INTERVISTA A MAURIZIO COSTANZO: “VIRGINIA SI TOLGA LA MASCHERA DA DURA E PURA”
I CONSIGLI ALLA RAGGI, LE BATTUTE SU ANDREOTTI E LA SCOPERTA DI D’ALEMA
Negli undici televisori che tiene accesi di fronte alla sua scrivania appare all’improvviso il volto di Virginia Raggi: “Le servirebbe un corso per capire che il Campidoglio è il trionfo delle insidie. Non è una ragazza stupida. Però — come gli altri prima di lei — è circondata da un sistema che a ogni passo è pronto a tendergli una trappola. Dovrebbe capirlo, non mettersi la maschera della dura e pura. Non ci si improvvisa sindaci di questa città ”.
Maurizio Costanzo ha settantotto anni e la carriera appesa alle pareti: c’è la foto dell’intervista al colonnello Gheddafi e quella a Gorbaciov, gli occhi neri di Giovanni Falcone e l’attimo in cui dichiara guerra alla mafia dando fuoco in diretta tv a una t-shirt che inneggia a Cosa nostra, c’è Woody Allen e l’incontro con Donald Trump: “Lo intervistai a New York nel 2002. Era tutto esagerato, dall’arredamento del suo palazzo al colore dei suoi capelli. Però lui era simpatico. Conservo la foto da allora. Oggi, certo, si nota di più”.
Nella vita ha fatto cinema, teatro, televisione, radio, giornali: tutto.
A breve il Maurizio Costanzo Show tornerà su Canale 5 e dal 18 febbraio è passato a radio 105. Ha superato scandali (P2), attentati (mafia), fallimenti (il settimanale L’Occhio), muovendosi in difficile equilibrio tra incompatibili appartenenze: il voto sempre a sinistra e l’editore — Silvio Berlusconi — schierato a destra.
Come ha fatto?
“Vivo con una pistola puntata alla nuca che si chiama noia, la sento sempre in agguato dietro le spalle. Mi sono continuamente inventato un incontro, un’avventura, un rischio pur di incontrarla il meno possibile”.
Che faccia ha?
“È come un buco profondo che vuole inghiottirti. Tu lotti per non scivolarci dentro. Perchè più precipiti nella cavità , più fai fatica a risalirla”.
È sempre stato così?
“Da bambino, rimanevo a lungo davanti alla finestra a guardare nel vuoto. Dicevo a mia madre che mi annoiavo. Ma mi sbagliavo: stavo scoprendo la malinconia, l’altro mio demone custode. Da piccolo, la vivevo come un handicap. Poi, ho capito che non sarei capace di immaginarmi senza”.
A cosa le è servita?
“L’ho usata in tutte le commedie che ho scritto, nei film che ho fatto con Pupi Avati, l’ho donata a Ettore Scola per la sceneggiatura di “Una giornata particolare”. Ho scoperto che è un’immensa sorgente. E che io non sono altro che un produttore di malinconie”
Cosa rimpiange?
“Ho tre figli, quattro nipoti, altrettante mogli, però non ho mai dimenticato mio padre e mia madre. Li ricordo in continuazione. Non c’entra l’amore. È l’assenza di qualcosa che è nella tua carne e nel tuo corpo, e che non può andare via”.
Si rimprovera qualcosa?
“Mia madre ha fatto in tempo ad ascoltarmi in radio e a vedermi in televisione. Mio padre no, e questo mi fa soffrire”.
Lei che padre è stato?
“Ho perso il mio quando avevo diciotto anni e ho cercato per prima cosa di esserci. Sono stato permissivo. Ho cercato di convincere i miei figli a rispettare una regola facendoli ragionare, piuttosto che con uno schiaffo”.
Ha sognato di fare quello che fa?
“Sì. Fu mio zio a intuire la vocazione che avevo. Era un alto funzionario del ministero della Marina mercantile. Mi metteva da parte le tutte le terze pagine del Corriere della Sera e me le portava a casa ogni settimana. Le leggevo e le rileggevo. Mi piacevano soprattutto Vittorio Giovanni Rossi e Indro Montanelli. Adoravo i loro racconti di viaggio”.
