LA VEGLIA DI SILVIO (E DI LETTA)
IL GIORNO PIÙ LUNGO DELLE LARGHE INTESE, TRA MINACCE DI GUERRA E “CLAUSOLE DI DISSOLVENZA”
Il sentimento dell’attesa è multiforme. Produce sempre un’ampia gamma di emozioni. Oggi è il fatidico Trenta Luglio e nessuno sa cosa succederà nella sezione feriale della Corte di cassazione.
Sussurra un ministro del Pd a microfoni spenti: “Ho ascoltato almeno tre versioni differenti, segno che siamo tutti nel caos”. Dove per “tutti” bisogna davvero intendere tutti, sia il Pdl berlusconiano, sia il Pd della nomenklatura antirenziana.
Per il Pdl, la settimana si è aperta con la speranza del rinvio dell’udienza, variante molto diffusa in queste ore dell’attesa.
Come ha sostenuto ieri l’ex Guardasigilli Nitto Palma, già solerte difensore di Nicola Cosentino alias il Casalese: “Confido nel rinvio”. E con lui tanti altri del fu partito dell’amore. Ma in serata nel cerchio magico del Cavaliere la questione del rinvio sembrava già archiviata.
Effetto, pare, dei conti della Suprema Corte su quando maturerà la prescrizione per B. nel processo sui diritti tv Mediaset. Ai primi di agosto, non a settembre.
Ergo, per evitare uno schiaffo dei giudici, i legali berlusconiani, Coppi in testa, non dovrebbero presentare un’istanza di rinvio.
Nè loro, nè gli avvocati degli altri coimputati. In ogni caso, la riunione decisiva per la strategia processuale di Berlusconi si è tenuta ieri sera.
Politicamente, il Pdl è unito intorno al suo Capo e per quanto il premier Enrico Letta fa sapere da Atene di non avere “timori” sulla tenuta dell’esecutivo delle larghe intese, c’è una battuta dello scaltro Minzolini, oggi senatore del Pdl, che fotografa con una definizione azzeccata le eventuali conseguenze di una condanna: “Una sorta di clausola di dissolvenza del governo”.
Un’altra forma di questa attesa è il vistoso paradosso che sta stritolando il Pd.
I falchi berlusconiani guidati da Daniela Santanchè, detta anche la Pitonessa, da giorni vanno ripetendo il mantra attribuito al Cavaliere: “Con una condanna non saremo noi a implodere, ma il Pd. Loro non riusciranno a reggere l’alleanza con un partito che fa capo a un condannato”.
Così è bastato che un’ultrà berlusconiana come Michaela Bianco-fiore minacciasse le dimissioni di massa dal Parlamento, per costringere Luigi Zanda, canuto capogruppo del Pd al Senato, a un avvertimento: “Il Pd non tollererà reazioni eversive”.
Ossia quelle manifestazioni che i già citati falchi del Pdl non vedono l’ora di mettere in pratica.
Per loro, l’attesa è stata soprattutto insofferenza.
Insofferenza al silenzio imposto dal Cavaliere, insofferenza alla strategia della finta pacificazione, che per i falchi è “un imbroglio per accompagnare B. fuori dalla politica”, come ha scritto Alessandro Sallusti sul Giornale.
In caso di condanna, non aspetteranno neanche il segnale di B. Si tufferanno a bomba sulla sentenza, con esiti imprevedibili.
Dalla piazza all’Aventino parlamentare e a mille altre forme di protesta.
Reggerà il Pd a tutto questo, dopo aver già ingoiato la sospensione dei lavori alle Camere, voluta dal Pdl proprio per il Trenta Luglio, e il Rospo Alfano sullo scandalo Shalabayeva?
Dipende dall’entità del terremoto. Se ci saranno solo calcinacci da rimuovere oppure qualcosa di più serio.
Per il partito del reggente Epifani si stanno pericolosamente incrociando tutti gli elementi per una tempesta perfetta.
Da un lato, una sentenza di condanna di B., appunto.
Dall’altro l’offensiva dei renziani sulle regole del congresso, con le polemiche legate allo slittamento della direzione alla prossima settimana.
Quando, poi, domani, non oggi, si conoscerà il verdetto della Suprema Corte, sempre che non ci sia il rinvio, il caos aumenterà con il sindaco di Firenze che andrà al-l’attacco di Berlusconi in caso di condanna.
Una tattica, la sua, simmetrica a quella dei falchi del Pdl, che spingono per la rottura totale.
Ed è per questo che Gaetano Pecorella, in un’intervista all’Huffington Post, ha ipotizzato un “punto di equilibrio” che salvi il “Sistema”, cioè il sovrano Napolitano, il governo Letta e l’imputato Berlusconi: “È chiaro: non decidere. Si può fare o rinviando la decisione o attraverso l’annullamento con l’appello”.
Tra Arcore e Palazzo Grazioli, dove oggi aspetterà l’esito dell’udienza, circondato, pare, solo da fidanzata e figli, il Cavaliere continua a sfogarsi contro la “persecuzione giudiziaria”.
Per lui il sentimento dell’attesa è soprattutto il pessimismo. Un pessimismo cosmico. Nonostante le strategie dei suoi legali, è convinto che ci sarà “una sentenza già scritta”. Nulla di nuovo sotto il sole.
Un possibile colpo di scena potrebbe essere la sua apparizione all’udienza di stamattina .
Ma i suoi fedelissimi smentiscono categoricamente. Forse, l’unico, vero problema di questa attesa è che l’agonia sarà prolungata almeno fino a domani.
Qualora venisse condannato sarà lui e solo lui a decidere l’entità del terremoto politico.
Ma è impossibile, si sa, fare previsioni sui terremoti. Berlusconi è riuscito a trasformare il Trenta Luglio in un giudizio universale su tutto.
La Boldrini, presidente della Camera, ha provato a ridimensionare e ha parlato di “caso singolo”. Ma si è beccata l’offensiva dei berlusconiani, come in una sorta di prova generale per oggi.
Anche per questo il ministro Delrio, renziano, si è detto “un po’ preoccupato”. Solo un po’.
Per il momento.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotdiano”)
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