INTERVISTA AL POLITOLOGO MARCO TARCHI: “FDI E’ COMPOSTO DA POLITICI DI PROFESSIONE, IL PROBLEMA E’ LA LORO QUALITA'”
“UNA CHIARA VISIONE DEL MONDO LA MELONI NON CE L’HA”… “LA LEGA NELLE GRANDI METROPOLI COME MILANO DI VOTI NE PRENDE POCHI, VUOLE EVITARE BRUTTE FIGURE E PREFERISCE PROPORRE UN CIVICO”… “IN EUROPA OGNUNO E’ SOVRANISTA A CASA SUA, DIFFICILE UN COORDINAMENTO”
“FdI oggi è paragonabile solo in parte al M5S del 2013: ha storia breve e genealogia lunga, ed è composto non da gente comune ma da politici di professione. Se mancano candidati sindaci di spicco, però, non dipende solo dalla qualità politica della classe dirigente ancora da dimostrare. È il frutto di una ostilità di lunga data degli ambienti di élites verso tutto ciò che non sta a sinistra del centro. La colpa delle destre consiste nel non aver mai voluto tentare un’azione contro-egemonica”.
È l’analisi di Marco Tarchi, politologo e professore di Scienza Politica all’università di Firenze, che ha studiato i fenomeni all’origine dalla “nuova destra”, del populismo e del sovranismo.
Professore, Galli Della Loggia sul “Corriere” paragona FdI di oggi, che cresce vertiginosamente nei consensi, al M5S del 2013: si definiscono forza di rinnovamento ma scontano improvvisazione, gaffe, assenza di rapporti internazionali e industriali, classe dirigente non all’altezza. È un’analisi che condivide?
Solo in parte. Fratelli d’Italia ha una storia breve, ma una genealogia lunga. E non è composto da “gente comune”, com’era il M5S, ma da politici di professione o aspiranti tali. A quelli che aveva in partenza, provenienti da Alleanza Nazionale, ne sta aggiungendo, sull’onda dei sondaggi, parecchi altri che provengono dalla frantumazione di Forza Italia o di altre formazioni minori di centrodestra.
Cosa non va, allora?
I problemi sono, semmai, quelli della qualità di questo personale politico – che è in buona parte da dimostrare – e, soprattutto, della possibilità di coordinarne le ambizioni, ora che i posti elettivi si prospettano in vertiginosa crescita, e i futuri comportamenti, in parlamento o nei governi locali. Quanto ai rapporti internazionali, mi pare che Meloni li stia curando da tempo negli ambienti conservatori, che sono molto meno demonizzati di quelli nazionalpopulisti e potrebbero servire da tramite per altri agganci.
Anche l’Espresso dedica alla Meloni un articolo di Susanna Turco intitolato: “Io sono Vaga”. Per governare non basta un’autobiografia pop, servono programmi solidi, uomini in gamba e visione del mondo. La leader FdI ce li ha?
Per il momento, non direi. Ci sono documenti, proposte più o meno generiche, ma di una chiara visione del mondo non parlerei. Ma è una carenza molto diffusa nella politica italiana, dove di identità solide e coerenti è raro trovare traccia. A partire dal Pd. Rimasti orfani delle ideologie, i partiti si accontentano di slogan o, tutt’al più, di scelte politiche dettate dalle circostanze.
Possibile che per Roma – dove in passato si sono candidati Fini e Alemanno – il nome più credibile sia il semi-sconosciuto Michetti, “tribuno della plebe” promosso da Meloni a Mister Wolf della capitale?
A quanto pare, sì. E qui si vede la difficoltà di FdI, ma direi di tutti i partiti connotati più o meno a destra, di trovare persone di qualità disposte ad abbandonare carriere di spicco nei rispettivi ambienti professionali per candidarsi sotto le loro insegne. Va detto però che questo è il frutto di una ostilità degli ambienti di élites verso tutto ciò che non sta a sinistra del centro che è di lunga data.
Colpa – anche – delle èlites se a destra latitano i nomi di spicco?
