MINISTRI POCO TRASPARENTI: SOLO 4 SU 19 PUBBLICANO ON LINE IL 730
ENTRO TRE MESI DALLA NOMINA DOVREBBERO PUBBLICARE LA DICHIARAZIONE DEI REDDITI, I COMPENSI CONNESSI ALLA CARICA E LA SITUAZIONE PATRIMONIALE PROPRIA E DEI CONGIUNTI… MA L’INTERO GOVERNO DISATTENDE LA NORMA
Il viaggio dei politici italiani verso la trasparenza è colmo di ritardi e malfunzionamenti.
A partire dal ministero direttamente coinvolto nell’applicazione del decreto trasparenza (33/2013) entrato in vigore lo scorso 20 aprile e che obbliga tutti i nominati e gli eletti — ministri, viceministri, sottosegretari, sindaci, consiglieri, assessori, presidenti di regione e province — a pubblicare entro tre mesi dalla nomina la dichiarazione dei redditi, i compensi connessi alla carica e la situazione patrimoniale propria e dei parenti entro il secondo grado.
Per intenderci: del coniuge, dei genitori, dei figli, dei nipoti e dei fratelli — se questi sono d’accordo.
E se non lo sono occorre esplicitarlo.
Ministri poco trasparenti
Ebbene, nemmeno il ministro alla Semplificazione e alla Pubblica amministrazione Gianpiero D’Alia ha provato a dare il buon esempio e nella sua scheda biografica del ministero per il momento compare soltanto il curriculum e il conferimento dell’incarico.
Non è il solo: è l’intero governo a disattendere la regola.
Anche quei pochissimi ministri — quattro su diciannove — che invece hanno voluto già rendere online il 730.
Enrico Letta infatti sembra non aver letto con attenzione la normativa e pubblica soltanto nel proprio sito personale, e non in quello di palazzo Chigi, la dichiarazione dei redditi del 2011 senza indicare la situazione patrimoniale nè quella della moglie e dei parenti.
Forse perchè ministro anche per il governo Monti — autore del decreto sulla trasparenza – Enzo Moavero Milanesi è l’unico invece a usare un formulario corretto nella “Scheda trasparenza” del dipartimento delle Politiche europee: anche lui però dimentica di segnalare eventuali situazioni patrimoniali di famigliari e parenti.
Anna Maria Cancellieri, che pure lo scorso anno aveva pubblicato insieme con i colleghi ministri il proprio reddito sul sito del Viminale, non lo ha ancora trasportato sul portale della Giustizia.
Forse attende di consegnare la nuova dichiarazione dei redditi per il 2012, alla quale però dovrà aggiungere gli aggiornamenti imposti dal decreto sulla trasparenza: e dunque anche la situazione patrimoniale del figlio Piergiorgio Pelusi, che proprio lo scorso anno è finito nella bufera per un brutto conflitto di interessi quando venne alla luce che lavorava come top manager alla Telecom, nello stesso ramo d’azienda al quale la madre ministra aveva appena ordinato una nuova commissione milionaria per i braccialetti elettronici destinati ai detenuti.
Dario Franceschini e Nunzia De Girolamo riciclano, come il premier, la documentazione richiesta dai parlamentari — che non soddisfa i requisiti richiesti dalla nuova normativa.
La ministra per le Politiche agricole deve aver pensato che, avendo come marito il deputato Andrea Boccia (Pd), la metà del patrimonio famigliare uscirà online sul sito della Camera.
Parlamentari esentati
Ma si sbaglia, perchè il famoso decreto che rende conoscibili i patrimoni dei politici e dei loro famigliari semplicemente cliccando sul sito delle amministrazioni si applica a tutti ma non ai parlamentari, che continuano perciò a pubblicare il 730, il numero delle macchine e dei pacchetti azionari posseduti e le spese per la propaganda elettorale in maniera del tutto facoltativa.
Insomma, se vogliono possono mettere online la documentazione patrimoniale. Altrimenti per andarla a esaminare occorrerà come sempre fare una speciale richiesta alla Camera e al Senato.
