LA CONTROFFENSIVA UCRAINA E LO SPETTRO PER I RUSSI DELLA SCONFITTA DI TSUSHIMA
NEL MAGGIO 1905 LA FLOTTA RUSSA FU SCONFITTA DA QUELLA GIAPPONESE SUBENDO UN’UMILIAZIONE CHE PORTO’ ALLA RIVOLUZIONE
Nessuno è in grado di tracciare una mappa credibile di quanto accadrà tra Ucraina e Russia, sul campo, nelle prossime settimane.
La Russia riteneva già con gli zar, e tanto più con il comunismo, che le società occidentali fossero fragili che il popolo fosse sempre sul punto di ribellarsi e che avrebbe guardato a Est per ispirazione.
È un secolo almeno che a cicli ricorrenti Mosca, con gli zar, il Politburo e ora con il dittatore unico, sottovaluta la forza dell’Occidente e sopravvaluta la propria. Questo deriva da una costante della politica estera e della psicologia russe che, secondo lo storico americano Stephen Kotnik considerato oggi probabilmente il più profondo conoscitore occidentale del mondo russo di ieri e di oggi, si sta manifestando anche adesso nel caso ucraino.
La Russia, la grande maggioranza della popolazione e la quasi totalità della sua classe dirigente, si identifica e si è spesso identificata in passato con il concetto e il ruolo di grande potenza, la nazione che non deve mai chiedere perché tutto le è dovuto.
Questa grandeur è resa spontanea dalla stessa dimensione fisica del Paese, il più esteso del mondo grande 57 volte l’Italia e per 400 anni in continua espansione territoriale al ritmo medio tra il 1646 e il 1914 di 50 chilometri quadrati al giorno. «Ma il problema è che le sue capacità non sono mai state all’altezza delle sue ambizioni», sostiene Kotnik, perché l’Occidente è sempre stato più forte.
Vi sono stati tre vertici di potenza nella storia russa, con Pietro il Grande contro la Svezia soprattutto, con Alessandro I (contro Napoleone) e con Stalin contro la Germania, dopo esserne stato alleato nel 1939-1941. Per il resto, conclude lo storico americano, c’è la realtà di un Paese piuttosto debole. Solo con l’abbondanza di notizie russe imposte dall’evento ucraino il grande pubblico occidentale ha scoperto su giornali, tv e internet che la Russia ha un Pil analogo a quello spagnolo, nazione priva delle enormi ricchezze minerarie ed energetiche russe e con una popolazione che è un quarto di quella russa.
Anche oggi l’ambizione di Putin è chiarissima: distruggere quanto resta (e non è poco) dell’American Century e creare un nuovo ordine mondiale attorno a Mosca e a Pechino. Quest’ultima potrebbe al momento opportuno averne la forza economica (diverso il problema del soft power), ma come fa Mosca a illudersi di diventare Capitale di riferimento con un Pil al livello di quello spagnolo, priva di prodotti tecnologici ben presenti sul mercato mondiale (salvo che per il militare), e con lo scarso appeal globale della russian way of life? Lo Stato, e in Russia tutto è Stato, si impegna nella gara contro l’Occidente, soccombe, segue una stagnazione, poi la gara riprende, su un altro scacchiere eventualmente.
Sono alcuni mesi che ogni tanto emerge nelle analisi sul conflitto russo-ucraino lo spettro di Tsushima e della guerra russo-giapponese del 1904-1905.
L’imprevista notevole avanzata ucraina nel Nord-Est e la fuga precipitosa dell’armata russa hanno riproposto questa presunta analogia storica avanzata una prima volta da uno storico militare inglese nell’aprile scorso, quando la guerra-lampo promessa da Putin per piegare Kyiv chiaramente era già fallita.
Nello stretto di Tsushima, fra Giappone meridionale e la penisola coreana, una moderna flotta giapponese (navi costruite soprattutto in Gran Bretagna e due incrociatori corazzati classe Garibaldi costruiti dall’Ansaldo di Genova) annientò il 28-29 maggio 1905 la flotta russa del Baltico, arrivata esausta dopo un viaggio di sette mesi e 18 mila miglia per rovesciare le sorti del conflitto con i giapponesi sul controllo della Manciuria esterna, territorio già cinese.
Sconfitti definitivamente su terra a Mukden, a marzo, i russi speravano in una vittoria navale per ribaltare le sorti, ma Tokyo aveva navi migliori, cannoni migliori, proiettili più moderni ed efficaci, sapeva usare meglio la radio, allora agli esordi, ammiragli più aggiornati.
Così come Putin ha definito l’Ucraina uno Stato inesistente e quindi debole, gli strateghi russi disprezzavano il Giappone.
«Passeranno forse dei secoli, prima che l’esercito giapponese possa essere considerato al livello di uno dei più deboli eserciti europei», scriveva nel 1900 l’addetto militare russo a Tokyo, Vannovskij. Era quanto lo zar Nicola II, deciso a consolidare la presenza russa sul Pacifico per intestarsi l’ennesima espansione territoriale, voleva sentirsi dire. Era la prima sconfitta europea in una vera grande guerra da parte di un Paese asiatico.
L’impressione nel mondo fu enorme, il prestigio russo umiliato, e fu l’inizio in Russia di una lunga stagione di forte malcontento che avrebbe portato nel 1917 al fortunato colpo di mano dei bolscevichi.
«Tra i rottami del nostro vecchio sistema militare, nel crollo di tutte le autorità che finora avevamo ritenuto intangibili, nella completa bancarotta di tutte le idee ieri ancora indiscusse, soltanto una colonna del nostro Stato sta ferma incrollabilmente: il valore del soldato russo», scriveva a fine guerra il generale Martynov, uno dei protagonisti.
Ma non bastava per uno Stato debole che aveva ricevuto a Tsushima un colpo mortale. Le analogie storiche sono sempre imprecise, a dir poco, e l’avanzata ucraina non è Tsushima e le conseguenze sono ancora tutte da scoprire.
Vale però quanto ha osservato nei giorni scorsi Abbas Gallyamov, ex Speechwriter del presidente russo oggi residente in Israele: agli occhi del suo popolo «solo la forza è la legittimazione di Putin».
(da tag43.it)
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