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LA DOCENTE CHE LASCIA LA SCUOLA: “GLI STUDENTI VOGLIONO INSEGNANTI SHOWMAN, I GENITORI CI PREGANO DI NON INTERROGARE I FIGLI”

STANCA DELL’INVADENZA DEI GENITORI E DELLA POCA ATTENZIONE DEGLI STUDENTI: “ERO INNAMORATA DELL’INSEGNAMENTO, MA QUESTA SCUOLA NON FA PIU’ PER ME”

Di professori come John Keating, per i quali gli studenti salirebbero sui banchi gridando “Capitano, mio capitano”, ne esistono ancora. E se esistesse un grande libro con i loro nomi, sicuramente comparirebbe quello della professoressa di lettere Gabriella Fenocchio, che dal 1987 presso il liceo Copernico ha svolto la sua professione con passione e che oggi, con due anni di anticipo, quella scuola la lascia.
Una vita dedicata alla ricerca la sua, tante pubblicazioni alle spalle e anni di onorato servizio tra i banchi per un mestiere, quello dell’insegnante, che come ci dice è vitale per chi ama lo studio. “Insegnare ai ragazzi, trasmettere il sapere e permettere loro di comprendersi attraverso questo, per me è stato il senso dell’insegnamento”.
Eppure quella donna oggi, dopo tanti anni, lascia la scuola in anticipo. Sembrerebbe un’antitesi, se parlassimo in linguaggio letterario e invece non lo è affatto: “Io della scuola mi sono appassionata e poi disamorata, come succede in tanti ambiti della vita”. Una prof appassionata lascia la scuola quando non si sente più adatta ad un’istituzione in cui i genitori non credono più, gli studenti nemmeno e la società neanche.
“I genitori sono invadenti, vogliono vedere le verifiche e sottoporle ad altri insegnanti, gli studenti a scuola si annoiano, vorrebbero professori showman come ce ne sono tanti online. Questa scuola non fa più per me e con dolore la lascio”.
Non solo docente, ma anche vicepreside per 10 anni, quanto è stato doloroso per lei lasciare la scuola?
Sicuramente molto doloroso, soprattutto pensando agli studenti, con cui ho a che fare dal 1987, perché ho fatto il mio lavoro con passione per moltissimi anni. Poi, però, mi sono disamorata ma ciò nonostante la cosa che più mi mancherà è far lezione agli studenti, perché quando ci si appassiona molto a ciò che si studia, come nel mio caso, trasmetterlo è vitale.
Cosa ha significato per lei in questi anni insegnare?
Ha significato molto, fino a che ho sentito, da una decina d’anni a questa parte, una frattura progressiva nel modo di insegnare. Per i vent’anni precedenti di insegnamento la mia vera sfida è stata quella di far passare agli studenti, attraverso la letteratura, soprattutto certi valori, come il senso critico, della responsabilità, permettere loro di farsi un punto di vista sempre diverso sulle cose, e insegnare la capacità di andare a fondo. Tutto questo ad un certo punto si è interrotto, mi sono accorta che la scuola ha perso una sua propria identità e io lì ho sentito che il mio insegnamento non poteva più dare ciò che aveva dato in passato.
Come hanno reagito i suoi ex alunni alla notizia del suo precoce abbandono dell’insegnamento?
Quando è circolata la notizia del mio lasciare la scuola in anticipo di qualche anno, mi hanno scritto degli studenti che si sono diplomati una ventina di anni fa, dicendomi cose bellissime, come: “Ogni volta che devo fare delle scelte nella mia vita penso a cosa sceglierebbe lei”. Degli alunni avuti negli ultimi 10 anni, non mi ha scritto nessuno.
Attenzione, io non penso che gli studenti di adesso siano più ingrati o antipatici, semplicemente è evidente che questo tipo di scuola non mi ha più permesso di trasmettere ciò che un tempo sono riuscita a trasmettere, che va ben oltre alla materia scolastica che ho sempre insegnato, la capacità di dare agli studenti degli strumenti di interpretazione della vita.
Arriviamo al cuore dell’intervista, lei ha amato tantissimo la scuola, perché l’ha lasciata in anticipo?
Innanzitutto la scuola non veniva più incontro a ciò che io credevo, quando dico che ha perso un’anima e un’identità, intendo che non riesce più a rappresentare un punto di vista diverso rispetto al mondo esterno.
La scuola di oggi si è appiattita al mondo esterno, ciò che i ragazzi imparano sui banchi sembra che debba servire solo in un’applicazione immediata, altrimenti risulta inutile.
Io ho sempre cercato di sforzarmi per dare agli studenti uno spettro linguistico ampio, in risposta ricevevo poco interesse dal momento che ormai per cominciare bastano poche parole. E poi non posso non citare l’eccessiva intrusione delle famiglie nella scuola di oggi, non è piacevole, perché così facendo i genitori non riconoscono agli insegnanti e alla scuola tutta una professionalità. I genitori ormai pensano di poter insegnare agli insegnanti il loro mestiere.
Che ruolo hanno oggi gli insegnanti?
I docenti per certi studenti possono ancora essere un punto di riferimento, ma parliamo di una parte minoritaria di alunni. I professori sono persone che lavorano, per gli studenti, in un ambiente che, rispetto al mondo in cui loro pensano di stare meglio, li annoia.
