IL REFERENDUM SPACCA IL PDL: LA LEGA ALLE STRETTE
BERLUSCONI TENTATO DALL’ELECTION DAY: SE PASSA IL REFERENDUM PUO’ GOVERNARE DA SOLO… LA LEGA VEDE A RISCHIO LE SUE POLTRONE E MINACCIA UNA CRISI… RESA DEI CONTI O COMPROMESSO IN VISTA?
Silvio Berlusconi sembra sempre più orientato a dare il benestare per l’election day che accorperebbe il referendum alle elezioni europee ed amministrative il 6-7 giugno, ma i tempi stringono e occorre prendere una decisone nei prossimi giorni.
Di fronte al risparmio di 400 milioni di euro da destinare ai terremotati dell’Abruzzo, il premier vedrebbe di buon occhio unire le giornate di votazione.
Per lui una bella gatta da pelare che si intreccia da un lato con l’emergenza sisma e la crisi economica, dall’altro con i rapporti interni alla maggioranza.
Cerchiamo di spiegare in cosa consiste il referendum intanto: se vincessero i sì e se si superasse il quorum del 50% degli aventi diritto al voto, il premio di maggioranza verrebbe attribuito solo alla lista singola, e non più alla coalizione di liste, che abbia ottenuto il maggior numero di seggi.
Ne risulterebbe un sistema elettorale che spingerebbe i partiti a puntare sulla costruzione di un unico raggruppamento.
In soldoni se il Pdl, attualmente dato al 40%, vincesse le elezioni, con il premio di maggioranza, arriverebbe a poter governare da solo, senza dover subire le richieste della Lega.
La quale a sua volta non sarebbe più determinante e perderebbe una parte delle sue poltrone, oltre che i posti di governo.
Il referendum poi fisserebbe al 4% per la Camera e all’8% per il Senato la soglia di sbarramento, sotto la quale un partito resterebbe fuori dal parlamento.
Per la Lega si profilerebbero quindi due soluzioni: o entrare nel Pdl e sciogliersi, o restarne fuori, ma senza più potere e poltrone, salvo rinegoziare un appoggio esterno non determinante.
D’altronde più che un solido matrimonio, quello tra Pdl e Lega, è sempre stata una convivenza di interesse.
Bossi utilizza l’alleanza per garantirsi il massimo di cadreghe e potere, e per ottenere un simulacro di riforma federalista che gli consenta di tenere buono il suo elettorato.
Berlusconi ha bisogno dei numeri leghisti per raggiungere i suoi obiettivi e mal sopporta le mediazioni: per lui il massimo è decidere da solo, come nei consigli di amministrazione aziendali, fa parte peraltro del suo modo di concepire la politica.
Ma i problemi non sono solo caratteriali, sono principalmente politici.
Le due formazioni sono antitetiche e fanno finta di non vedere l’inconciliabilità del nazionalismo e dell’indipendentismo che ciascuno esprime.
Hanno raggiunto un compromesso fino a d oggi su un federalismo che è una finzione verbale: serve al Pdl per avere i voti leghisti e a Bossi per giustificarsi di fronte alla sua base.
La devolution era una patacca e fu affossata da un referendum.
Il federalismo fiscale è un minestrone farcito da ingredienti centralisti, più che il primo passo verso il federalismo vero, è la sua pietra tombale.
A Bossi serve per mantenere i suoi voti e sperare di eroderne qualcuno nell’area del centrodestra sui temi della sicurezza e della immigrazione.
L’errore di fondo della Lega è però quello di aver perso nel tempo ogni caratteristica “identitaria” per mirare solo alle poltrone, smantellando una connotazione ideologica per rincorrere i voti ovunque e riducendo la Padania a un concorso di bellezza o a una squadra di calcio.
Con l’ambiguità tipica di una “Lega di lotta e di governo” che ondeggia in continuazione su tutto (ambiente, religione, questioni etiche, banche), senza aver consolidato un blocco del tipo Svp .
Se si aggiunge la mancanza di una adeguata e disinteressata classe dirigente, gli insuccessi sulla lotta all’immigrazione e le sciocchezze sulla sicurezza, l’immagine di mirare sempre alla poltrona (vedi difesa delle Province, quando tutti vorrebbero abolirle), una politica di immagine più che di sostanza, non ci sono molti margini per percorrere una strada autonoma.
In fondo se Berlusconi arrivasse, tramite il referendum, a poter fare a meno della Lega, che male ci sarebbe per la Lega? Se fosse composto da “militanti” nessuna.
Potrebbe anche stare fuori dalle stanze del potere.
Se invece per qualcuno l’ipotesi referendum fa già pensare a suicidi di massa, vuol dire che la Lega “dura e pura” non esiste più da tempo, ma esistono solo esponenti che vivono in funzione della gestione del potere e dell’attak sulla poltrona.
Non a caso c’è chi lavora a una soluzione di compromesso.
Quando un primo dei non eletti vive in attesa che un deputato passi a miglior vita per prenderne il posto, non ci pare che sia proprio l’esempio di chi concepisce la politica in modo “identitario”. Anche se si continua ufficialmente a fare “Monviso a cattiva sorte”, non riusciamo ormai a vedere le differenze tra gli adepti della “padagna del magna magna” e i seguaci della “Roma ladrona”…
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