosentinismo, cioè delle due nomenklature che per anni si sono contese un territorio dominato dall’uso politico della criminalità e dalla mondezza.
Queste amministrative, palesemente caricate di un significato che valica i confini comunali e provinciali, marcano una sconfitta devastante per Berlusconi.
Era stato il premier a parlare di “un test nazionale”.
E’ stato il premier a spendersi in prima persona e a “metterci la faccia”.
È il premier, adesso, a portare tutto intero il peso di questa clamorosa debacle.
I milanesi non hanno creduto ai furori ideologici del Cavaliere che paventava l’arrivo dei cosacchi in Piazza Duomo, degli zingari a Piazza della Scala e dei drogati a Palazzo Marino.
E questo test misura l’ormai palese inattendibilità politica e mediatica di un messaggio generale: gli italiani non credono più al presidente del Consiglio che a casa sua promette le “scosse all’economia”, e al G8 spaccia il suo Paese come una “dittatura dei giudici di sinistra”.
Il sogno berlusconiano finisce qui, trasformato in un incubo.
L’uomo della Provvidenza non incanta più, e i suoi “candidati deboli” non lo vogliono al loro fianco in campagna elettorale, perchè ne percepiscono la metamorfosi negativa: il tocco magico è svanito, il “valore aggiunto” del televenditore si è trasformato nel “disvalore” del guitto.
Ma con Berlusconi, a dispetto dei giudizi di Bossi, perde anche la Lega. Sbaragliata ovunque, nel cuore profondo della sua costituency elettorale. Obbligato a un sacrificio troppo alto, e alla fine esiziale, dal patto di sangue che lo lega al Cavaliere, adesso il Senatur non può che prendere atto della chiusura di un ciclo.
E non può non tornare all’antica vocazione leghista, che esige un movimento libero e irresponsabile.
Vincono le opposizioni, tutte.
Variamente aggregate dall’anti-berlusconismo, senz’altro, ma anche capaci di proporre un’offerta politica non scontata nelle persone, anche se ancora non compiuta nei contenuti.
Vince il Pd, che strappa Torino e Bologna al primo turno, esprime 24 amministratori sui 29 vincenti in questa tornata elettorale, e che pur non portando al successo il suo candidato iniziale nelle sfide di Milano e Napoli, vede comunque premiata la sua lealtà di coalizione.
Diventa irrinunciabile, a questo punto, una riflessione sui programmi e sulle alleanze.
Ma intanto Bersani può incassare il ruolo, riconosciuto dagli elettori, che in questo momento compete al suo partito: fare da pivot di uno schieramento largo di forze, con un ruolo di motore e di federatore.
Vincono le forze radicali della sinistra, dall’Idv di Di Pietro e De Magistris ai post-comunisti-ecologisti di Vendola e Ferrero: bisognerà farci i conti, senza smarrire la rotta riformista senza la quale non si intercetta il voto dell’area moderata della società italiana.
Anche con questa, rappresentata da un Terzo Polo a sua volta in piena evoluzione, bisognerà fare i conti.
Ci sarà tempo, per ragionare di cosa può nascere dalle macerie del berlusconismo.
Di come e quando archiviare un’esperienza di governo rovinosa e pericolosa. Di cosa costruire al suo posto, nelle due metà del campo finalmente sgomberate da un grumo di potere e di livore non più sostenibile nè tollerabile.
Ma di questo si tratta, oggi.
Un tempo, a impedire il cambiamento italiano, c’era il Fattore K, e ce ne siamo liberati.
Ora c’è il Fattore B, e stiamo per liberarcene.
Massimo Giannini
(da Polis)
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