FLOP, GAFFE E RINVII: I PEGGIORI DEL GOVERNO
CHE STANNO FACENDO ALCUNI DEI “MIGLIORI”?
I cantori del governo Draghi hanno parlato di “Dream team”, di “All star”, delle “migliori risorse” messe a disposizione del Paese per uscire dal momento più difficile. Qualcuno però dev’essersi imbucato, non foss’altro per i curricula di certi ministri e sottosegretari o per le prime decisioni prese.
Il risultato, figlio anche delle necessità di accontentare una maggioranza estesa quasi quanto l’intero Parlamento, è un esecutivo pieno di “peggiori”: dalla leghista Lucia Borgonzoni alla Cultura fino allo smarrito Patrizio Bianchi alla Scuola, subito alle prese con la chiusura di quasi tutti gli istituti.
Per non dire del ritorno della renziana Teresa Bellanova — quella che per amore della Patria aveva “rinunciato alle poltrone” — e della nomina di Francesco Paolo Sisto come sottosegretario alla Giustizia, lui che nei tribunali ci andava come avvocato di Silvio Berlusconi (la cui idea sulla giustizia italiana è nota).
Ma tant’è: questa è la squadra e ci dobbiamo accontentare. Anche solo per non rassegnarci alla narrazione del “governo dei migliori”, però, è utile un piccolo bignami sui primi passi nell’esecutivo di questi nostri illustri rappresentanti e sulle loro mirabili imprese. Tra gaffe e flop precoci, c’è già materiale per un inglorioso resoconto da cui dovranno riscattarsi.
Il nuovo cts. Numeri sballati e addio all’Inail
Il nuovo Comitato tecnico scientifico dell’era Draghi parte tra polemiche e persino minacce di esposti in Procura. Per il sospetto che Palazzo Chigi sia stato sensibile alle pressioni della Lega, che da tempo reclamava la mordacchia per gli scienziati accusati di voler tenere “reclusi in casa gli italiani”. Nella nuova composizione è stato ridotto il peso specifico degli esperti sanitari e addirittura cancellata la presenza dell’Inail, che aveva svolto un ruolo fondamentale per l’elaborazione dei protocolli anti-Covid per i luoghi di lavoro. Mentre un posto nell’organismo era stato assicurato ad Alberto Gerli, esperto informatico col vizio di fare cilecca con previsioni tranquillizzanti sull’andamento della pandemia, poi costretto al passo indietro (“A fine febbraio il Veneto sarà zona bianca” , assicurava a inizio anno).
Nel collegio c’è anche Donato Greco, epidemiologo convinto che l’emergenza sia cessata già da tempo e che le restrizioni siano “frutto di una politica della paura”. In passato aveva negato ogni relazione tra tumori e discariche al tempo in cui era sub commissario per l’emergenza rifiuti in Campania.
Roberto Cingolani. Transizione tra le stelle
Il suo esordio davanti alle commissioni di Camera e Senato non ha impressionato in positivo, soprattutto gli ambientalisti. L’ex direttore dell’Iit di Genova oggi ministro per la Transizione ecologica ha messo sul tavolo una eterogeneità di prospettive al confine tra l’incognita e il preoccupante: idrogeno verde, fusione nucleare, le “stelle come fonte di energia del futuro”. Ammesso che l’idrogeno sia la risposta in un futuro lontano (sulla fusione nucleare, per dire, c’è ancora molta strada da fare), non è ben chiara la transizione immediata e la sua progettualità in seno al Pnrr.
Su trivelle, petrolio e gas ha preso tempo con una nuova scadenza per la realizzazione del piano delle aree, ma ha dato un rapido indirizzo su come snellire la “burocrazia” richiamando il “modello Genova”. Intanto, si è dimenticato di parlare delle rinnovabili “tradizionali”.
Carlo Cottarelli. Dopo tanta attesa, ecco la chiamata per la pa
Carlo Cottarelli è l’uomo dei mille incarichi promessi, colui che teneva il telefono “sempre acceso”, hai visto mai arrivasse una chiamata dal Colle più alto. La chiamata è arrivata, ma non dal Quirinale, semplicemente dal ministero della Pubblica amministrazione di Renato Brunetta che lo ha voluto nel gruppo di lavoro sul Piano nazionale di ripresa e resilienza, insieme a un po’ di noti burocrati e professori di economia, rigidamente bocconiani.
Lui, ospite fisso di Fabio Fazio, si mostra sempre cuor contento: presenzia, consiglia, si agita, guarda il telefono e poi, come un Renato Altissimo qualunque, si ritrova nel centro liberaldemocratico costituito da Azione, Più Europa, Partito repubblicano italiano, Alleanza liberaldemocratica per l’Italia e Liberali (ma oggi si passerà alla “maratona virtuale dei riformisti”).
