IL CORAGGIO DELLE PAROLE NELLA RIBELLIONE DI ELENA: LA SORELLA DI GIULIA SI STA RIVELANDO UN’IMPLACABILE SENTINELLA
LA LUCIDITA’ DI UNA DONNA CHE STA FACENDO IMBESTIALE LA FECCIA REAZIONARIA E MASCHILISTA
Sta succedendo qualcosa di imprevedibile nella vicenda del femminicidio di Giulia Cecchettin, e cioè che sua sorella Elena si stia rivelando un’implacabile sentinella dell’informazione e del linguaggio. E non è un fatto scontato, visto che la cronaca è piena di familiari di vittime che negli anni sono stati spremuti, manipolati, strumentalizzati da politica e televisione.
Elena Cecchettin, nonostante le luci dei media addosso e un lutto tutto da elaborare, sta gestendo la comunicazione e le morbosità da cronaca nera in maniera coraggiosa e, per certi versi, rivoluzionaria.
Nella puntata di venerdì di Quarto Grado è intervenuta in collegamento mentre l’assassino Filippo Turetta era ancora ricercato. Gianluigi Nuzzi la stava intervistando, lei spiegava che aveva inviato dei messaggi su WhatsApp a Filippo e che erano arrivati a destinazione perché avevano la doppia spunta grigia.
Nuzzi, a cui non bastava la dichiarazione ma voleva del mangime più fresco da dare in pasto agli spettatori, le ha chiesto di mostrare il telefono alle telecamere. Lei ha esitato un secondo. E ha risposto con un secco: “No”. Un’azione apparentemente innocua, ma che rappresenta invece un esemplare gesto di ribellione alla cronaca morbosa quando rosicchia tutto quello che può dalle vittime, anche quelle secondarie.
Ospite di Paolo Del Debbio, poi, Elena ha fatto qualcosa di ancor meno prevedibile. Si trova davanti alla sua abitazione, sta per unirsi alla fiaccolata del paese dedicata a sua sorella. Del Debbio si sfrega le mani, convinto di trovarsi davanti il solito familiare con la bava alla bocca o con la lacrima telegenica. E invece Elena è compunta, impassibile. Guarda dritto nella telecamera e fa un discorso lucido, razionale.
Non cede all’emotività, non tira in ballo il suo dolore, quello della sorella. Decide di parlare il linguaggio del femminismo, di parlare della cultura dello stupro. Spiega che Turetta non è un mostro, “lui mostro non è, mostro è colui che esce dai canoni normali della nostra società, lui è un figlio sano della società patriarcale che è pregna della cultura dello stupro”. È vero, sembrava un discorso imparato a memoria e forse lo era, ma questo è un indizio importante, e a suo favore: vuol dire che Elena ha capito quanto importante fosse il suo megafono in quel momento, e non ha voluto sprecare l’occasione di essere ascoltata da una platea così vasta.
Era a un bivio: fare del populismo invocando vendetta e forconi, riconducendo la vicenda solo a sé e al suo vissuto, o trasformarla in materia che riguarda tutte e tutti. Ha imboccato la seconda strada, preparando un discorso con fare chirurgico.
Ma Elena non si è fermata qui. Si è ribellata anche alla strumentalizzazione della politica. Quando l’immancabile Matteo Salvini, a proposito del femminicidio di Giulia, ha twittato: “Se colpevole nessuno sconto di pena e carcere a vita”, lei ha immediatamente replicato: “Il ministro dei Trasporti che dubita della colpevolezza di Filippo Turetta perché bianco e di buona famiglia. Anche questa è violenza, violenza di Stato”.
A quel punto, probabilmente stordito da una reazione inattesa, Salvini ha cercato di raddrizzare il tiro parlando di castrazione chimica e galera. Un giustizialismo da bar che nessun familiare di Giulia ha mai praticato, per giunta. Anche il padre di Elena e di Giulia, Gino Cecchettin, aveva infatti dichiarato: “Adesso penso a Giulia e alle tante Giulie che ci sono nel mondo. Non provo rancore o odio, non provo nulla. Non ho sentito i genitori di Filippo. Come ho detto, anche loro stanno vivendo un dramma”.
Tanta civiltà ha destabilizzato politica e platea al punto che ieri sono circolate voci becere e complottiste proprio su Elena. Sembra una battuta e invece è tutto serissimo: da alcuni – perfino dal consigliere regionale in Veneto, Stefano Valdegamberi – proprio la sorella della vittima è sospettata di essere un’adoratrice di Satana per via di una sua felpa che evocherebbe riti satanici. Peccato che quella felpa sia di un marchio noto, Thrasher, e che pure se Elena fosse davvero Belzebù con l’eye-liner, il femminicidio della sorella rimarrebbe il gesto di un uomo che non ha saputo accettare la fine di una relazione, la libertà di lei.
Quella libertà che Elena sta onorando con il coraggio e la dignità di una donna che per sua sorella non cerca il silenzio, ma il rumore delle parole scelte con cura.
(da Il Fatto Quotidiano)
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