LA FIERA DELL’IPOCRISIA NELLA QUALE IL CAV HA RINCHIUSO GLI ALLEATI
COL RETROPENSIERO DI IMPALLINARLO, SALVINI E MELONI GLI DICONO SI’, DIMOSTRANDO DI ESSERE DEI RONZINI
Ricapitolando, perché è difficile stargli dietro, in questa fiera dell’ipocrisia. Salvini, quello che ieri si era distinto da Berlusconi perché “rimarremo al governo anche senza Draghi”, che aveva fatto dire al capogruppo “serve un piano B sul Colle”, che ne spara una ogni sei ore, oggi dice, udite udite: “Il centrodestra è compatto e convinto nel sostegno a Silvio Berlusconi e non accetta veti”. Bene.
La Meloni, che al pari di Salvini è poco convinta, almeno si risparmia la fatica della recita e in conferenza stampa, ed evita l’argomento, con battuta annessa, perché vorrebbe tanto di dire di no, ma si troverà a dire di sì: “Faccio come Draghi, non rispondo. Ma a me l’applauso non lo fate”. Benissimo.
L’unico convinto e contento è Silvio Berlusconi che però conosce i suoi polli e al vertice di domani a Villa Grande dirà: “Amici miei, non è che possiamo giocare a rimpiattino: voi venite a chiedermi i numeri, dite sì, poi leggo di piani b e c, insomma siete voi che mi dovete dare rassicurazioni sul vostro sostegno compatto. Io mi metto anche in gioco, per me è anche una grande fatica, ma voglio sapere se ci siete fino in fondo”.
Il ragazzo mica è nato ieri, conosce benissimo dubbi, retropensieri, ambizioni dei due giovanotti che lo vivono come un ingombro ma che, per come si è messa, non si possono neanche permettere di dirgli di no.
Metti che si vota, mica ci puoi andare con la coalizione rotta. Per chi poi? Per Frattini o per la Moratti che piace tanto a Salvini? Sulla carta, hanno la stessa sua base di partenza come numeri.
Insomma, li vuole portare al pubblico sostegno, anche se la candidatura non sarà ufficializzata domani, ma almeno dopo la seconda votazione andata a vuoto.
Perché sa bene anche un’altra cosa. E cioè che, dietro l’apparente sostegno, i due cosiddetti alleati coltivano l’idea che venga impallinato nel voto segreto.
E dunque prima di mostrare la lista di quelli del Misto contattati, vuole la lista dei numeri sicuri da cui si parte. Che poi è un’illusione pure questa, perché di sicuro, nel segreto dell’urna c’è poco o niente.
Comunque mica male questa storia, di un’elezione che ancora non inizia ed è già alla quarta chiama: la quintessenza di un imbroglio, costosissimo nell’Italia dell’emergenza e dei trecento morti al giorno, perché è bastato l’annuncio di una candidatura a far impazzire la maionese.
E, se mai fosse, è chiaro che viene giù tutto, come spiegherà Enrico Letta alla direzione del Pd di sabato. Con Berlusconi al Colle si precipita verso il voto. Neanche Draghi e neanche Superman riuscirebbero a domare l’impazzimento generale. L’imbroglio è di una coalizione che non c’è più da tempo e ora consuma l’atto finale: prima Salvini che va al governo coi grillini e gioca ad annettersi Forza Italia, poi la Meloni che resta all’opposizione di Draghi per rubare voti a Salvini, il disastro delle amministrative figlio di ripicche e dispetti, gran finale: tutti fanno finta di sostenere Berlusconi al Colle con l’idea di fregarlo, con tanti auguri per quel succederà il giorno dopo, comunque la si veda il giorno della fine dell’ipocrisia.
In questo gioco degli specchi e degli inganni il premio “tempra” o “attributi” se lo aggiudica comunque il vecchio Silvio: si è autocandidato, senza neanche aspettare una riunione ufficiale del centrodestra, quando lo davano per archiviato o peggio tra una visita e l’altra al San Raffaele, con tutto questo chiacchiericcio è pure risalita Forza Italia nei sondaggi, gli avversari che l’avevano preso sottogamba ora mostrano segni di preoccupazione, gli alleati che lo sdegnavano pure in foto tornano a pranzo a casa Berlusconi con Dudù che scodinzola in giro.
Per farla breve è l’unico in campo, se per caso cambiasse idea e dicesse “Draghi” (o forse anche un altro), il nominato passerebbe in un minuto come la liberazione da un incubo. Che è poi la vecchia idea e speranza di Gianni Letta, il quale, non a caso, ha auspicato, per l’elezione del presidente della Repubblica un clima come quello che si è respirato alla commemorazione di David Sassoli.
Poi non è detto che lo faccia, anzi al momento non sembra proprio, anzi ogni giorno aggiunge un tassello alla costruzione della sua candidatura, come l’endorsement di Manfred Weber, presidente del Ppe arrivato in serata.
Un freddo analista di scenari scriverebbe che è tecnicamente in una posizione di centralità, sia per andare fino in fondo sia per mediare al momento giusto. Sia per impallinare altri di centrodestra quando sarà impallinato, scaricando la colpa su chi domani gli assicurerà il sostegno, vero o finto che sia.
(da Huffingtonpost)
Leave a Reply