Lui presiede la scrittura del “Programma per l’Italia”. E magari mentre scrive, ci ripensa, come ha fatto sul Mes: prima a favore, poi contrario. Ma sempre cuor contento.
Lucia Borgonzoni. La sua Cultura: “Riaprire i bingo”
La sottosegretaria alla Cultura che non legge libri è tornata sul luogo del delitto, quel Mibact che ha frequentato nel Conte I senza lasciare ricordi indelebili, ma consolidando la fiducia di capitan Salvini (e quindi la candidatura disastrosa alle regionali emiliane).
Non è realistico valutare l’impatto del suo lavoro in queste poche settimane, ma dalle sue uscite pubbliche possiamo capire che si occupa — come il suo leader — di quasi tutto tranne che di Beni culturali (interviene su vaccini, economia, fisco, legittima difesa, etc). Il suo cavallo di battaglia in questi giorni è aver promosso il decreto che regola i crediti d’imposta per i produttori di videogiochi
Che c’azzecchino cinema e videogiochi è un mistero, ma la sottosegretaria leghista sembra proiettata sulla dimensione ludica: subito prima del suo nuovo incarico al Mibact si era distinta per aver chiesto di far riaprire subito non musei e teatri ma “sale slot, scommesse e bingo”, definiti “presidi della legalità contro la mafia”.
Patrizio Bianchi. Chiudere, aspettando che la tempesta passi
Non ce l’ha fatta a tenerle aperte, anzi, è riuscito nell’impresa di fare in modo che le scuole fossero le prime (e praticamente uniche) a chiudere. Era in parte successo anche alla ministra Lucia Azzolina, che l’ha preceduto, di dover subire la decisione autonoma delle Regioni o di dover mediare le pressioni degli alleati di governo LeU e Pd, ma almeno in quel caso si era percepita della resistenza, una lotta, un tentativo di trovare una soluzione. Nel caso del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, invece, si è vista solo la resa di fronte a una variante inglese che pareva auto-generarsi nei corridoi delle scuole. Esito: istituti chiusi in tutte le zone rosse, anche per i più piccoli (che hanno protocolli molto più stringenti) e Dad a tempo indefinito per tutti gli altri.
Brunetta-Gelmini. Renato dà il bonus, Mariastella apre
Per Renato Brunetta è un ritorno, ma questa volta sembra orientato a una linea soft. Se al suo primo giro da ministro della Pa era andato alla guerra coi dipendenti pubblici, considerati una manica di fannulloni tanto da meritarsi i famigerati tornelli, ora il suo approccio è più morbido. In attesa della riforma, il suo biglietto da visita è stato l’assunzione di 2800 precari, un aumento di 107 euro in busta paga e l’introduzione di una serie di bonus per eccellenze e innovazione. E sembra morbido anche sullo smart working. Maturazione o furbizia?
Della Mariastella Gelmini ministra dell’Istruzione si ricordano i tagli draconiani al personale scolastico e la gaffe sul “tunnel dei neutrini tra il Cern di Ginevra e il Gran Sasso”. Ora alle Politiche Regionali ha preso il testimone di Francesco Boccia ma sta sul fronte opposto: se Boccia era per chiudere il più possibile, Gelmini è “aperturista”, più propensa ad ascoltare le ragioni di imprenditori e commercianti che quelle dei medici. Per lei, però, la vera sfida sarà tenere botta sull’organizzazione delle vaccinazioni, dove le Regioni vanno in ordine sparso.
Teresa Bellanova. Altro che rinuncia alla poltrona
Per un paio di settimane, a cavallo tra gennaio e febbraio, Matteo Renzi ha ricordato ogni giorno il “gesto di coraggio” di Teresa Bellanova, Elena Bonetti e Ivan Scalfarotto, eroi che “hanno rinunciato alle poltrone mentre gli altri li giudicavano folli”.
Oggi sono tornati tutti e tre al governo, anche se l’ex ministra dell’Agricoltura ha dovuto accontentarsi di un posto da “vice” alle Infrastrutture, dove il responsabile è Enrico Giovannini.
Poco male, anche a giudicare dai toni con cui i renziani parlano della loro operazione politica per far fuori Conte: “Un drappello di visionari riformisti ha avuto ragione”, dice la stessa Bellanova. E ora? La linea sponsorizzata dalla viceministra ricalca il Piano Shock di Italia Viva, un miliardario insieme di opere pubbliche da gestire attraverso commissari (nulla di molto diverso dalle tanto criticate task force tecniche) in grado finalmente di “sbloccare i cantieri”. Un modello Genova amplificato che vuole rendere consuetudine l’eccezionalità di quella ricostruzione, naturalmente derogando a molti dei vincoli oggi previsti dal Codice degli appalti.
Carlo Sibilia. Quello che Draghi “andava arrestato”
L’eternauta del M5S. In tre anni il Movimento ha cambiato tre volte alleati di governo e messo in soffitta molti totem ma Carlo Sibilia, 35 anni, di Avellino, è sempre rimasto dov’era, sottosegretario di Stato all’Interno.
