IN PROCESSIONE PER SALVARE SILVIO, MA LUI NON SI FIDA
PROSEGUE LA TRATTATIVA STATO-MEDIASET: NUOVE VISITE AL QUIRINALE… L’EX PREMIER PERà’ TEME LA FREGATURA
Per il momento la tregua tiene e la trattativa tra il Colle e l’entourage di Silvio Berlusconi va avanti: in ambienti del centrodestra circola voce che altri passaggi al Colle siano alle viste, forse proprio domani, il giorno in cui la Giunta delle elezioni comincerà a discutere della decadenza del Cavaliere.
Forse salirà al Colle Gianni Letta, forse altri, poco importa.
L’interessato, l’unico che conti, continua invece l’autoreclusione a Villa San Martino, dove ieri sono arrivati di nuovo i suoi figli: i virgulti del capo, com’è noto, sono la punta di diamante delle colombe, saranno loro — se del caso — a firmare la richiesta di grazia al capo dello Stato, ma il capofamiglia non è ancora convinto.
L’offerta di Giorgio Napolitano, infatti, prevede che Berlusconi scelga la via del ritiro dalla politica attiva: dimissioni da senatore, niente velleità di ricandidatura o di ritorno a Palazzo Chigi attraverso una battaglia legale al Tar contro la legge Severino.
Potrà rimanere il capo del suo partito, questo è ovvio, ma non fare politica direttamente: al Quirinale, insomma, indicano al nostro un futuro da Beppe Grillo.
Il problema è che il Cavaliere non è affatto convinto: teme la fregatura, teme l’arresto quando non avrà più lo scudo del seggio a Palazzo Madama, fa fatica a mettere d’accordo la presa d’atto della realtà col suo ego educato alla grandezza.
Il ricorso a Strasburgo, già annunciato, non cambia di molto la questione: il Pd gli può al massimo concedere un “processo” più lungo in Giunta, gli può cioè dare tempo fino a quando non scatterà la pena ai domiciliari o ai servizi sociali.
Metà ottobre, non di più. Sta a lui scegliere e lui tentenna
Che però la temperatura si sia abbassata in quel di Arcore è un dato di fatto: Berlusconi ha scelto di stare in silenzio, ha rimesso nel cassetto il video-messaggio e disdetto l’intervista con Alessandro Sallusti, ora aspetta qualche segnale.
La cosa, ovviamente, ha indispettito i cosiddetti falchi, per cui ogni giorno senza crisi è un giorno buttato.
Dopo Denis Verdini, che ha ribadito le sue ragioni andando di persona ad Arcore (“puntano solo a farti fuori”), ieri è stato il turno di Daniela Santanchè, ospite della kermesse organizzata a Sanremo dal Giornale.
La pitonessa è sembrata quasi lottare contro i fatti, rivolgere una specie di preghiera ad una divinità che lei chiama Silvio Berlusconi.
La cosa emerge nettamente dalle formule linguistiche utilizzate: “Lui ha davanti solo due cose: onore e coraggio. Non può mollare”.
E ancora: “Non voglio credere che possa farlo”.
E di nuovo: “Voglio ancora avere fiducia che non lo faccia”.
Infine la preoccupazione per sè: “Questi (i comunisti cattivi, ndr) te la fanno pagare. A parlare come parlo io in questo paese si rischia la libertà ”.
Visto, però, che della divinità si fida, ma non si sa mai, Santanchè invita il popolo del centrodestra alla rivolta per strada: “Dove siete? Se quel che accade fosse successo a un leader del centrosinistra c’erano le barricate, gli scioperi generali. Scendete in piazza, fatevi sentire. Dal primo agosto avete fatto poco. Ricordatevelo — è la chiusa strappacuore — La patria è di chi la ama e di chi si impegna”
C’è un altro indizio, paradossale in verità , che la trattativa Stato-Mediaset abbia consegnato una speranza di durata al governo: ieri, dopo settimane di indiscrezioni, molti dei senatori del Pdl citati come possibili sostenitori di un eventuale “Letta bis” deberlusconizzato hanno trovato il tempo di smentire.
Da Riccardo Villari a Pietro Langella, da Vincenzo D’Anna ad Antonio Milo, gli eletti campani si sono tutti schierati come un sol uomo con Silvio Berlusconi: “Basta con le illazioni!”, hanno messo a verbale in veementi comunicati ora che è più probabile che non ce ne sia bisogno.
Il Partito democratico, dal canto suo, non pare volersi intromettere tra il Quirinale e lo scomodo alleato di governo.
Anzi, per quanto può facilita le cose: dopo aver ribadito che la legge è uguale per tutti e verrà applicata in Giunta con tempi regolamentari, il segretario Guglielmo Epifani ieri ha lasciato la porta aperta su un provvedimento di clemenza.
La grazia, ha detto, è una “prerogativa che spetta al capo dello Stato e tocca al capo dello Stato valutare. Io ho fiducia in quello che ha fatto, sta facendo e che farà ”.
La palla, insomma, resta ancora nelle mani del Cavaliere, che però non è ancora l’agnellino che servirebbe a chiudere la famosa trattativa: se domani vedrà che la Giunta procede veloce, farà saltare il tavolo senza pensarci un attimo.
Marco Palombi
(da il Fatto Quotidiano”)
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