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ITALIA-GERMANIA: NELLA PARTITA DEL PIL CI MANCA UN RIVERA

C’ERA UNA VOLTA IL MITO DI “ITALIA-GERMANIA, 4 A 3”: OGGI LO SCARTO TRA I DUE PAESI SEMBRA INCOLMABILE… LORO HANNO BENEFICIATO DELL’EURO MA IL PRIMATO SE LO SONO CONQUISTATO. E ORA INCASSANO

Italia-Germania 4 a 3” è più di un simbolo. Oltre l’amore per il gioco del calcio è l’emblema di un riscatto personale che in quel 1970 coincideva con un futuro di speranze.
L’Italia si è crogiolata a lungo sul senso di quella partita e si è baloccatanell’idea che quel risultato continuasse a segnare i rapporti tra i due paesi.
Che quelle cifre costituissero la giusta ripartizione dei meriti e delle colpe.
L’ultimo ventennio ha rappresentato invece una doccia fredda. La Germania si è confermata quello che è quasi sempre stata, una potenza economica mondiale mentre l’Italia ha perso quota, andando in affanno nel processo di unificazione europea e accumulando un ritardo forse incolmabile. I numeri sono impietosi.
Un paese in pole position
Il paese di Goethe, Bach e Hegel è infatti la prima economia dell’Unione europea con un Pil che rappresenta il 29% di quello dell’Eurozona. Non si tratta solo di 2.700 miliardi prodotti ogni anno da una popolazione di 80 milioni o di una disoccupazione al 6,9%.
La Germania è anche il paese che sfrutta il settore manifatturiero, il 25,5% del Pil in cui occupa il 33% della manodopera europea del settore. È quella del surplus della bilancia commerciale con un attivo di oltre 188 miliardi di euro nel 2012.
Questa realtà  continuerà  a essere inaggirabile a prescindere dalle sorti dell’euro.
In particolare per l’Italia che ha nella Germania il primo partner commerciale. Nel 2013 l’interscambio bilaterale ha raggiunto circa 101 miliardi di Euro, quasi pari alla somma degli interscambi fra Italia e Francia e fra Italia e Regno Unito insieme.
La Germania è il primo Paese di provenienza di turisti stranieri nel nostro, con la cifra record di 10,2 milioni toccata nel 2012 e un afflusso di 6,4 miliardi.
Con queste premesse appare difficile per il nostro paese liberarsi dall’abbraccio tedesco anche se dovesse affermarsi l’ipotesi di un’uscita dall’euro.
Eppure, la Germania è indicata, e in parte lo è, come la regista delle politiche monetarie che hanno strozzato i paesi dell’area mediterranea a cominciare dalla Grecia.
Ma è davvero così? Chi propugna il ritorno a una moneta nazionale non ha dubbi.
I dati reali dell’economia consentono però qualche cautela.
La Germania, infatti, ha beneficiato più di tutti dalla moneta unica e dall’unificazione monetaria. La possibilità  di debellare, tramite l’euro, le svalutazioni competitive di concorrenti-alleati come Francia e Italia, è stata un elemento chiave.
Mentre tutti sono stati costretti a correre al ritmo dei successi dell’euro – cresciuto, sul dollaro, dallo 0,85 del 2001 all’1,59 del 15 luglio 2008 per poi ridiscendere all’odierno 1,36 — la Germania aveva già  quell’andatura nelle gambe.
Il paradosso è che non si tratta di un merito della “cattiva” Merkel ma del suo predecessore, Gerhard Schroeder.
Fu lui, al potere tra il 1998 e il 2005, a consentire all’industria tedesca di accumulare vantaggi competitivi a scapito del lavoro.
L’Agenda 2010 ha rappresentato un’abbuffata di riduzione degli oneri sociali per le imprese, facilitazioni nei licenziamenti, sviluppo dei lavori precari, stretta sulle pensioni che hanno abbattuto i costi della produzione.
La “cura Schroeder” ha distrutto la Spd, che da allora non si è più ripresa, ma ha consentito ad Angela Merkel di presentarsi come leader in grado, addirittura, di mitigare le misure di austerità  del cancelliere socialdemocratico e di vincere tre elezioni di fila.
