IL “CAPITONE” È BOLLITO, MA I LEGHISTI ASPETTANO UN SEGNALE DA GIORGETTI E ZAIA PER SCATENARE L’INFERNO E SFIDUCIARE SALVINI
MA QUELLI CONTINUANO AD ASPETTARE. L’OBIETTIVO È FAR CUOCERE IL SEGRETARIO A FUOCO LENTO E ATTENDERE LA TRANVATA FINALE: SONO CONVINTI CHE SI FARÀ FUORI DA SOLO A SUON DI GAFFE. MA COSÌ FACENDO RISCHIANO DI PORTARE IL CARROCCIO ALLA DISINTEGRAZIONE FINALE, E LASCIARE SOLO MACERIE IN MANO AL NUOVO LEADER (FEDRIGA)
Tutti borbottano, mettono in fila gli errori del leader, in Veneto, roccaforte espugnata dalla Meloni, accusano apertamente «le scelte sbagliate fatte negli ultimi tempi dal segretario Matteo Salvini».
Ma nessuno nella Lega, almeno per ora, muove un passo per cambiare la situazione.
Lo stallo. E Giancarlo che fa? E Zaia? Giorgetti mugugna, si lamenta delle frequentazioni di Salvini (l’ultimo personaggio misterioso che circonda il segretario è Antonio Capuano, quello del viaggio a Mosca), si è ormai rassegnato al fatto di non essere più ascoltato dal Capitano.
Con i suoi nelle ultime settimane si è sfogato: «Ma come si fa a non mettere al centro l’attività di governatori e ministri»?, rilanciando cioè l’azione della Lega di governo (nazionale e regionale). Non esclude persino di mollare la politica («Tanto personalmente non devo dimostrare niente o arrivare», la carriera l’ha fatta e pure lunga).
Un disagio noto a tutti, e presente da tempo. La domanda che si fanno i leghisti è un’altra: a parte questi lamenti, cosa vuole fare «il Giancarlo», in concreto? La Lega è una pentola a pressione, basterebbe un niente per far esplodere il malcontento che ribolle.
Il prossimo test è il 21 giugno, quando in Parlamento arriverà Draghi per le «comunicazioni» su economia e guerra in Ucraina in vista del Consiglio Ue, un passaggio definito «rischioso» dall’atlantista Giorgetti, se Salvini darà seguito alle sue parole contro le armi a Kiev. «Se lui o Zaia danno un cenno, tantissimi parlamentari li seguirebbero», commenta un deputato leghista.
Ma il segnale, da Giorgetti per ora non arriva. E nemmeno dall’altro colonnello guardato come possibile leader della Lega, Luca Zaia, prudentemente asserragliato nel suo Veneto.
Ad una domanda del Foglio sul suo ruolo nel dopo Salvini, l’altro giorno, il «Doge» ha risposto alla solita maniera democristiana: «Sto bene in Veneto, natura non facit saltus». Da quelle parti si rincorrono i rumors su di lui, tutti si aspettano una mossa da Zaia, come da Giorgetti. Come pure da Massimiliano Fedriga, l’altro governatore governista indiziato per un prossimo Salvini-cidio.
In campagna elettorale si è girato il Friuli-Venezia Giulia a braccetto con la Meloni. Prove tecniche di una nuova alleanza tra leader, si è subito detto. Anche Fedriga vive male la linea ondivaga del segretario. Anche lui si lamenta che il lavoro di ministri e governatori venga «mortificato» dalle avventure geopolitiche di Salvini, tra Polonia e Russia, al seguito di oscuri mediatori. Fedriga, anche per l’età, è quello considerato più papabile per prendere il posto di Salvini.
Ma anche lui non sta manovrando per far fuori il Capitano, gli deve troppo, come molti altri nella Lega. Dunque si aspetta, tra la rassegnazione e il timore di una tranvata alle politiche 2023. Il congresso federale? Non se ne parla.
Quello che però viene chiesto è un chiarimento, quello sì. Lo dice dal profondo Veneto l’assessore leghista Roberto Marcato: «Non mi iscrivo al partito dei voltagabbana, quelli che quando la Lega macina voti Salvini è un genio e quando perde consenso non capisce nulla – dice il leghista ad Affaritaliani -. Però ci sono elementi di criticità che sarebbe utile affrontare. Un congresso federale per la leadership non mi interessa, ma un’assemblea generale per affrontare a muso duro i problemi è doverosa».
(da il Giornale)
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