Ovviamente non voglio dire che l’insegnante di un tempo, temuto dagli studenti, fosse la figura di cui i ragazzi avessero bisogno, oggi è tutto capovolto però. Anche perché è ormai comune dire che proprio gli insegnanti creano disagio ai giovani, però è semplicistico scaricare il problema del disagio giovanile sulla scuola.
Io di crisi di panico nei miei ultimi anni di insegnamento ne ho viste molte, ma la scuola è uno dei pochi posti che ormai mette i giovani davanti a difficoltà che non sono in grado di affrontare e nessuno pensa che una buona scuola potrebbe invece aiutarli ad affrontarle tutte queste difficoltà.
Perché i genitori pensano di poter mettere in discussione la professionalità degli insegnanti?
Perché ormai la scuola nell’opinione pubblica è un’istituzione completamente sottovalutata e genitori e famiglie hanno pochissima stima degli insegnanti, senza contare che è aumentato un senso di protezione dei figli. I genitori cercano di trasmettere agli insegnanti l’idea che i figli devono star bene e che se un’insufficienza li fa star male devono intervenire. Ad oggi sono continue le richieste di accesso agli atti delle famiglie che non si fidano degli insegnanti, chiedono di vedere le prove scritte, senza capire che quei documenti astratti hanno alle spalle un preciso percorso, le portano da un altro insegnante, che se dice loro qualcosa di diverso, significa allora che l’insegnante principale sta sbagliando.
Parlava di una soglia di attenzione sempre più bassa riscontrata tra gli studenti, come mai secondo lei?
Può sembrare una semplificazione ma i nuovi strumenti di comunicazione incidono molto sulla capacità degli studenti di stare attenti. Non è un luogo comune che ormai gli alunni abbiano una soglia d’attenzione di pochi minuti, perché non sono in grado di ascoltare un docente che fa loro lezione per una mezz’ora, a meno che questo professore non faccia battute, non li chiami continuamente in causa, facendo un po’ lo showman, perché certi modelli al di fuori della scuola sono più forti. Ma secondo me la scuola non dovrebbe assecondare tutto questo.
Con ciò non voglio demonizzare la tecnologia, che nelle aule è importantissima, tantissimi libri di testo oggi hanno contenuti fruibili solo scannerizzando con il proprio telefonino un qr code. Il problema è l’atteggiamento mentale che questi strumenti hanno ormai radicalizzato negli studenti, come l’utilizzo di frasi fatte di pochissime parole o la predisposizione a fermarsi al primo risultato che da loro il motore di ricerca. Basterebbe davvero poco, educare i ragazzi al corretto utilizzo della tecnologia.
Nell’ultima maturità abbiamo visto mazzi di fiori e corone d’alloro portate dai genitori fuori dalle aule dove i ragazzi facevano la maturità, un tempo ci si vergognava dei genitori, cosa è cambiato?
Ci ho molto riflettuto e credo che quanto più certi momenti della vita si svuotano di senso, tanto più aumenta un rituale astratto. Oggi il fatto di fare l’esame di maturità, considerando che la maggior parte degli studenti arriva a sostenere l’esame già iscritto all’università, l’esame di maturità non interessa più a nessuno e dunque si accentuano altri aspetti come la corona d’alloro, i mazzi di fiori e volgarità come lanciare la farina o lo spumante addosso ai ragazzi.
Secondo lei è in corso una crisi del ruolo educativo di scuola e genitori?
Credo proprio di sì, so che si dice spesso che i genitori lavorano tanto e stanno poco con i figli e dunque poi si sentono di doverli proteggere in altro modo. Io penso però alla mia generazione, i miei genitori lavoravano, non mi aiutavano a fare i compiti, ma semplicemente forse mi responsabilizzavano di più. Oggi i genitori scrivono mail all’insegnante alle 21.00 di sera per chiedere di non interrogare il figlio, è un tipo di tutela che diseduca a mio avviso. Davanti alle difficoltà che i ragazzi trovano a scuola sono sgomenti, così poi con quelle che incontrano nella vita.
Questo porta anche agli episodi di violenza contro gli insegnanti?
Sì, penso che sia sempre legato al fatto che ormai per gli studenti gli insegnanti non rappresentino molto e dunque nel caso di ragazzi violenti o genitori violenti, ci si rapporta con gli strumenti che queste persone usano nella scuola e altrove.
Nella scuola che vorrei…
…Bisognerebbe avere la pazienza dello scienziato e la passione dell’artista, come dice il mio maestro Raimondi. Io vorrei una scuola che riesca a trasmettere una disciplina del sapere e non si accosti ad ogni cosa con approssimazione e che dia la passione per le cose che si fanno.
Vorrei anche una scuola che non veda l’orientamento degli studenti come qualcosa di burocratico ma come un’istituzione in grado, grazie alla pratica delle discipline, di permettere agli studenti di conoscersi, che è alla base dell’orientamento. Ho sempre detto agli studenti che non devono pensare che chi vogliono essere nella vita sia un’illuminazione che arriva a un certo punto ma che si costruisce andando a fondo nelle cose che si fanno, che significa scoprire le proprie attitudini. Vorrei una scuola che aiutasse i giovani a fare questo, vorrei una scuola in grado di salvarli da tante vite sbagliate.
(da Fanpage)

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