LA SINDROME DI ACCERCHIAMENTO DI GIORGIA, PER PAURA DI ESSERE SPIATA, LA PREMIER HA FATTO ALLONTANARE I POLIZIOTTI IN BORGHESE CHE PIANTONANO IL SUO UFFICIO A PALAZZO CHIGI E FANNO “DA FILTRO” AGLI OSPITI: È LA PRIMA VOLTA CHE UN PRESIDENTE DEL CONSIGLIO CHIEDE UNA COSA DEL GENERE
LA MELONA SI FIDA SOLO DELLA SUA SCORTA, GUIDATA DA GIUSEPPE NAPOLI, MARITO DELL’OMBRA DI GIORGIA, L’ASSISTENTE PATRIZIA SCURTI – LA DUCETTA STA PENSANDO DI ASSUMERE UN SUPERCONSULENTE DELLA COMUNICAZIONE, CHE DOVREBBE AFFIANCARE FAZZOLARI
È stato il primo ordine che ha dato al mattino appena arrivata a Palazzo Chigi. Via la polizia dallo spazio adiacente la stanza della presidenza del Consiglio, al primo piano. Giorgia Meloni ha deciso di privarsi del dispositivo di sicurezza che viene garantito dall’ispettorato in servizio permanente nel palazzo del governo.
Un inedito assoluto: mai era successo prima nella storia della Repubblica che il premier chiedesse di fare a meno degli agenti che stazionano in borghese al piano per controllare chi entra e chi esce dal suo ufficio, e in qualche caso anche per accompagnare gli ospiti.
Una decisione che arriva in un clima per l’esecutivo intossicato da scandali, ombre, sospetti, veleni, cospirazioni immaginarie, che la presidente del Consiglio ha quasi sempre assecondato, senza mai nascondere una sua preoccupazione personale, anche se mai fornendo prove pubbliche a sostegno di queste tesi.
Meloni ha comunicato la sua decisione al cerimoniale e all’ispettorato, senza dare spiegazioni ufficiali. Avrebbe anche chiesto, in aggiunta, un maggiore filtro sui commessi più vicini al suo ufficio, sul piano dove stanno anche il capo della segreteria Patrizia Scurti, i sottosegretari alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari, e il capo ufficio stampa Fabrizio Alfano.
Questa dei commessi non è del tutto una novità, perché già Mario Draghi chiese una selezione maggiore tra i dipendenti, pare dopo aver notato, con un certo orrore, uno di loro scamiciato e con il berretto della Roma.
Da quanto La Stampa è riuscita a ricostruire attraverso due diverse fonti di Palazzo Chigi, la premier sostiene di fidarsi ormai solo della propria scorta. Non vuole nessuna persona attorno alla sua porta che non sia di strettissima e provata fiducia, come gli uomini che la seguono ovunque e, in Italia o all’estero, vigilano sulla sua tutela. Tra di loro, com’è noto, c’è Giuseppe Napoli, detto Pino, marito di Scurti, l’ombra di Meloni, la segretaria storica che tutto vede e tutto controlla.
Napoli è arrivato come caposcorta ed è stato lui a selezionare personalmente il resto degli uomini al seguito, lasciando fuori – lontano dalle missioni o in ufficio, a guardare le pareti – molti addetti alla protezione personale dei presidenti del Consiglio che a Palazzo Chigi lavoravano da anni.
Ieri, come ogni mattina, gli agenti di polizia si sono diretti al posto loro assegnato, al primo piano. Poco dopo, il superiore li ha chiamati e li ha fatti scendere. Nuove disposizioni, nient’altro da sapere. La polizia non può che prenderne atto.
Già questo giornale, a fine aprile, aveva raccontato di uno sfogo della premier, con un amico direttore tv a cui aveva confessato di «non fidarsi di nessuno». Una predisposizione caratteriale che nel partito e nel governo hanno imparato a conoscere bene.
D’altronde è stata lei, nel corso di questi 23 mesi di potere a Palazzo Chigi, a spargere sul dibattito pubblico italiano le tesi di opache manovre e regie oscure ai suoi danni. Il terrore della ricattabilità e di essere osservata fin dentro il portone di casa è emerso in più occasioni. Nella conferenza stampa di inizio anno ha evocato un complotto ai suoi danni, ordito «da chi in questa nazione ha pensato di dare le carte», «affaristi, lobbisti e compagnia cantante».
Con chi ce l’ha? le viene chiesto. «Non fatemi dire di più», è la risposta. Meloni non dirà di più neanche nei mesi a seguire, ma lascerà intendere. Evocherà. Due sono i fatti su cui baserebbe queste convinzioni avvolte nella nebbia, ed entrambi tirano in qualche modo in ballo i servizi segreti.
Nella notte tra il 30 novembre e il primo dicembre 2023 – ma si verrà sapere solo ad aprile 2024 – gli agenti della scorta notano ad armeggiare vicino alla Porsche dell’ex compagno Andrea Giambruno, parcheggiata sotto la villetta dove vivono la premier e la figlia, due uomini che si qualificano come colleghi. Poi c’è l’inchiesta di Perugia sui dossieraggi, partita da una denuncia del ministro della Difesa Guido Crosetto e che ha portato a due indagati: un tenente della Guardia di Finanza e uno 007.
Meloni ha ricordato questa inchiesta sabato, a Cernobbio, due giorni prima di privarsi dei poliziotti in servizio davanti al suo ufficio, a Palazzo Chigi. Lo ha fatto per deviare l’attenzione dal caso di Sangiuliano, parlando di «funzionari dello Stato che per anni hanno fatto centinaia di migliaia di accessi illegali alle banche dati per ricattare la gente».
Meloni sta pensando a un superconsulente della comunicazione, che dovrebbe affiancare Fazzolari, il quale resterebbe coordinatore ma più nelle vesti di stratega politico.
(da La Stampa)
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