FEDERALISMO DEMANIALE: INIZIANO I SALDI DEL PATRIMONIO CULTURALE E PAESAGGISTICO
L’ART. 6 PREVEDE L’ATTRIBUZIONE GRATUITA DEGLI IMMOBILI DEMANIALI A FONDI IMMOBILIARI DI PROPRIETA’ PRIVATA… ANCHE LE COSTE DIVENTERANNO COMMERCIABILI E GLI ENTI LOCALI METTERANNO SUL MERCATO BENI, CASERME E MONUMENTI PER UNA GRANDE SVENDITA ALLA LOBBIE DEI COSTRUTTORI
Il problema della gestione del patrimonio immobiliare dello Stato ha visto l’Italia, sotto vari governi, fanalino di coda in Europa nella sua valorizzazione e ammodernamento.
Beni pubblici e patrimonio culturale e artistico lasciati spesso nel degrado e nell’abbandono, nonostante il nostro Paese sia notoriamente ricco di tradizioni e monumenti da far invidia al mondo.
Da anni si è imposta la filosofia della svendita, chiamata garbatamente “piano delle alienazioni immobiliari”, peraltro con pochi ricavi per lo Stato e grossi affari per gli imprenditori.
Ora sta per scattare la seconda fase, quello del federalismo demaniale che prevede il trasferimento a Comuni, Province e Regioni dei beni del demanio marittimo ed idrico, di caserme ed aeroporti, nonchè di monumenti, salvo quelli appartenenti al “patrimonio culturale nazionale”.
Un concetto ambiguo, non previsto dal Codice dei Beni culturali, che aprirebbe la strada al “patrimonio culturale regionale” e che è in palese contraddizione con l’art 9 della Costituzione che ritiene “il patrimonio culturale elemento costitutivo della Nazione, una e indivisibile”.
Al di là delle assicurazioni del ministro Bondi che lasciano il tempo che trovano, è evidente che ci si ponga delle domande sul destino del paesaggio delle nostre coste quando si sancisce che “tutti i beni appartenenti al demanio marittimo e idrico verranno dismessi dallo Stato” (art.5).
Per sua natura il demanio marittimo e idrico è di proprietà pubblica perchè racchiude beni comuni di uso collettivo.
Occorre chiarire che i decreto Calderoli non prevede il passaggio dal demanio statale a quello regionale, ma una generale sdemanializzazione per cui tutto, comprese le coste, diventa immediatamente commerciabile.
Se poi aggiungiamo lo stato comatoso delle finanze locali, è facilmente intuibile che si arriverà ai saldi sul mercato immobiliare, pur di recuperare introiti per gli enti locali.
L’art 6 prevede infatti l’attribuzione gratutita degli immobili già demaniali a “fondi immobiliari” di proprietà privata, purchè i privati versino nel medesimo fondo proprietà di valore equivalente: solo i grandi costruttori sono in grado di farlo.
In pratica il demanio dello Stato viene disfatto, i suoi beni polverizzati e ceduti al miglior offerente e la svendita etichettata come “valorizzazione”, concetto invece che nel Codice dei Beni culturali dovrebbe significare “promuovere lo sviluppo della cultura” (art 6).
Un esempio di quello che potrà accadere ci viene da Verona, una delle città così “ben amministrata ” dalla Lega.
Qui il Comune ha già chiesto la proprietà degli immobili del demanio siti in città , ovvero mura, forti, bastioni, porte antiche e altri beni vincolati.
Ma con che filosofia si intende “valorizzarli”?
Forse con la stessa che il Comune di Verona ha adottato vendendo Palazzo Forti, mutando la destinazione d’uso (da culturale a commerciale) e utilizzando i 33 milioni di incasso per acquistare un’area che prevede 280.000 metri cubi di cemento per la gioia di qualcuno?
Per non parlare del destino dei fari italiani, del forte Cavour all’Isola Palmaria e di altre bellezze costiere italiane, alienate a breve dal ministro La Russa.
L’alternativa all’incuria e al degrado è il loro recupero e riutilizzo culturale, non la cessione alla lobbie dei costruttori.
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