LA BEFFA DEL MOSE: “NON SALVERA’ IL CENTRO DI VENEZIA DALL’ACQUA”
LA DENUNCIA DEI COMMERCIANTI: “SENZA ALTRE OPERE LA CITTA’ ANDRA’ SOTTO”
Venezia 2017, cronaca del Mose in funzione: scatta l’allarme, le dighe si alzano e fermano l’alta marea.
Evviva, la laguna è salva. Ma esiste una zona che non può stappare lo champagne e non si tratta di un campiello di periferia.
E’ piazza San Marco, che si allaga comunque.
Già , fra tre anni, quando sarà varato il Mose, lo scenario potrebbe essere proprio questo, beffardo e paradossale. Cioè, la grande opera non proteggerà il suo centro storico, simbolo della città nel mondo.
Lo denunciano compatti e agguerriti gli abitanti della piazza, gli imprenditori, i commercianti, i ristoratori, i famosi caffè Quadri e Florian e pure la Basilica di San Marco per bocca del suo proto, l’architetto Ettore Vio, che lancia l’allarme usando la matematica: «Se, come hanno deciso, il Mose verrà alzato soltanto quando la marea è a 110 centimetri, il problema non è affatto risolto perchè la Basilica inizia ad andare sott’acqua a 80 e nel 2014 è successo 200 volte. Se non si interviene in tempo rischiamo di perdere un patrimonio immenso, mosaici del tredicesimo secolo compresi».
L’associazione Piazza San Marco, che riunisce oltre cento fra esercenti e grandi appassionati di Venezia (il 10% dei soci è straniero) ha preparato un documento di denuncia e di rabbia.
«E’ uno scandalo: hanno speso oltre 5 miliardi per fare il Mose, hanno rubato decine di milioni in tangenti e non sono riusciti a fare le opere complementari di San Marco. Restituiscano le mazzette e con quei soldi salviamo la piazza più bella del mondo», esce allo scoperto Alberto Nardi, presidente dell’Associazione e titolare dell’omonima storica gioielleria.
Domanda: possibile che in trent’anni di battaglie e progetti nessuno avesse previsto una cosa del genere, Mose su e San Marco giù?
Naturalmente no, tutti ne erano a conoscenza. Tutti sapevano che la piazza ha la sfortuna di essere la zona più bassa di Venezia e che la Basilica si trova in una sorta di catino.
Per questa ragione lo Stato aveva previsto, oltre al Mose, alcuni interventi complementari, come l’innalzamento delle banchine verso il bacino, l’isolamento dell’antica rete di cunicoli e l’impermeabilizzazione della zona per impedire l’allagamento per risalita delle acque.
Costo degli interventi: 100 miliardi di lire, lievitati poi a 100 milioni di euro.
Una cifra importante ma nemmeno un cinquantesimo del costo del Mose (5,4 miliardi) e in ogni caso inferiore ai colossali sprechi scoperti dall’indagine giudiziaria sulla corruzione legata alla grande diga.
Il Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico del governo per le opere di salvaguardia della laguna, prima fra tutte il Mose, qualcosa aveva anche fatto: il banchinamento, che però risulta inutile se non vengono realizzati anche gli altri lavori, come dimostrano le 240 acque alte dell’anno appena concluso.
Risultato: il Mose sara’ una bellissima, incompiuta opera.
Come aver fatto una casa meravigliosa dimenticando le finestre. Sul perchè non si possano fare le finestre non ci sono dubbi.
«Sono finiti i fondi della legge Speciale per Venezia», allargano le braccia in Comune. Succede poi il fatto strano che a denunciare la falla del Mose siano un po’ tutti.
Non solo i commercianti della piazza, con Raffaele Alajmo del Quadri a fare da alfiere, considerato che il suo storico caffè è sempre il primo ad essere allagato: «Quest’anno mi è entrata 140 volte, noi abbiamo l’acqua quando la marea supera gli 85 centimetri, a 95 perdiamo 4 ore di lavoro. Questo significa che devo fermare l’attività tutte le volte, con cuochi lavapiatti camerieri e receptionist da pagare ugualmente e sono 25. Poi abbiamo gli stucchi della sala Ponga che quest’anno è peggiorata in modo vistoso per l’acqua salata di risalita. Insomma, un disastro se non si provvede in qualche modo, anche perchè le acque alte sono sempre più frequenti».
A denunciare il fenomeno è, paradosso nel paradosso, anche lo stesso Consorzio Venezia Nuova, cioè chi dovrebbe provvedere alla salvaguardia di Venezia.
Ecco come parla Hermes Redi, il direttore generale e ingegnere che ha seguito la grande opera come una sua creatura: «Hanno ragione i commercianti, posso dire solo questo. Anzi, aggiungo che lo stesso problema avrà Rialto, altra zona bassa. L’acqua entrerà dalle forine, la piazza doveva essere impermeabilizzata. Anche se ritengo che un utilizzo elastico del Mose possa limitare i danni».
Alcuni propongono di risolvere il problema alzando la diga quando si prevedono acque alte sopra i 90 centimetri, in modo che anche San Marco rimanga all’asciutto. «Impossibile – spiegano i tecnici – dovremmo chiudere la laguna troppo spesso e lo specchio d’acqua diventerebbe una fogna a cielo aperto, con ripercussioni negative sotto il profilo ambientale e sanitario. E’ necessario garantire il ricambio delle acque». Già , ma a chi spettava l’onere di completare i lavori?
«C’è stato un problema di competenze, doveva occuparsene il Comune », azzarda Redi. E i responsabili del Comune cosa dicono?
«Il problema è di pecunia — spiega Marco Agostini, il direttore generale che ha seguito passo passo la vicenda — Dieci anni fa le opere erano state presentate al Comitatone che però non le ha mai approvate per mancanza di fondi. La Legge Speciale è sempre abbastanza incerta come competenze».
Consorzio, Comune, Comitatone. La palla e’ pesante e passa di mano in mano. Agostini riconosce un rischio serio: «Non solo per San Marco: i palazzi possono cadere se non vengono fatte le opere complementari perchè le acque alte sono sempre di più. Non sono capricci, questi. Io dico che se le mazzette fossero finite in queste casse non saremmo qui a parlarne».
Dunque, il responsabile sarebbe il Comitatone per Venezia. E il Comitatone sono un po’ tutti: governo, Regione, Provincia, Comune, Magistrato alle Acque, autorità portuale. E quando ci sono tutti nessuno è più responsabile e Piazza San Marco affoga.
(da “il Corriere veneto”)
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