Apparentemente intoccabile, di certo bravissimo a galleggiare nelle acque agitate dei 5Stelle. Ce l’ha fatta anche stavolta, grazie innanzitutto al legame con Luigi Di Maio.
E non era semplice, anche perchè Sibilia è lo stesso 5Stelle d’assalto che l’11 febbraio 2017 scriveva: “Draghi è quello che ha dato il via al crack Mps che noi oggi paghiamo 20 miliardi. Andrebbe arrestato”.
Un post che il grillino poche settimane fa ha precipitosamente cancellato, come un altro di pochi giorni dopo, in cui ribadiva: “È stato Draghi nel 2008 a mettere Mps su un piano inclinato”. D’altronde anche Beppe Grillo urlava contro l’ex presidente della Bce, e ora lo descrive come “un po’ grillino”. Quindi, liberi tutti.
Garofoli e Sileoni. Giurista e super liberista
Del sottosegretario alla presidenza del Consiglio è stato detto: nel Conte 1, da capo di gabinetto al Tesoro (arrivato con Padoan, rimase con Tria), fu messo nel mirino di Palazzo Chigi per una norma comparsa in un decreto a favore della disastrata Croce Rossa, poi cassata da Tria. Chiarì che era una richiesta del ministero della Salute.
In quel periodo, peraltro, Garofoli stava risolvendo un contenzioso con Cri su una casa in cui aveva aperto un B&B. A inizio 2019 lo scontro porta alle dimissioni. Oggi è tra coloro che dovrebbero studiare come introdurre le nuove misure anti-Covid senza ricorrere a quei Dpcm tanto invisi a Sabino Cassese.
Si pensa a un decreto, che però rischia di non lasciare tempo al Parlamento di discutere neanche il precedente. O a un’ordinanza del ministro della Salute che però dovrebbe intervenire anche su temi di altri ministeri e far saltare il confronto con loro e le Regioni. Nello staff di Draghi è arrivata anche la super liberista Serena Sileoni (ricercatrice in diritto pubblico) dell’Istituto Bruno Leoni. Il suo ultimo intervento sul Foglio è dedicato ai successi delle case farmaceutiche contro il Covid. In altri auspicava una maggiore liberalizzazione del mercato del lavoro e che “si tolgano le briglie al mercato”.
Valentina Vezzali. Tutto deciso prima che arrivasse
L’ultima arrivata ha già fatto storcere il naso a molti: ai suoi colleghi che magari avrebbero preferito altri ex atleti, ai partiti che si sono sentiti esclusi dalla scelta, a chi ancora ricorda la gaffe con Berlusconi e l’esperienza con Monti.
Eppure Valentina Vezzali, la campionessa di scherma voluta da Mario Draghi (ma si dice soprattutto dall’ex capo della Polizia Gabrielli e dal leghista Giorgetti) come sottosegretaria allo Sport, non ha fatto ancora nulla.
Il decreto salva-Coni è stato approvato subito prima della sua nomina (e forse non a caso: sarà dura contenere Malagò). Il decreto Sostegni per lo sport prevede quasi solo il bonus per i collaboratori sportivi, che era stato il cavallo di battaglia di Spadafora (però con la novità della progressività , per non dare più soldi a pioggia, su input del nuovo governo condiviso dalla sottosegretaria). Il suo primo, vero passo sarà la scelta dello staff. Come si dice nelle pagelle sportive, è ancora s.v.: senza voto.
F. Paolo Sisto. Giustizia, riforma baciata da Silvio
Fosse per lui, le intercettazioni quasi non dovrebbero esistere perchè “le esigenze del processo non sono sempre prevalenti. Esiste un diritto alla vita privata, alla riservatezza, alla libertà di espressione che conta quanto e talvolta più delle esigenze investigative”. L’avvocato Francesco Paolo Sisto, neo sottosegretario alla Giustizia in quota Forza Italia, non sta nella pelle ora che a Via Arenula c’è Marta Cartabia e quell’intruso di Alfonso Bonafede, che solo a vederlo gli provocava l’orticaria, è ormai un lontano ricordo (per quanto spiacevolissimo). Adesso però l’occasione è finalmente propizia per una riforma della giustizia, a partire dalla prescrizione — modificata proprio da Bonafede — così cara a Silvio Berlusconi e (il copyright è proprio del neo sottosegretario) ai “partigiani della Costituzione di Forza Italia”, che per i critici sono da sempre gli scudi umani del Cav, da loro sempre difeso a suon di leggi ad personam e di sit-in di fronte al Palazzo di giustizia di Milano. Sisto, per la verità , il suo lo ha fatto anche in tribunale, dove ha assistito il Capo nel processo per le escort portate in via del Plebiscito, vecchia residenza romana di Silvio, da Giampi Tarantini.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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