IL RITORNO DELLA CASTA: VOGLIONO RIESUMARE LE PROVINCE CHE GARANTIREBBERO 2.500 POLTRONE AI PARTITI
SVUOTATI NEL 2014, DA 8 ANNI QUESTI ENTI INTERMEDI VIVACCHIANO
Indietro tutta, tornano le Province. Svuotate nel 2014, ma mai eliminate causa bocciatura del referendum costituzionale del 2016, da 8 anni questi enti intermedi vivacchiano nell’anonimato senza soldi né gloria, ma con molte responsabilità su temi delicati come scuole, strade e sicurezza ambientale. Presto però le cose potrebbero cambiare: tutti i partiti di maggioranza hanno presentato progetti di legge per re-introdurre le Province nel pieno delle loro funzioni e nel 2023 alle intenzioni potrebbero seguire i fatti, complici gli impegni presi da due ministri come Roberto Calderoli e Maria Elisabetta Alberti Casellati.
La proposta di tornare alle Province viene avanzata un po’ da tutto il centrodestra come una battaglia di democrazia. Lo spiega bene una nota della senatrice FdI Domenica Spinelli, segretaria in commissione Affari Costituzionali: “Non ritengo democratico che il presidente e il Consiglio provinciale siano scelti dalle maggioranze dei Comuni più grandi. È l’applicazione perfetta del fallimento della democrazia”. Oggi infatti gli organi provinciali sono scelti dai consiglieri comunali e non dai cittadini, secondo il sistema dell’elezione di secondo livello. E il ritorno al voto popolare è di certo apprezzabile, così come lo è il voler sanare il vuoto amministrativo creato dalla Delrio, ma va da sé che a far gola ai partiti è anche l’enorme struttura politica e tecnica da ricostruire: giunta, Consiglio, uffici, funzionari. Con relativi costi di gestione, gli stessi che fino al 2014 venivano diffusamente contestati.
Per dare un’idea, nel 2019 una bozza di riforma (poi naufragata a causa dello scontro tra i 5 Stelle e la Lega) prevedeva il ritorno di circa 2.500 amministratori, a cui si devono aggiungere i funzionari e gli staff. Il governo però ha preso impegni precisi. A inizio novembre, il ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli ha incontrato il presidente dell’Unione delle Province, Michele De Pascale, assicurando “totale convergenza sulla restituzione dell’identità alle Province”. Poi, una delegazione di FdI ha incontrato la ministra per le Riforme Casellati, ricevendo altrettante rassicurazioni.
Competenze Scuole e strade ma ci vogliono i soldi
Al momento in Parlamento ci sono diversi testi analoghi sull’argomento, ma trovare una sintesi non sarà complicato. Per Forza Italia ne ha presentato uno il capogruppo alla Camera Alessandro Cattaneo, per la Lega ci ha pensato il presidente dei senatori Massimiliano Romeo e per Fratelli d’Italia i primi firmatari sono Marco Silvestroni e Gaetano Nastri. Nel testo del ddl, i meloniani fanno riferimento all’attuale stato di incertezza delle Province: “La necessità del superamento della legge Delrio (quella che le aveva svuotate nel 2014, ndr) deriva dal fatto che essa non può essere attuata poiché le Province sono ancora previste dalla Costituzione e mantengono le competenze sull’edilizia scolastica, sulla tutela e valorizzazione dell’ambiente, sui trasporti e sulle strade provinciali; per esercitare tali funzioni le Province necessitano urgentemente di risorse”. Servono soldi, insomma, all’ente e ai suoi amministratori (che oggi non percepiscono indennità aggiuntive). Ma di che struttura parliamo?
Organi Da 3 a 5 assessori e fino a 20 consiglieri
Calderoli ha già le idee chiare. In Italia ci sono 107 province (anche se le Regioni a Statuto speciale potrebbero mantenere regole diverse); in quelle fino a 450 mila residenti (sono 66) potrebbero essere eletti fino a 16 consiglieri, mentre nelle altre 51 si potrebbe arrivare fino a 20. Il tutto, promette Calderoli, “con giunte snelle, di 3-5 assessori”.§
Sarà il testo definitivo della riforma a chiarire le indennità: quando le Province andarono in letargo, un consigliere poteva percepire (grazie ai gettoni) più di 2 mila euro al mese, circa la metà di un assessore. Più alti i compensi per i presidenti, variabili a seconda della dimensione della Provincia ma in genere compresi tra i 50 e i 100 mila euro lordi l’anno, tenendo conto dei benefit. Tutti ottimi incentivi, per la maggioranza, per fare presto.
(da il Fatto Quotidiano)
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