Di quella stagione si ricorderanno in particolare i “mini-job” nati in seguito alle “leggi Hartz” che hanno coinvolto circa 5 milioni di lavoratori a 400 euro al mese.
Roba da far invidia a mezza Europa.
I meriti di Angela e quelli di Gerhard
La Germania di Angela Merkel ha approfittato di questa eredità  e poi dell’opportunità  offerta dalla moneta unica.
Le politiche di dosaggio dell’inflazione imposte alla Bce sono servite a tenere alta la quotazione dell’euro, a legare le mani agli alleati europei e a gestire al meglio il principale vantaggio competitivo tedesco ereditato dal crollo del muro di Berlino: lo sfondamento a est.
Qui, le fortune della Germania iniziano a separarsi dalle disgrazie degli altri paesi europei.
Un sistema industriale, quello orientale, dell’ordine di circa 600 miliardi di euro fu inglobato per l’87% da imprese della Germania occidentale e grazie a questa “annessione” — per utilizzare il termine dell’economista Vladimiro Giacchè, autore del libro Anchluss — il paese è dilagato verso l’intera Europa orientale con il suo mercato e, soprattutto, la sua forza lavoro a basso costo.
Si è così costituita un’area di influenza formata da un indotto a basso costo e da un mercato di sbocco.
Se gli investimenti esteri della Germania nel 1995 si indirizzavano per 19 miliardi in Francia, 7,3 miliardi nell’Europa orientale e 1,1 miliardi in Cina, nel 2012 questa proporzione cambia significativamente: cresce la Francia a 63 miliardi ma l’Europa orientale schizza a 83 e la Cina si amplia fino a 30 miliardi.
Ecco che emerge la seconda caratteristica tedesca e ne spiega il successo, l’internazionalizzazione.
La specializzazione in beni strumentali e in vetture di alta gamma consente alla Germania di beneficiare al meglio del boom dei paesi emergenti degli anni 2000. L’export sale dal 23,7% in relazione al Pil del 1995 al 51,9 del 2012, quello extra Ue sale dall’8,5 al 18%.
La Germania e il mondo
Il commercio con l’estero avviene al 57% nell’Unione europea, l’11,9% con i paesi europei extra-Ue, tra cui Russia e Turchia, il 16,3% con l’Asia e l’11,7% con l’America.
Accanto all’occidente si apre il mercato asiatico come dimostrano i risultati eccezionali della Volkswagen in Cina.
La Germania, quindi, ha certamente beneficiato del mercato unico e dell’unione monetaria ma le politiche della Ue sono state concertate da tutti i governi e l’intreccio delle economie dei principali paesi europei aiuta a capirne le ragioni.
Non è detto però che le cose non possano cambiare.
La Germania è un paese che sta invecchiando, alcune previsioni indicano per il 2060 nel 33% la quota di anziani sopra i 65 anni di età  con una popolazione che potrebbe scendere dagli 80 milioni ai 67.
Nel dibattito tedesco è forte l’allarme di trovarsi con una quota di anziani fortemente impoveriti nei prossimi decenni.
Lo stesso boom dei paesi emergenti si sta riducendo e paesi come Cina o Turchia inizieranno ben presto a costruire da sè i beni strumentali che oggi acquistano a Berlino. In questo cambiamento, anche il rapporto con l’Italia potrebbe mutare.
Ma servirebbe un paese che recuperasse i venti anni persi sul fronte della modernizzazione.
Fino ad allora, nel confronto con i tedeschi, non ci resta che ricordare la mitica “Italia-Germania, 4 a 3”.

Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano“)

This entry was posted on lunedì, Maggio 5th, 2014 at 22:57 and is filed under Europa. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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