Questa ostilità spesso è degenerata nella demonizzazione e nell’emarginazione – ogni riferimento agli ambienti accademici, editoriali, giudiziari è voluto, fondato e ampiamente documentabile. La colpa delle destre consiste nel non aver mai voluto tentare un’azione contro-egemonica, e anzi di aver ironizzato sui pochissimi tentativi avviati in quella direzione, ostacolandoli.
A Milano la Lega, partito radicato e strutturato, ha lo stesso problema. Elites a parte, non si trovano i nomi perché i sindaci hanno pochi soldi e molte grane? O piuttosto si cercano i civici perché in caso di (probabile) sconfitta non sono ascrivibili a nessuno e poi ci si conta nelle liste di partito nella contesa per la leadership del centrodestra?
La Lega si è radicata e strutturata in realtà minori o medie; nelle metropoli, anche nel Nord, non ha mai sfondato. Il caso di Formentini sindaco di Milano è l’eccezione che conferma la regola, e poi per lui contò molto l’ascendenza socialista. È comprensibile che, specialmente in questa fase, Salvini non voglia rischiare brutte figure. E magari dare altre frecce all’arco di Giorgetti, l’alleato/collaboratore meno affidabile, per lui, che si possa immaginare.
Se si virasse sui politici i nomi che girano sono Gasparri, Storace, Lupi. Perché non puntare piuttosto su un volto nuovo come la giovane consigliera regionale Chiara Colosimo? Perché è così difficile promuovere un vero ricambio della classe dirigente?
In grandi città, è difficile nell’arco di una campagna elettorale far conoscere volti e nomi nuovi agli elettori, a meno che non appartengano ad una formazione politica inedita e in ascesa com’era, anni fa, il M5S. Puntare su personaggi che hanno alle spalle migliaia di ore di talk show e citazioni nei telegiornali facilita le cose.
Galli della Loggia invita Meloni a radicarsi in ambienti, studi, uffici e persino nei vituperati salotti. Insomma con i poteri forti, piaccia o no, bisogna interloquire. E’ il fallimento della politica dei social, dei clic, degli annunci su Twitter e delle campagne della Bestia?
Non credo che l’invito di Galli della Loggia si addica alla destinataria – e non direi che lo si possa interpretare come un segno di benevolenza. È semmai l’indicazione di dove l’editorialista del “Corriere” vorrebbe indirizzare una forza politica di cui – lo scrive – dà per probabile l’ascesa al governo ma verosimilmente teme ed avversa alcune potenziali scelte future. Se FdI diventasse una replica improvvisata di Forza Italia, consumerebbe rapidamente le carte a disposizione e si impantanerebbe.
Quindi, fa bene la leader Fd a porsi come partito anti-Deep State, nemico giurato delle rendite di posizione?
Ai poteri forti occorre mostrare un volto tutt’altro che accondiscendente, se non si è nei loro favori. È l’unico modo per poter giungere a compromessi accettabili. Altrimenti se ne viene fagocitati. Meloni avrà la forza e le capacità per reggere questa sfida? Ad oggi, il dubbio è lecito.
Anche in Europa non vede un riverbero della stessa confusione? Meloni nei Conservatori, Salvini in ID, i seggi di Orban in palio, il dibattito se gruppo unico o federazione. È l’effetto Draghi anche lì o c’è una direzione di marcia?
Sbaglia chi fa d’ogni erba un fascio e giudica questi movimenti e personaggi come pressoché identici e si stupisce delle loro divisioni. Ognuno di essi, per le caratteristiche nazionaliste e/o populiste che lo contraddistinguono, guarda essenzialmente al proprio paese, al proprio popolo, alle proprie frontiere. Il resto conta poco, o molto meno. I tentativi di coordinamento hanno poca speranza di successo, perché basta che si aprano, o si chiudano, prospettive di accesso al governo in un determinato contesto nazionale e i singoli partiti possono cambiare rotta, almeno tatticamente, e prendere le distanze da alleati improvvisamente diventati scomodi. Anche gli accordi su votazioni comuni al parlamento europeo non sono né semplici né scontate. Ciò non esclude che su alcune grandi questioni che attraversano l’intero continente europeo possano profilarsi prese di posizione e campagne comuni, che in alcuni casi potrebbero aprire spazi (limitati) a convergenze con destre moderate e centristi.
(da Huffingtonpost)
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