NEI PAESI DOVE L’IMMIGRAZIONE E’ DI QUALITA’ I BENEFICI SONO TANGIBILI GRAZIE ALLA MAGGIORE CONCORRENZA
SERVE UN MINISTERO DELL’IMMIGRAZIONE E DELL’INTEGRAZIONE CULTURALE
Nel 1950 nei paesi che oggi compongono l’Unione Europea c’erano 380 milioni di persone, nel 2050 arriveranno a 500 milioni.
Se guardiamo all’altra sponda del Mediterraneo ed ai paesi poco di là del Sahara, le persone erano 128 milioni nel 1950 e saranno 1 miliardo e 120 milioni nel 2050.
Già nel 2005 è avvenuto un sorpasso storico. Per la prima volta da molti secoli gli europei sono in minoranza rispetto agli abitanti delle zone più vicine (alla fine Roma è più vicina a Tripoli che a Londra, Madrid è più vicina a Timbuctu che a Helsinki). Inoltre i nostri vicini, oltre ad essere più numerosi, sono anche più giovani ed in età lavorativa.
A questo fatto aggiungiamo che se prendiamo un cittadino dell’Etiopia con un reddito medio del suo paese (non il più povero) e lo trapiantiamo in Italia dandogli il reddito mediano di uno straniero (16.000 euro contro i 24,000 di un italiano), il suo reddito, a parità di potere di acquisto, sarà 12 volte più alto che nel paese di origine.
Per avere un raffronto storico, all’alba delle migrazioni di massa verso gli Stati Uniti della fine del 1800, il divario tra il salario in Italia ed il salario potenziale che un immigrato poteva ricevere negli USA era di 4 volte; ben inferiore al divario che ora separa il potenziale salario italiano da quello dei paesi di origine degli immigrati.
Il punto essenziale che questi dati ci dicono è che è naturale aspettarsi un aumento delle pressioni migratorie nei prossimi anni, che ci piaccia o no.
Quindi pensare di bloccare completamente l’immigrazione o discuterne in base a sentimenti di pancia è controproducente.
E’ importante imparare a gestire i flussi migratori in maniera attiva e lungimirante, anzichè subirli in modo passivo ed approcciarli come una continua emergenza.
Questo è il modo migliore per rendere l’immigrazione una risorsa e non una minaccia.
Facciamo due esempi legati 1) ai richiedenti asilo e 2) al livello di istruzione degli immigrati.
In Italia ci sono circa 148.000 rifugiati (2,4 ogni 1000 abitanti). Nel 2016 abbiamo ricevuto 123.000 richieste di asilo ed il 60% delle domande processate è stato rigettato.
Per un paragone in Germania ci sono 670.000 rifugiati (8.1 ogni 1000 abitanti) e nel 2016 hanno processato 720.000 richieste di cui il 30% è stato rigettato.
Il problema è che, per vedersi riconosciuto lo status di rifugiati, le persone devono prima arrivare clandestinamente in Italia rischiando la vita, subendo violenze, stupri, e pagando migliaia di euro.
In questi anni pochissime persone (circa 600) sono venute in Italia attraverso il programma di reinsediamento delle Nazioni Unite (UNCHR) che, ad esempio, permetterebbe ad un Siriano di fare domanda di asilo dalla Turchia ed, una volta accettato, potrebbe tranquillamente venire in Italia in aereo.
Negli ultimi due anni negli Stati Uniti sono entrate oltre 160.000 persone con questo programma, in Canada 66.000 ed in Norvegia 5.000 (su 12.000 nuovi ingressi). Questo è un canale d’immigrazione che dovrebbe essere sfruttato meglio.
Invece assistiamo passivamente alle sevizie cui molte persone sono sottoposte prima di applicargli uno dei nostri diritti costituzionali (il diritto di asilo è sancito dall’articolo 10 della Costituzione).
Permettere alle persone di fare domanda di asilo da un paese terzo, senza dover arrivare qua, ci permetterebbe di gestire meglio i flussi migratori legati ai rifugiati.
Ci sono molti aspetti che potrebbero essere migliorati anche nella gestione dei migranti economici, ossia le persone che vengono per migliorare la propria condizione di vita.
In Italia questo tipo d’immigrazione è regolata dal decreto flussi che ogni anno determina il numero di persone che possono essere ammesse nel territorio italiano per motivi di lavoro o di ricongiungimento famigliare.
Tuttavia questo sistema viene utilizzato principalmente per regolarizzare lavoratori stranieri che già risiedono e lavorano in Italia (e che sono arrivate clandestinamente), ma non è un sistema virtuoso di selezione di immigrati all’origine.
Una delle conseguenze di quest’approccio è che l’Italia ha la quota più bassa di immigrati laureati dell’Unione Europea.
Se prendiamo la popolazione tra i 25-54 anni, la fascia più attiva nel mercato del lavoro, solo il 12% degli immigrati è laureato (fra gli italiani siamo al 21%).
In Germania invece gli immigrati laureati sono il 25%, in Francia il 33% e nel Regno Unito il 54%.
Una politica d’immigrazione volta a selezionare ed attrarre talenti sarebbe un vantaggio per tutti.
Ad esempio, a Londra avevo un bravissimo dentista nigeriano (con laurea inglese) che per otturazioni ed altre questioni dentali costava 50-80 euro in meno che un dentista a Roma o a Pavia.
Allo stesso modo un oculista od altri tipi di prestazioni professionali, spesso fornite da stranieri, costavano meno e la qualità era quantomeno la stessa che in Italia.
Uno dei motivi è proprio l’abbondanza di offerta di professionisti, grazie anche al contributo degli immigrati.
Ci sono tanti aspetti legati all’immigrazione che meriterebbero una discussione come l’integrazione, la criminalità , gli effetti sul mercato del lavoro e quello sulle finanze pubbliche.
Il lavoro di molti ricercatori ci dice che spesso ci sono più luci che ombre riguardo a questi temi.
Il punto di fondo è che l’immigrazione sarà uno dei fenomeni più importanti di questo secolo. Al momento il nostro dibattito è fermo allo Ius Soli, ma è probabile che l’immigrazione sarà un tema di campagna elettorale così come lo è stato in Francia, Germania ed USA.
Speriamo che il dibattito non sia uno scontro ideologico del “tutti fuori” o “tutti dentro”, ma che si parli della visione di lungo periodo e di come elaborare un assetto istituzionale e legislativo che ci permetta di affrontare al meglio questi fenomeni.
Le leggi principali che regolano i flussi migratori come la Bossi-Fini o la Turco-Napolitano sono di oltre 15 anni fa. E’ necessario istituire un “Ministero dell’Immigrazione e dell’Integrazione Culturale”, perchè un fenomeno così complesso e rilevante, necessita d’attenzioni specifiche affinchè possa essere una risorsa per il Paese.
(da “La Repubblica”)
L’autore è docente di economia presso il Trinity College Dublin e research associate del Center for Economic Performance della LSE
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