NEL TRASLOCO DI NAPOLITANO ANCHE UNO SCATOLONE COLMO DI PREOCCUPAZIONE PER LA SCELTA DEL SUCCESSORE
IL PRESIDENTE HA CONSIGLIATO UNA FIGURA “COMPETENTE E AUTOREVOLE”… MA RENZI NON VUOLE NESSUNO CHE GLI FACCIA OMBRA
C’è anche uno scatolone colmo di preoccupazione, nel trasloco di Giorgio Napolitano dal Quirinale alla sua stanza da senatore a vita palazzo Giustiniani, dove libri e documenti sono stati già messi in ordine con grande precisione.
La preoccupazione che il vuoto che si lascerà alle spalle non sarà riempito secondo quella logica politica che ha ispirato i suoi ultimi consigli e le sue ultime riflessioni pubbliche, come il messaggio agli italiani dell’ultimo dell’anno, nel quali in molti hanno letto il profilo del successore auspicato.
La logica di Napolitano porta a una figura con un rilevante grado di preparazione, competenza, credibilità internazionale. In una parola, di autorevolezza.
E chissà se il colloquio con Matteo Renzi, salito al Colle per un confronto sul discorso di bilancio del semestre europeo è stato l’occasione, l’ennesima, per ricordare al premier quanto questa logica politica possa essere preziosa in un momento particolarmente complicato, segnato da vecchi problemi legati alla crisi economica e da nuove paure dopo i fatti di Parigi.
Ed è particolarmente significativo l’esito di un sondaggio odierno che, al tempo stesso, mentre certifica un calo di fiducia del governo continua ad attestare che proprio l’attuale capo dello Stato continua ad essere in vetta alla classifica della fiducia degli italiani.
C’è in questo dato a giudizio di molti, nel Palazzo, una conferma di quella logica.
Il bisogno di autorevolezza al Quirinale che verrà , pari a quella del Quirinale che c’è. È come dire che anche il paese chiede un’attenzione ai “fondamentali”, si sarebbe detto nel vecchio Pci, più che a quei dettagli — estetici ed emotivi – attorno a cui si sta polarizzando il dibattito sul capo dello Stato che verrà .
È certo che, dopo il colloquio, lo scatolone della preoccupazione non è apparso più leggero.
E il suo “peso” si spiega con le informazioni che trapelano da palazzo Chigi, dove raccontano che Renzi è rimasto particolarmente colpito, quasi toccato, dalla manifestazione di Parigi.
Certamente dall’orgoglio democratico dei francesi, e certamente dalla solidarietà delle classi dirigenti europee.
Ma, in certa misura, è come se avesse acquistato maggiore consapevolezza del suo ruolo. Nel senso che il premier si sente — almeno così raccontano i suoi — politicamente “maturo” — si potrebbe dire anche credibile e autorevole — anche sullo scenario internazionale.
Dunque non bisognoso di una figura al Quirinale che, sui dossier economici e internazionali, possa rappresentare un interlocutore affidabile per cancellerie e mondi che contano, come accadde con Napolitano nel terribile autunno del 2011.
È questo un punto cruciale della riflessione che Renzi ha condiviso con i suoi collaboratori, e che evidentemente segna la distanza con gli auspici dell’attuale inquilino del Colle.
Il mandato di Napolitano, comunque lo si giudichi e il premier ne dà un giudizio positivo, fa “precedente”.
È cioè difficile che chi verrà dopo resetti il ruolo riportandolo a una funzione prettamente notarile e di garanzia.
Ecco perchè una figura forte, dopo poco tempo, potrebbe diventare un nuovo “re”.
E c’entra fino a un certo punto la preoccupazione di Renzi per uno che, per dirla con i maligni, “possa fargli ombra”.
Nella ricerca del profilo c’è un ragionamento tutto politico e molto poco mediatico e che consiste nel riportare il baricentro decisionale della politica dal Quirinale a palazzo Chigi.
Anche lo spin filtrato da palazzo Chigi ai giornali che, se non si elegge un capo dello Stato entro il Quarto scrutinio a quel punto si va a votare, è stato da molti interpretato non solo come una minaccia per tenere compatte le truppe del Pd con la paura, ma anche come un segnale proprio in vista del Colle.
Detto in modo grezzo suona così: i governi si fanno a palazzo Chigi e il Quirinale ratifica.
Ecco, e nomina sunt consequentia rerum: il nuovo capo dello Stato è figlio dei questa “logica”, non di quella dell’attuale inquilino del Colle.
Ed è per questo che è cruciale arrivare all’appuntamento delle elezioni presidenziali con la legge elettorale incassata.
Il premier, proprio per favorire l’approvazione, avrebbe preferito che Napolitano non si dimettesse nel pieno della discussione al Senato. