LE FERITE NELLE CITTÀ ROSSE RIAPRONO LA SFIDA DEI RENZIANI ALLA VECCHIA GUARDIA
“PERDIAMO DOVE CI SIAMO CHIUSI, DOVE HA PREVALSO LA LOGICA DEL VECCHIO, VINCIAMO DOVE ABBIAMO SAPUTO ESPRIMERE VOLTI E PROGRAMMI NUOVI”
Renzi è partito per il Vietnam alle otto di sera con lo schema preparato da Stefano Bonaccini, il capo dell’organizzazione del Pd.
Previsioni, numeri, l’ipotesi del record di 20 capoluoghi vinti su 28 ma anche il realismo delle contese in bilico. Alla fine il bilancio mostra qualche città simbolo ceduta, alcune conquiste significative.
Ma è una frenata rispetto al trionfo di 15 giorni fa.
«Del record mi è sempre interessato poco – è il ragionamento del premier –. Il risultato delle Europee unito a quello delle amministrative non può essere messo in discussione. Non dimentico le regioni Piemonte e Abruzzo, le vittorie del primo turno. E le riforme vanno avanti, abbiamo la forza per farle».
Sono parole indirizzate a Forza Italia, ai suoi ultimatum sulla riforma del Senato. Ma anche e soprattutto al Partito democratico.
Si sta già aprendo infatti il confronto tra vecchio e nuovo al Nazareno. Come sulle inchieste di Venezia. C’è il rischio di una resa dei conti.
Il corso renziano, lì dove si è perso, ha fatto fatica a farsi largo. Anzi, ha dovuto cedere il passo. Questa è la versione dei fedelissimi. La stessa che ispira il premier. «Perdiamo dove ci siamo chiusi, dove ha prevalso la logica del vecchio. Vinciamo dove ci siamo presentati con nuovi volti e nuovi programmi», è l’analisi dei renziani in contatto comunque via telefono con l’aereo in volo per l’Asia.
Come dire che l’effetto Renzi deve ancora fare breccia nel Pd.
Ci sono le ferite di Padova, Perugia, la sconfitta simbolo di Livorno con la rivincita dei 5stelle.
Attenzione dunque a un Partito democratico dove neanche il 40 per cento mette al riparo da dissidi intestini.
Al Nazareno si fanno i conti con alcune realtà «dove il Pd del passato ha mostrato la corda, dove dobbiamo ancora rinnovare».
È chiaro il riferimento a Padova, la città del bersaniano Zanonato che ha visto la corsa perdente del suo vice Rossi. E a Perugia, dove i renziani puntano l’indice contro il sindaco uscente Wladimiro Boccali, cuperliano, esponente di una sinistra «legata a una logica vecchia».
Come tutta l’Umbria democratica, dicono al Nazareno, una regione rossa che rischia di cambiare verso nel senso di una rendita di posizione ormai logora.
È un colpo duro da digerire la Livorno perduta dopo 70 anni ma, dicono, «in Toscana abbiamo vinto al primo turno Firenze e a Prato strappandola al centrodestra ».
È uno choc anche Perugia, altro simbolo di un potere decennale. Non saranno indolori questi insuccessi, in particolare per i rapporti interni, alla vigilia dell’assemblea dem, se il ragionamento è “i nuovi vincono, i vecchi perdono”.
Ma Renzi ha lasciato detto ai suoi fedelissimi che non si cambia strategia. Basta un niente per mettere in difficoltà le accelerazioni volute da Palazzo Chigi. Serve dunque la spinta finale per non avere ostacoli sulla strada del governo.
Questa poi è la settimana decisiva per chiudere la partita con le correnti in vista dell’assemblea nazionale di sabato dove si sceglierà anche il presidente del partito.
Già venerdì, nel consiglio dei ministri, andranno in porto la riforma della pubblica amministrazione del ministro Madia e il pacchetto anticorruzione in cui saranno compresi i poteri di Raffaele Cantone.
Sono anche sette giorni importanti per l’abolizione del Senato.
Per dare spazio alla discussione e per non forzare, il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi ha fissato la nuova scadenza per l’approvazione in prima lettura della riforma: «Prima della pausa estiva».
Non a fine giugno ma entro luglio dunque. La partita però sarà più chiara da subito. Questa settimana verranno illustrati gli emendamenti.
Va valutata la posizione di Roberto Calderoli relatore di minoranza e di Anna Finocchiaro.
Dalle scelte della Finocchiaro si capirà quali sono le aperture del governo a modifiche. Il no al Senato elettivo rimane.
Di Forza Italia Palazzo Chigi continua a fidarsi. «Semmai – dicono – vediamo come reagirà il Pd dopo i ballottaggi e di fronte a un primo passaggio istituzionale ». Non dimentica, Renzi, che sull’Italicum ha dovuto cedere: fissando la riforma solo per la Camera in attesa dell’abolizione del Senato.
Le resistenze sono state solo seppellite per le elezioni e grazie al risultato straordinario delle Europee ma nessuno scommette sulla loro scomparsa definitiva.
A partire dalla discussione tra vecchio e nuovo destinata ad aprirsi fin da oggi. Dice già in serata Bonaccini: «Il successo generale rimane. Ma sulle ferite delle città simbolo dovremo aprire una riflessione».
Goffredo De Marchis
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