IL MINISTERO DELLA CULTURA FA ZOMPARE TESTE: DOPO SANGIULIANO, GILIOLI E SPANO, RISCHIA ANCHE GIULI?
“REPUBBLICA”:“IL MINISTRO HA DECISO DI FORZARE. E ORA RISCHIA DI PAGARNE LE CONSEGUENZE. PER AVER TERREMOTATO, DI NUOVO, LA CULTURA TRICOLORE. CREATO PROBLEMI AL GOVERNO. RIAPERTO LA DIATRIBA SULL’ASSENZA IN FRATELLI D’ITALIA DI UNA CLASSE DIRIGENTE ALL’ALTEZZA”
Erano diversi giorni che Francesco Spano meditava il passo indietro. Non sopportava più di lavorare in «un contesto non privo di sgradevoli attacchi personali». Dal fatidico 14 ottobre, data della nomina al ministero della Cultura, aveva cominciato a sentirsi addosso troppi occhi: sulla sua vita privata da omosessuale dichiarato, il suo passato, le sue relazioni professionali e persino sentimentali.
Scandagliate non senza morbosità dalle associazioni pro-life, arrivate addirittura a imbastire una petizione popolare per chiederne la testa; dai colleghi del dicastero poco propensi ad accettare «uno che ha sempre lavorato col Pd», un corpo estraneo alla filiera di Fratelli d’Italia
Lo aveva anche detto, all’amico Alessandro: «È difficile da reggere, lasciami andare». Ma l’altro, che contro l’opinione di molti l’aveva fortissimamente voluto alla guida del suo gabinetto — l’unico uomo di cui si fidasse davvero, insieme alla capo-segreteria Chiara Sboccia, come lui pescata dai ranghi del Museo delle arti del XXI secolo — non aveva voluto sentire ragioni.
Le allusioni di Sigfrido Ranucci su un «nuovo caso Boccia, però al maschile» che Report avrebbe documentato nella puntata di domenica, hanno fatto saltare tutte le trincee. Crollate definitivamente ieri mattina, allorché è trapelata la notizia della consulenza da 14mila euro che Spano nel 2023, da segretario generale del Maxxi capitanato da Giuli, ha affidato al suo compagno Marco Carnabuci. Un avvocato già arruolato, nel 2018, dall’allora presidente Giovanna Melandri come responsabile della protezione dati del museo. Con la sostanziale differenza che in quegli anni Spano lavorava altrove, non nella stessa istituzione del “fidanzato”, sposato civilmente pochi mesi fa.
Visto lo stretto rapporto fra il ministro della Cultura e l’ormai ex capo di gabinetto, è difficile pensare che il primo non sapesse del legame fra i due. Li avrebbe dunque coperti, a dispetto dei motivi di opportunità e del conflitto di interessi. È in quel momento che l’addio al ministero è diventato inevitabile. Impossibile respingere questa nuova onda d’urto. Insostenibile il pressing partito da Palazzo Chigi a disfarsi di quella «presenza imbarazzante».
Che già dieci giorni fa, all’atto della nomina, aveva fatto infuriare sia il presidente del Senato Ignazio La Russa, sia i vertici di Via della Scrofa. Non solo per via del brutale allontanamento del predecessore, il consigliere parlamentare Francesco Gilioli — reclutato da Gennaro Sangiuliano proprio su input della seconda carica dello Stato — che ieri si aggirava per i corridoi di Palazzo Giustiniani dicendo: «Avete visto? Avevo ragione io, non ho fatto niente, sono io la vittima».
Ma anche perché nel 2017, da capo dell’Ufficio governativo anti-discriminazioni razziali, Spano era stato coinvolto in una brutta vicenda di finanziamenti concessi a un’associazione Lgbtq+ nei cui circoli si praticava sesso a pagamento. E per questo attaccato ferocemente dall’attuale premier: «Non un euro degli italiani devono essere utilizzati per pagargli lo stipendio», aveva tuonato Giorgia Meloni. Insieme all’intero centrodestra, che aveva costretto il capo dell’Unar alle dimissioni.
Un polverone che tuttavia non aveva scoraggiato Giuli. Rivendicando la sua autonomia, il ministro ha deciso di forzare. E ora rischia di pagarne le conseguenze. Per aver terremotato, di nuovo, la Cultura tricolore. Creato problemi al governo. Riaperto la diatriba sull’assenza in FdI di una classe dirigente all’altezza. Lo testimoniano anche le chat, pubblicate ieri dal Fatto quotidiano, in cui un dirigente romano di FdI, dava del «pederasta» a Spano. «Riportavo gli umori della base », si è giustificato dopo aver lasciato il suo incarico. Quelli che Giuli non ha voluto, o saputo, ascoltare.
(da la Repubblica)
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