LIBERALIZZAZIONE DELLE SPIAGGE: LA BATTAGLIA CONTRO MONTI DEI BAGNINI
CONCESSIONI DI QUATTRO ANNI, POI CHIUNQUE POTRA’ PARTECIPARE ALLA GARA… LA NOTIZIA FA ARRABBIARE LA COOPERATIVA DEI PROPRIETARI
Addio vecchie spiagge, addio.
Il refrain non lo vogliono proprio cantare questi bagnini romagnoli.
“Guardatevi intorno — ti dicono in mezzo agli stabilimenti imballati in questo assolato e freddo pomeriggio d’inverno — chi pensate che abbia fatto la fortuna di questa terra dove il mare non è bello come da altre parti?”.
C’è tensione alla Cooperativa bagnini, 200 associati.
Un numero che ne fa una potenza in una cittadina di 30 mila abitanti che dalle località di Milano Marittima, giù fino al confine con Cesenatico, in piena stagione conta 500 mila turisti.
Oggi alla riunione con un gruppo di soci il presidente parla in un’assemblea delle notizie poco incoraggianti per la categoria che arrivano da Roma.
“Dobbiamo far capire a Monti che con queste liberalizzazioni magari lo Stato guadagna un po’ di più dalle aste, ma poi al consumatore finale i costi potrebbero aumentare”.
Proprio giovedì nelle bozze del pacchetto liberalizzazioni uscito da Palazzo Chigi, all’articolo 26 si parla esplicitamente del capitolo stabilimenti balneari.
“In conformità alla normativa dell’Unione europea — recita la bozza dell’esecutivo — a tutela della concorrenza, la selezione del concessionario sui beni del demanio marittimo avviene attraverso procedure ad evidenza pubblica trasparenti, competitive e debitamente pubblicizzate, secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. A favore dei precedenti concessionari è riconosciuto un diritto di prelazione, ove adeguino la propria offerta a quella presentata dal concorrente risultato vincitore della procedura”.
Poi la bozza dell’esecutivo prosegue: “Le concessioni non possono avere durata superiore a quattro anni e non possono essere automaticamente prorogate. In ogni caso, per il rinnovo si ricorre a nuove procedure competitive”.
È la concorrenza, bellezza. “Nessuno nega che lo Stato riesca a fare più cassa, e ce n’è bisogno, ma in questo modo si fa un danno enorme ai consumatori”, spiega il presidente della cooperativa della cittadina romagnola, Danilo Piraccini.
Ci tengono a non passare per una casta privilegiata questi bagnini.
Le cronache degli ultimi anni hanno visto la categoria spesso al centro di polemiche proprio per le lunghe concessioni (spesso pluridecennali) e affidate senza gara.
Poi c’è la storia dei canoni, poche migliaia di euro versati allo Stato per interi pezzi di spiaggia: “Sì, lo ammettiamo forse i canoni sono bassi, ma riusciamo a tenere i prezzi bassi grazie a questi canoni. Se domani arriva uno che offre 100 mila euro l’anno poi quell’investimento lo dovrà recuperare sulle spalle dei turisti e sui listini dei servizi di spiagge”.
E poi c’è la paura delle grandi aziende che potrebbero arrivare, prendere più bagni e formare una sorta di oligopolio, magari sollevando i prezzi per guadagnare “tutto e subito” e ripagarsi dei canoni più alti pagati.
“Abbiamo un accesso libero alla battigia, una serie di servizi che vendiamo agli alberghi a 7-8 euro e a un po’ di più ai privati. I prezzi sono bassi e la concorrenza c’è già ”, dice Piraccini. “Qualsiasi legge europea non può mirare a distruggere i posti di lavoro”.
Sulla questione delle lunghe concessioni poi, Piraccini si difende: “Qui a Cervia abbiamo una rotazione media ogni 12 anni e chiunque può comprare una licenza, non è vero che ci si blocca. Ogni anno il 10-15 % degli imprenditori balneari cambia, vende o compra”.
Sono i quattro anni di concessione a spaventare.
Secondo chi guida gli stabilimenti balneari nessuno farebbe un investimento per soli quattro anni col rischio poi di dovere smantellare tutte le strutture, dai casotti ai chioschi, ai giochi. “La nostra industria potrebbe perdere di qualità e di appeal senza investimenti”, spiega Giorgio Lelli che gestisce un bagno a Milano Marittima.
Intanto il Governo proprio venerdì è sembratoi fare parziale marcia indietro aprendo a una soluzione 4 + 4, proprio per evitare la precarizzazione del lavoro e degli investimenti. Ma sono ancora tutte ipotesi, mentre l’Europa preme.
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