MARINI, MA CHE “BELLA SORPRESAâ€
BERSANI PROVA A TENERE INSIEME IL PARTITO ACCORDANDOSI CON BERLUSCONI
La montagna del Pd, alla fine, non partorisce il topolino Amato ma la Repubblica di San Marini, nel senso di Franco, non Francesco come il nuovo pontefice, pilastro ottantenne della nomenklatura di partito, fatta di postcomunisti e postdemocristiani.
A Montecitorio, l’annuncio arriva alle sette di sera, accompagnato dalla relativa Garanzia, con la maiuscola iniziale.
Bersani ha appena detto, dopo una faticosa e convulsa giornata di trattative, che “farà un nome secco” all’assemblea dei parlamentari democratici e i deputati presenti ancora alla Camera confermano: “Il nome è Marini e ha già incontrato Berlusconi”.
È questa, appunto, la Garanzia dell’inciucio edizione 2013.
Marini non solo è un trombato eccellente delle ultime elezioni politiche, cui si è presentato grazie a una deroga alla rottamazione, ma entra Papa in conclave con ben 14 anni di ritardo, come ricorda un furibondo Matteo Renzi, che aveva lo aveva impallinato con una lettera a Repubblica.
Era il 1999 e Marini fece un patto con D’Alema: “Tu a Palazzo Chigi io al Quirinale”. Invece l’intesa non fu rispettata e al Colle ci finì Ciampi.
La soluzione Marini è l’ultimo rigurgito dell’oligarchia del Pd, l’epilogo di un ventennio gestito sempre dalle stesse facce. Bersani sfonda e tritura ogni senso del ridicolo quando alle venti, poco prima della riunione dei gruppi democrat al teatro Capranica di Roma, spiazza i cronisti: “Sarà una bella sorpresa”.
Suspence. Forse il nome di Marini è un depistaggio, la bella sorpresa non può essere lui. Invece no. È proprio così.
Il segretario sale sul podio e spiega ai parlamentari: “Siamo in mare mosso, insieme a una larga coesione servirà esperienza politica, capacità ed esperienza per questo avanzo la candidatura di Franco Marini. Sarà in grado di assicurare la convergenza delle forze politiche di centrodestra e centrosinistra,ha un profilo per essere percepito con un tratto sociale e popolare. È personalità di esperienza con carattere per reggere le onde e con radici nel mondo del lavoro, ed è persona limpida e generosa. Costruttore del centrosinistra”.
Tradotto vuol dire: Marini è il male minore per tentare di non spaccare il partito, con D’Alema e Amato sarebbe stato peggio.
È la vittoria degli ex dc come Beppe Fioroni.
Ma i fatidici mal di pancia non si fanno attendere, grazie ai social network. I primi a sparare sono Renzi e i renziani, che chiedono un voto interno su Marini.
Dice il sindaco di Firenze: “Preferisco Rodotà a Marini”. Anche i giovani turchi come Matteo Orfini non sono entusiasti della bella sorpresa che ha compiuto 80 anni il 9 aprile scorso e chiedono tempo: “Aggiorniamo la riunione”.
I prodiani sono furiosi come i renziani. Minaccia Sandra Zampa: “Non voterò mai Marini”. Figuriamoci i filogrillini come Pippo Civati, quasi tentato di non andare all’assemblea per protesta.
Dov’è il paravento dell’unità e della condivisione dietro cui Bersani nasconde il candidato Marini? Fuori il recinto del Pd non va tanto meglio.
Vendola di Sel, che ha lavorato tutto il giorno per Rodotà , fa sapere che deciderà stamattina.
La Lega di Maroni è possibilista ma ufficialmente voterà una propria parlamentare. Dubbi persino tra i centristi di Scelta Civica.
Tutti indizi, questi, che portano in una sola direzione: l’accordo di Bersani e della ritrovata nomenklatura del Pd, che aveva sopportato senza fiatare gli schiaffi di Grillo, con l’impresentabile Berlusconi.
Tra Bersani e il Cavaliere, tra voci di telefonate e incontri segreti tra i due, è rimbalzata una rosa di cinque nomi, di cui i primi tre veri candidati: Amato, D’Alema, Marini, Finocchiaro, Mattarella.
B. avrebbe preferito Amato o D’Alema ma di fronte al diktat bersaniano sulla sopravvivenza del Pd e sulla necessità di isolare Renzi (sponsor di Amato e in seconda battuta di D’Alema) ha accettato l’anziano ex leader della Cisl, con una lunga militanza nella Democrazia cristiana.
I due, Berlusconi e Marini, si sarebbero pure incontrati nella mattinata di ieri, presente anche Gianni Letta, abruzzese come il candidato del nuovo inciucio.
In serata, il capo del centrodestra spiega così la scelta ai parlamentari del Pdl: “Marini è una persona che conosciamo da tempo, non ha militato nelle nostre file, ma viene dal popolo, lo conosciamo da tanto tempo come segretario della Cisl, sindacato legato alla Dc. Sindacato capace e di buone autonomie. È stato presidente del Senato e con lui Schifani ha avuto degli ottimi rapporti”.
Berlusconi, però, ai suoi fa anche un avvertimento: “Attenzione, non è detto che vada bene tutto al primo voto”.
I sospetti sono concentrati sui franchi tiratori del centrosinistra che potrebbero sabotare l’intesa.
Qualcuno, tra Pd e Pdl, pronostica pure l’ipotesi di bruciare Marini per far salire il vero candidato dell’inciucio: Massimo D’Alema. Tutto da vedere.
Così come la seconda parte dell’intesa: cioè il tipo di governo che nascerà con Marini al Quirinale.
Bersani, in assemblea, ha negato un intreccio tra Colle e Palazzo Chigi, ma circolano già le varie formule di esecutivo.
La più gettonata è un governo di scopo, che duri da uno a due anni, magari guidato dallo stesso Bersani e senza un impegno diretto del Pdl nella compagine dei ministri. In ogni caso l’inciucio nasce oggi. Il resto verrà da sè.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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