“Per un cittadino ma anche per un giornalista è importante conoscere gli interessi patrimoniali dei parlamentari per svolgere una azione di controllo”, dicono i curatori di OpenPolis, il sito che ha lanciato la campagna #parlamentocasadivetro e che nella scorsa legislatura ha raccolto la lista dei deputati e dei senatori favorevoli alla pubblicazione online dei propri possedimenti, ovvero il 39% degli eletti.
“Concentrarsi sulle buste paga dei parlamentari non fa acquisire informazioni”, continuano gli esperti di Openpolis, “è invece importante sapere che un dato parlamentare ha una moglie che siede nel cda di una importante azienda, oppure che possiede molte azioni di una spa, per poter seguire i suoi interessi nelle varie commissioni, le sue proposte di legge e in generale la sua attività politica”.
È soprattutto importante che i dati, non solo quelli patrimoniali, vengano affissi sulle bacheche virtuali sotto forma di “open data”.
E’ sempre il decreto a imporlo, per favorire la ricerca degli utenti e non condannare cittadini, giornalisti e studiosi a lunghissime sessioni sul web per aprire e poi chiudere il sito di questo o quel politico.
Finora, purtroppo, chi ha pubblicato i propri redditi ha invece usato il pdf scannerizzando moduli cartacei. La pubblicità dei loro averi è garantita, ma non la facile consultazione.
Con la nuova legislatura e con il debutto di numerosi nuovi parlamentari — in primis la pattuglia del Movimento 5 Stelle — è ancora incerto il numero di coloro che hanno acconsentito a rendere conoscibile via web la propria dichiarazione patrimoniale nonostante fossero obbligati a farlo entro il 15 giugno.
Per il momento soltanto il 9% dei senatori lo ha fatto, e nessuno dei deputati.
Alla Camera, assicurano i funzionari addetti alla raccolta dei 730, nei prossimi giorni comincerà la pubblicazione online dei redditi di cinquanta o sessanta rappresentanti e questo ritardo dipenderebbe dal fatto che si è voluto attendere il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi, quest’anno slittato a luglio — ma, ammettono sempre i funzionari, molti deputati non riescono a presentare la documentazione appropriata.
Anche per i volenterosi che daranno il proprio assenso affinchè chiunque possa visionare i loro possedimenti non ci sarà comunque l’obbligo di rendere chiara la situazione patrimoniale o anche soltanto l’esistenza per esempio dei fratelli o dei figli, come è invece imposto per esempio a sindaci e assessori.
E Josefa Idem, che come ministra avrebbe dovuto presentare online tutta la documentazione anche sulla ormai famigerata casa-palestra per la quale ha perso il dicastero alle Pari Opportunità — ma comunque non sarebbe risultata l’irregolarità sul pagamento dell’Imu -, ora come semplice senatrice può anche decidere da regolamento di non pubblicare nulla sul proprio sito personale del Senato.
La rendicontazione inesistente
Esiste però un obbligo di trasparenza, almeno per i senatori.
Si tratta di un regolamento di contabilità interno del Senato approvato lo scorso 16 gennaio secondo il quale ciascun gruppo di senatori dovrà dotarsi di un sito ad hoc dove rendicontare quadrimestre dopo quadrimestre le spese, i mandati di pagamento, gli assegni e i bonifici effettuati nella gestione del gruppo parlamentare soprattutto per quanto riguarda collaboratori e portaborse.
I soldi in ballo non sono pochi: 22 milioni ai senatori, 35 milioni ai deputati. Anche a quelli del Movimento 5 Stelle.
Sul sito del Senato però esiste finora un solo link, quello dei senatori del Partito democratico, all’interno del quale però non è ancora stato stabilito lo spazio per la rendicontazione.
Ancora peggio per tutti i rimanenti gruppi (Pdl, Movimento 5 Stelle, Scelta Civica, Misto e così via) che secondo quanto chiarito dagli uffici del Senato non hanno per il momento predisposto un sito web per il bilancio interno, e necessariamente entro fine luglio dovranno presentare le prime fatture online. I deputati invece sono assolti da questo obbligo, e dovranno presentare un bilancio annuale.
