GLI STIPENDI DEI 10 MANAGER PIU’ PAGATI D’ITALIA: DA 5 A 8 MILIONI DI EURO L’ANNO
I MECCANISMI DELL’ARRICCHIMENTO SONO SPESSO AUTOREFERENZIALI… INVECE CHE LEGATI ALL’ANDAMENTO DEI TITOLI AZIONARI SONO COLLEGATI A PARAMETRI DI COMODO… VI SONO MANAGER DI AZIENDE IN DIFFICOLTA’ CHE CONTINUANO A PERCEPIRE MILIONI DI EURO
Se nel mondo sta prendendo piede una sorta di ribellione nei confronti degli stipendi milionari di certi manager, rei di aver affossato l’economia del proprio Paese, magari continuando a percepire stipendi miliardari con soldi pubblici, una ragione di base esiste.
In un periodo di crisi, le super-retribuzioni urtano contro il buon senso e i disastri causati dagli eccessi della finanza.
John Pierpont Morgan, leggendario banchiere di inizio secolo amava sostenere che in nessun caso lo stipendio del presidente di una società doveva superare di venti volte quello medio dei suoi dipendenti.
Ci vuole proporzione: se lo stipendio medio di un impiegato è nell’ordine dei 25.000 euro l’anno quindi, secondo Morgan il supermanager dovrebbe stare intorno ai 500.000 euro l’anno.
E si tratta di uno stipendio da favola.
Peccato che le cose, nella prassi, siano ben diverse: la classifica 2008 dei compensi dei primi 10 manager italiani parlano di ben altre cifre.
In testa troviamo con 8,3 milioni di euro Roberto Tunioli, numero uno di Datalogic, società che ha chiuso l’anno con 17,8 milioni di utili.
Al decimo posto si installa Pietro Modiano di Intesa San Paolo con 5 milioni di euro.
Il sistema delle grandi “corporate”, prima in Usa e poi in Europa, ha generato una casta di tipo autoreferenziale e auto-super-stipendiata attraverso il meccanismo perverso dei bonus e delle stock option.
Automatismi per moltiplicare i redditi dei manager, legandoli al raggiungimento di determinati parametri e obiettivi di bilancio, piuttosto che allo stesso andamento dei titoli azionari.
Obiettivi, parametri, bilancio e prezzi che lo stesso manager può manipolare a suo uso e consumo, come i casi Enron e Parmalat hanno dimostrato con 6 anni di anticipo.
Ma anche senza andare alle truffe più clamorose, i segnali di certe sproporzioni sono sotto gli occhi di tutti.
Al secondo posto nella graduatoria italiana, ad es., troviamo l’amministratore delegato della Seat Paginegialle, Luca Majocchi, attualmente alle prese con un aumento di capitale necessario per sopravvivere, ma che non gli ha impedito di incassare nel 2008 la bellezza di 8 milioni di euro. Oppure il caso di Carlo Puri Negri, capo di un’altra azienda in grosse difficoltà come la Pirelli Re che pure nel 2008 non ha certo rinunciato a incassare 2 milioni di euro che si sommano ai 33,7 percepiti dal 2001 al 2006.
In questo quinquennio nessun banchiere tra Passera (Intesa), Profumo (Unicredit) e Nagel (Mediobanca) ha portato a casa meno di 30 milioni di euro.
E allora emerge una sproporzione assoluta che il saggio banchiere di inizio secolo avrebbe denunciato come un’ingiustizia.
Altro che rapporto 1 a 20 tra il fattorino e il manager, qua siamo spesso di fronte a manager di aziende che hanno contribuito ad affossare, magari a capitale pubblico, pur continuando a riconoscersi stipendi nell’ordine di milioni di euro.
E poi qualcuno si stupisce se l’opinione pubblica è inferocita?
Le retribuzioni devono avere un tetto ed essere proporzionate all’andamento dei tutoli azionari: se un manager fa guadagnare la propria azienda, giusto che venga premiato in proporzione ed entro un certo tetto.
Ma se è solo che concausa della crisi venga retribuito al minimo, come accade a tutti i poveri mortali.
Soprattutto se gestisce soldi pubblici, sarebbe il minimo che il contribuente italiano si potrebbe aspettare.
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