IMMIGRATI SFRUTTATI NELLE COLLINE DEL CHIANTI, NON DALLE COOP, MA DA IMPRENDITORI ITALIANI ORA INDAGATI PER ASSOCIAZIONE A DELINQUERE E TRUFFA
UNDICI ARRESTI, BRACCIANTI PAGATI 4 EURO L’ORA, INCIDENTI SUL LAVORO NASCOSTI
Hanno lavorato anche sui terreni di Sting a Figline. Senza che il cantante sapesse niente sulla regolarità o meno di quei braccianti agricoli. Anzi, è stato accertato che lui non era neppure presente.
Mentre — secondo le accuse — altri importanti imprenditori agricoli toscani erano ben consapevoli di sfruttare immigrati clandestini o richiedenti asilo, mandati a lavorare nei campi con le ciabatte in inverno e pagati 4 o 5 euro l’ora.
Si tratta degli imprenditori Coli, titolari dell’azienda vitivinicola Coli Spa di Tavarnelle Val di Pesa.
Secondo le accuse, da anni utilizzavano profughi, soprattutto provenienti dal Pakistan e dall’Africa e li sfruttavano avviandoli al lavoro nero nelle vigne e nelle olivete del Chianti e di altre aree.
E in un caso — sempre secondo quanto risulta dalle indagini — sarebbe stato occultato anche un gravissimo incidente sul lavoro avvenuto nei vigneti: un lavoratore si bucò la gola con un gancio e all’ospedale l’infortunio fu spacciato come un incidente domestico.
È quanto scoperto dalla procura, dalla Digos e dalla polizia stradale di Prato, che hanno avviato una vasta operazione anticaporalato tra le province di Prato, Firenze, Modena e Perugia.
E’ la prima volta che si scopre un fenomeno tanto devastante come quello del caporalato nei vigneti del Chianti, «culla — ha detto il pm Antonio Sangermano che ha coordinato l’inchiesta con la collega Laura Canovai — della civiltà rinascimentale». Undici le misure cautelari emesse nei confronti di cittadini italiani e pakistani: in cinque sono finiti agli arresti domiciliari.
Disposti anche vari sequestri preventivi di quote societarie e 13 perquisizioni. L’inchiesta nasce nel 2015 quando due giovani africani hanno segnalato alla polizia l’illecito sfruttamento di una cinquantina di braccianti agricoli che a vario titolo operavano per l’azienda agricola “Coli” che ha sede a Tavarnelle Val di Pesa.
L’ipotesi della procura è che un gruppo di pachistani, capeggiati da Tariq Sikander, avesse reclutato decine di richiedenti asilo per farli lavorare nei campi a basso prezzo. Sikander era stato arrestato in maggio e aveva deciso di collaborare.
Secondo gli inquirenti, attraverso alcuni intermediari i Coli gli hanno offerto denaro perchè mentisse o ritrattasse, ma Sikander si è rifiutato.
Le accuse sono di associazione per delinquere finalizzata a commettere una serie indeterminata di delitti tra cui intermediazione illecita nel reclutamento di cittadini extracomunitari, per lo più giunti in Italia come profughi e sfruttamento del lavoro nero, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, interramento di rifiuti speciali, emissione di fatture false, ostacolo alle indagini e frode in esercizio del commercio: avrebbero infatti messo in commercio del vino Chianti “adulterato con uve della Sicilia e della Puglia in percentuali non consentite dalla normativa e ponendo in commercio un prodotto diverso, per qualità di composizione e attestazione da quello dichiarato”.
I Coli sono accusati anche di aver percepito indebitamente fondi comunitari per lo sradicamento e il reimpianto di vigneti.
L’operazione, denominata “Numbar dar”, che in pakistano significa “caporale”, è stata illustrata dal procuratore di Prato Giuseppe Nicolosi. Le indagini sono state coordinate dai pm Antonio Sangermano e Laura Canovai e condotte dalla Digos della questura di Prato con la collaborazione della sezione polizia stradale, della guardia di finanza di Prato e del Corpo forestale dello Stato di Firenze.
(da “La Repubblica”)
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