Li ha conosciuti?
“A quattordici anni scrissi una lettera a Montanelli e tutto mi potevo aspettare tranne che mi chiamasse. Invece, lo fece. Mi diede appuntamento per il giorno dopo alla sede del Corriere di Roma. Marinai la scuola e andai. Fino a quando morì rimanemmo in contatto”.
Lei ha incontrato moltissime persone.
“Di tutte, mi mancano sopratutto Vittorio Gassman e Alberto Sordi. Gassman era un vulcano. Arrivava all’improvviso nel camerino del teatro Parioli e cominciava a raccontarmi cosa aveva letto e pensato durante il giorno. Fumava e parlava. Fumava e parlava. Fumava e parlava”.
E Sordi?
“Non ho mai conosciuto nessuno legato alla famiglia come lo era lui. Una volta mi disse: “Ma perchè me devo mette n’estranea ‘n casa?”. Credo non si sia sposato per una forma di fedeltà al fratello e alla sorella. E poi era un custode della semplicità . Aveva una villa stupenda alle Terme di Caracalla: piscina, giardino magnifico, vista sulle rovine romane. La guardava e come parlando tra sè e sè un giorno mi confessò: “Ma che cazzo ma so’ fatta a fa’…”.
È passato tanto tempo, ma non sono riuscito a rimpiazzarli, nè lui nè Gassman. Forse è colpa mia, forse non c’è granchè in giro”.
Lei ha standard molto alti.
“Chiamai Totò mentre stava girando “Uccellacci e Uccellini” con Pier Paolo Pasolini, un uomo di una grazia sconvolgente. Gli domandai: “Come va, Principe?”. Rispose: “Gli attori sono come i tassisti, vanno dove vuole il cliente”. Non aveva ancora capito che stava girando un capolavoro”.
È riuscito a far parlare Andreotti della sua vita in tv.
“Entrai in studio e lui era già seduto sulla poltrona rossa: pensavo fosse uno scherzo, non ci credevo. Fu un evento. Durante la pubblicità , lui che era già presidente del Consiglio, mi disse: “Sa, io ho tre compagni di classe che sono diventati cardinali”. Pausa. “Loro sì che hanno fatto carriera”. Geniale”.
Poi vennero i comunisti.
“Per loro, era ancora più insolito andare in televisione a parlare della loro vita. Prima invitai Amendola, poi Pajetta. Enrico Berlinguer non venne, però mi volle conoscere. Voleva capire chi fossi. Dopo, mi fece dire che mi aveva trovato “più intelligente che cattivo””.
Con quelle interviste, mostrò che anche il personale è politico.
“Non me ne fregava niente delle alleanze o delle tattiche. Cercai di stanare la persona, perchè solo penetrando oltre la corazza delle architetture razionali potevo supporre di far capire chi avevamo di fronte”.
Chi ha capito meglio?
“Massimo D’Alema. L’ho frequentato a lungo, eravamo molto amici. Quando era segretario del PDS, andavo ogni lunedì mattina alle nove a trovarlo a Botteghe Oscure. Parlavamo poco di politica, molto di vita. Ho scoperto di una donna che aveva amato prima di conoscere la moglie morta in un incidente d’auto. Era una ferita molto forte per lui, che è anche un uomo di una certa sensibilità . La superbia che esibisce è una forma di difesa. Probabilmente, necessaria per la politica di oggi”.
Si aspettava potesse fare una scissione dal PD?
“Io non credo nelle scissioni, spero che ci ripensi: hanno sempre fatto del male alla sinistra”.
Roma è la sua città da sempre.
“L’ho vissuta occupata dai militari tedeschi e sotto i bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale. C’ero quando la liberarono, con i soldati neri americani che fumavano Pall Mall per le strade del centro; e poi nel pieno dei fervori e delle sciocchezze degli anni Sessanta. Mi fa male, oggi, vederla sporca e abbandonata a se stessa, ma penso che questa città possieda una bellezza che nessuno può distruggere. I Cinque Stelle hanno vinto indicando il disastro. Ora vi pongano rimedio, anzichè dire sempre no, no, no”.
(da “Huffingtonpost”)
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