Sindaci in ritardo
La rendicontazione di come vengono spesi i soldi destinati ai gruppi consigliari comunali e regionali è anche un obbligo del decreto-trasparenza, secondo il quale le amministrazioni pubbliche (inclusi Asl, Agenzie delle Entrate, Aziende ospedaliere e servizi sanitari regionali.
Camere di commercio e aziende partecipate dallo Stato) dal 20 aprile scorso devono anche indicare sul proprio sito tra le altre cose anche il conferimento di incarichi dirigenziali a personale esterno con relativi compensi, le paghe per le persone impiegate a tempo determinato magari come ufficio stampa, collaborazione e assistenza ai politici e l’elenco dei beni mobili e immobili.
Una mole di dati difficile da caricare in poco tempo, soprattutto per i Comuni popolosi e le amministrazioni complesse come un ministero.
Basta però una veloce ricognizione per vedere come nessuno dei sindaci di alcune grandi città (Giuliano Pisapia a Milano, Piero Fassino a Torino, Giorgio Orsoni a Venezia, Flavio Tosi a Verona, Virginio Merola a Bologna, Matteo Renzi a Firenze, Luigi de Magistris a Napoli, Michele Emiliano a Bari e Leoluca Orlando a Palermo) abbia ancora provveduto a pubblicare sul sito del proprio Comune la dichiarazione patrimoniale.
L’unico a farlo, sempre però omettendo la dichiarazione dei famigliari, è il sindaco di Parma a 5 stelle, Pizzarotti. Un dettaglio, si dirà .
E in effetti il decreto-trasparenza, in attuazione alla legge anti-corruzione voluta dal governo Monti, in realtà contiene imposizioni molto stringenti affinchè i cittadini possano controllare non solo che un ministro possegga o meno due appartamenti contigui a Bruxelles come dichiarato da Moavero Milanesi, ma che l’intera amministrazione sia gestita in maniera trasparente.
La bussola del ministero che non funziona
Per verificare meglio che questo avvenga l’allora ministro alla Pubblica amministrazione Patroni Griffi, alla presentazione del decreto-trasparenza a febbraio, disse che chiunque avrebbe potuto monitorare l’applicazione della nuova normativa usando la Bussola, strumento informatico consultabile sul sito del ministero.
Peccato però che quella Bussola da febbraio non sia ancora stata aggiornata tenendo conto delle novità contenute nella normativa sulla pubblicazione online, e dunque sia rimasta congelata alle vecchie linee guida.
Rimane per ora impossibile sapere quali e quante amministrazioni pubbliche stiano davvero rendendo consultabili online da chiunque le informazioni imposte dal decreto-trasparenza.
A meno che non si torni al vecchio sistema di cliccare sito per sito, alla ricerca dei dati.
Nonostante la prolungata inutilità della Bussola — che secondo una nota affissa sul sito verrà aggiornata “gradualmente” — è comunque semplice notare come gli elenchi delle amministrazioni da controllare siano ancora carenti mentre la funzione “Dai la tua opinione” è azzerata.
Curioso come il dipartimento della Funzione pubblica si sia dato un alto volto sulla trasparenza secondo i vecchi criteri, perchè alla richiesta di spiegazioni da parte dell’Huffington Post i funzionari si sono chiusi nel massimo riserbo.
Le sanzioni per ritardi e omissioni nella pubblicazione dei dati online è prevista puntualmente dal decreto-trasparenza.
Ai politici che non faranno conoscere via web il proprio patrimonio famigliare potrà essere applicata una sanzione amministrativa e il pagamento fino a 10mila euro, con tanto di comunicazione pubblica della multa anche sul sito della Civit, l’organismo anti-corruzione.
Chi vigila? Il Responsabile della Trasparenza.
Una figura che per il momento nessuna amministrazione controllata per questo articolo rende palese.
Laura Eduati
(da “L’Huffington Post“)
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