LEADERSHIP BRUCIATE ALLA VELOCITÀ DEL WEB
CHI PARTI’ PER ROTTAMARE E’ FINITO MEZZO ROTTAMATO
Chi partì per rottamare finì (semi)rottamato.
Non è successo esattissimamente così; però, di sicuro il fino a oggi travolgente progetto di partito della nazione subisce una (significativa) battuta d’arresto, e per il presidente del Consiglio-segretario del Pd si moltiplicano, dopo lo scontro oramai all’ultimo sangue con la sinistra interna, i fronti problematici.
Matteo Renzi, che è abituato a vincere, dovrà quindi riparametrare la sua azione e il passo: di qui a brevissimo vedremo se e come lo farà .
La reazione istantanea, così tipicamente “renziana” (e molto nelle corde del suo efficacissimo spin doctor Filippo Sensi), è stata perciò anche quella di imporre un cambiamento di agenda alla discussione di media e opinione pubblica con la visita-lampo al nostro personale militare e civile (al quale vanno, doverosamente, i pensieri di tutti noi) in Afghanistan, dove la tuta mimetica indossata durante il discorso rappresenta indiscutibilmente un’altra tappa dello storytelling del premier (la cui estetica-iconografia richiamava il modello statunitense del Commander-in-chief).
E quello che, pensandoci attentamente, è venuto a mancare in questa importante tornata di consultazioni regionali (evidentemente connotata, come avviene in molti casi e in tanti Paesi, da una valenza politica generale, nonostante i tentativi di depotenziamento della vigilia) è proprio quello che identificava uno dei capisaldi della narrazione del leader dem.
E quanto importante, trattandosi della tematica della velocità .
Rapidità della rottamazione che non è, in tutta evidenza, sbarcata nelle periferie, dove il premier ha dovuto far buon viso a cattiva sorte accettando e sostenendo vari candidati alle presidenze delle Regioni non di sua diretta osservanza (ma risultati, alla fine, vittoriosi), mentre le aspiranti a lui più vicine hanno dovuto bere l’amarissimo calice della sconfitta in Liguria e in Veneto.
Precisamente in quest’ultima regione possiamo misurare l’altro, impressionante e quindi meritevole di più di una riflessione, aspetto del tema “rottamazione” in politica: vale a dire la velocità con la quale si disperde — per una molteplicità di ragioni richiedenti una spiegazione naturalmente multifattoriale — il patrimonio di consensi di un leader nell’epoca della politica e della campagna elettorale postmoderne.
Appunto in quel Veneto che una manciata di ore fa ha ri-plebiscitato il centrodestra (in primo luogo il suo condottiero locale, il bis-governatore Luca Zaia), in occasione delle elezioni europee del 2014 il Pd a trazione renziana era diventato il primo partito con il 37,5%, mentre domenica scorsa è sprofondato al16,6%.
Niente più effetto-Renzi, dunque, nè magic touch del premier: il che significa, in termini più generali, che la macinazione delle leadership si è fatta giustappunto rapidissima.
Questo non vuol dire che non ci possa essere la prova d’appello per i leader, ma di certo la loro parabola presente risulta incomparabile con la longevità delle èlite politiche della Prima (e pure della Seconda) Repubblica.
Effetto collaterale della mediatizzazione, per un verso, e del fenomeno della cosiddetta star-politics, per l’altro, per cui la durata della luna di miele di un politico con i cittadini-elettori risulta paragonabile a quella della carriera professionale (sempre più breve) di una stella del mondo dello spettacolo.
Entra inoltre in gioco una serie di ulteriori fattori rilevanti per spiegare questa rottamazione sempre più inesorabilmente accelerata delle leadership: a partire dal “nuovismo”, che fa invocare a cittadini-elettori sempre più in affanno nelle loro esistenze quotidiane (specialmente in una fase di diffuso disagio sociale quale l’attuale) un ricambio quasi continuo dei leader, dai quali richiedono un miglioramento delle proprie condizioni di vita, mentre invece quote sempre più vaste di policy-making si sono via via spostate ai livelli sovra e transnazionali e le decisioni più importanti si prendono in luoghi che non sono di sicuro le assemblee elettive parlamentari.
Di “conservare” le constituencies elettorali, poi, erano incaricati fino a non troppo tempo fa i vari apparati della catena di comando dei partiti tradizionali che operavano sul territorio: precisamente l’opposto della filosofia della disintermediazione del partito liquido su cui si sono finora fondate le fortune del renzismo.
Col rischio, dunque, alla fin fine, che il presidente del Consiglio si ritrovi di fronte, tra non molto,un partito più liquefatto che liquido, i cui esiti elettorali sono facilmente intuibili vedendo quanto è accaduto in alcune delle regioni in lizza nel fine settimana passato.
Massimiliano Panarari
(da “il Piccolo“)
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