IMMIGRAZIONE, QUELLE LEGGI FATTE PER CRIMINALIZZARE
IL DECRETO DEL GOVERNO MELONI RINNOVA I CATTIVI INSEGNAMENTI DEL PASSATO
Ogni tragedia dovrebbe impartirci una lezione. Quella di Cutro (79 vittime, fra cui 24 bambini) rinnova viceversa i cattivi insegnamenti del passato. Con il decreto legge n. 20 del 10 marzo – l’ennesima stretta sull’immigrazione. Crimmigration, la definisce Judith Resnik, docente all’università di Yale: la criminalizzazione dell’immigrato irregolare.
Una storia punteggiata da interventi normativi sempre più fitti, e giocoforza più confusi, che lascia gli immigrati alla mercé di chi dovrà applicarli. Tanto che interrogando sul termine “straniero” Normattiva (la banca dati dello Stato che contiene le norme in vigore) vengono fuori 1.044 risultati; e 305 digitando “immigrazione”. Ma il timbro di tutto questo concerto normativo è univoco, ed è un timbro repressivo.
Le prove? Si leggono nella Gazzetta ufficiale. La legge Martelli del 1990 e la Turco-Napolitano del 1998 usavano già il bastone, benché quest’ultima garantisse agli stranieri “i diritti fondamentali della persona umana”.
Poi, nel 2002, entra in vigore la legge Bossi-Fini, che immediatamente diventa la seconda causa d’arresti in città, dopo il furto ma prima dei reati legati al traffico di droga o alle rapine.
Quella legge – unica in Europa – brevetta infatti il reato di immigrazione clandestina; commina l’arresto per chi dia lavoro a un extracomunitario irregolare; e per sovrapprezzo impone agli stranieri l’obbligo di lasciare le proprie impronte digitali negli uffici di polizia. Succede pure agli italiani, ma solo quando varcano i cancelli d’un penitenziario; quindi da allora in poi il nostro Stato considera ogni straniero un criminale.
Successivamente, nel 2008, il governo Berlusconi vara il primo “pacchetto sicurezza”, che introduce l’aggravante della clandestinità: se a rubarmi dentro casa è un clandestino, il suo furto vale doppio, merita un doppio castigo. Nel 2009 la legge Maroni aggiunge il reato di clandestinità.
Nel 2010 la Consulta fa saltare l’aggravante, giacché quest’ultima punisce la qualità della persona, non la gravità del fatto, trasformando i reati dei clandestini in altrettanti delitti d’autore. Nel 2011 la Corte di giustizia dell’Unione europea boccia anche il reato di clandestinità. E, nondimeno, nel 2017, si elimina la possibilità per l’immigrato di ricorrere in appello contro la sentenza che neghi l’asilo
E c’è infine quest’ultimo decreto, che introduce un ultimo reato: “morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina” (pena massima 30 anni). Domanda: ma perché, forse in passato gli scafisti ricevevano sul petto una medaglia? No, la loro condotta era già punita dal codice penale. Però occorre gonfiare i muscoli, anche a costo di gonfiare come un dirigibile l’ordinamento giuridico italiano, dove già s’addensano 35 mila fattispecie di reato.
L’unica semplificazione che il governo Meloni ha in mente d’imbastire consiste in un tratto di gomma sulla “protezione speciale”, che s’aggiunge alla protezione internazionale (riconosciuta ai rifugiati dalla Convenzione di Ginevra del 1951) e a quella sussidiaria (per chi rischi la morte o la tortura rientrando nel proprio Paese).
Ne hanno diritto gli stranieri in gravi condizioni di salute, le vittime di violenze e sfruttamento, o quanti erano perseguitati in patria per ragioni sessuali, razziali, religiose. O meglio, ne avevano diritto, giacché il decreto n. 20 opera già una sforbiciata. Ma a breve – ci promettono – il governo sostituirà alle forbici una scure.
Si dirà: niente di nuovo, anche il fascismo additava lo straniero come un nemico potenziale, tenendolo in perenne stato d’incertezza sulla permanenza nel nostro territorio. Sennonché la Costituzione antifascista reca una norma di tutt’altro stampo, dove risuona la xenia, il rito sacro dell’ospitalità in uso presso i Greci, al tempo in cui la democrazia fu battezzata.
Dice l’articolo 10: lo straniero privato delle libertà nel suo Paese “ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Ma sta di fatto che la legge generale sul diritto d’asilo, a 75 anni di distanza, non è mai uscita dal libro dei desideri costituzionali.
Ecco, se proprio il governo vuole aggiungere altre norme al castello delle troppe già esistenti, farebbe meglio a scrivere l’unica legge che non c’è.
(da La Repubblica)
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