LA CRISI DEL PD SPIEGATA DAI SONDAGGISTI
GHISLERI: “È UN PARTITO SOFISTICATO, CHE GUARDA AI DIRITTI CIVILI, IN UN MOMENTO IN CUI PERÒ LA GENTE HA BISOGNO DI RISPOSTE A QUESTIONI MOLTO TANGIBILI” – D’ALIMONTE: “IL PD E’ PARTITO DELLE ÉLITE, NON DEGLI OPERAI. E NON HA AVUTO UN LEADER” – ROBERTO WEBER: “CONTE, NONOSTANTE UN GERGO AMPOLLOSO, HA UNA CIFRA DI RUVIDITÀ CHE SI CONNETTE CON CHI HA SCARPE GROSSE E CERVELLO FINO. MENTRE IL PD NON È IN CONNESSIONE CON LE FASCE PIÙ BASSE DELLA POPOLAZIONE”
Quando si resta troppo a lungo al governo come è successo al Pd, avverte la direttrice di Euromedia research, Alessandra Ghisleri, poi risulta «molto difficile offrire la propria proposta» agli elettori. Persino sui temi del lavoro, che dovrebbero rappresentare una delle radici più profonde del partito di Enrico Letta.
«Il Pd è sempre stato al potere e ha dovuto compiere delle scelte, magari andando contro la propria identità – spiega Ghisleri -. Ha dovuto seguire maggioranze che erano multiple, di coabitazione, e anche questo crea dei problemi». Il Movimento 5 stelle, invece, alle ultime elezioni «si è presentato sul territorio con una promessa realizzata, il reddito di cittadinanza, e con una promessa da realizzare, che è il salario minimo».
Anche su quest’ ultima proposta, sostiene Ghisleri, il partito di Giuseppe Conte si è battuto «con molta più convinzione del Pd». E questo, anche quando si passa all’opposizione, ha un peso sulla credibilità delle proprie battaglie. Quello di Letta «è diventato invece un partito molto più sofisticato, che guarda a temi importanti, come i diritti civili, in un momento in cui però la gente ha bisogno di risposte a questioni molto tangibili, che guardino principalmente alla possibilità per ogni famiglia di poter pianificare il proprio futuro».
È sulla base di questo, sottolinea la direttrice di Euromedia, che la proposta dei Cinque stelle «diventa vincente». Chi si trova in difficoltà, dice, avrà «l’opportunità di mantenere quello che ha, che è il reddito di cittadinanza, o di sperare nella promessa del salario minimo», mentre dai dem riceverà proposte «meno indicizzate». Ed è così che a un certo target di elettore di sinistra, conclude quindi Ghisleri, «il Movimento si inizia a mostrare come una forza credibile».
Roma «Il Pd e il M5S potrebbero anche convivere», sostiene Roberto D’Alimonte, politologo e professore della facoltà di Scienze politiche della Luiss, a Roma. Il Movimento, infatti, si sta caratterizzando sempre di più come «partito della sinistra populista», mentre il Pd è una forza della «sinistra liberale, europeista, tecnocratica». Due elettorati diversi, o almeno «non così sovrapponibili come lo sono invece quelli del Pd e del Terzo polo di Calenda e Renzi.
Ecco, il Pd farebbe bene a guardarsi da loro, più che dai Cinque stelle». In questo momento, sostiene D’Alimonte, i grillini «hanno il reddito di cittadinanza, un sussidio che non è riuscito a offrire sbocchi sul fronte lavorativo, caratterizzandosi come una forma di assistenzialismo con una forte venatura populista», e la proposta del salario minimo, su cui Giuseppe Conte «ha puntato molto e che viene considerata una misura classica della sinistra».
Il Pd, leggendo i dati dei flussi elettorali, «ha i suoi punti di forza nelle aree urbane, tra i laureati e nella fascia medio-alta della popolazione». Insomma, si può dire che quello guidato da Enrico Letta «sia il partito delle élite, non degli operai. Di certo, non è più un partito della sinistra classica.
Gli operai e i disoccupati votano Lega, M5S, FdI. Se questi elettori sono persi per sempre o meno, dovranno deciderlo i dem al loro prossimo congresso». Il riposizionamento di Conte, anche sul fronte del lavoro, «sta quindi funzionando». Ad aiutarlo, c’è «la prateria lasciata dal Pd a sinistra, dove non c’è nessuno fuorché la piccola Sinistra italiana». E poi, sottolinea D’Alimonte, «servono le idee, ma queste viaggiano sulle spalle dei leader carismatici. Da una parte un leader c’è, dall’altra, finora, è mancato».
Se si tratta di fare opposizione, «i Cinque stelle sono molto più adatti del Pd». Per Roberto Weber, sondaggista e presidente dell’istituto Ixè, «non c’è dubbio»: è una questione di «matrice». Anche la piazza di sabato, a Roma – ricorda Weber -, «era piena perché c’era la Cgil di Landini. Il Pd invece le piazze non le occupa più, manifestare è una desuetudine, una dimensione che manca ai vertici del partito».
La comunicazione, poi, ha un peso inevitabile. E nel linguaggio dei dem «non c’è mai una chiave di primitività che li metta in connessione con le fasce più basse della popolazione». Succede anche tra le personalità emergenti del campo progressista, come la brava Elly Schlein, vicepresidente dell’Emilia-Romagna: «Mutua il linguaggio dei media, come se leggesse i giornali e riportasse alla gente quel che c’è scritto. C’è però un’Italia che vota a sinistra e i giornali non li legge. Quell’Italia chi ascolta?».
Conte, nonostante un gergo ampolloso che stenta a perdere, ha «un che di provinciale nell’esprimersi, una cifra di ruvidità che si connette con chi ha scarpe grosse e cervello fino». Si deve far perdonare «molte colpe, come l’alleanza con la Lega, ma sbaglia – sottolinea Weber – chi pensa che i Cinque stelle siano gli stessi di sempre, quelli della scatoletta di tonno o che avevano “sconfitto la povertà”».
Si stanno «rinnovando», in un’ennesima rivoluzione, «ma si muovono in una mappa nuova e il rischio, quindi, è di perdersi con più facilità, scivolando nel populismo». Il Pd, al contrario, «ha legami profondi con la società ed è possibile che venga fuori da questa situazione, al termine di un lungo processo che lo porti a reinterpretare le proprie radici».
(da la Stampa)
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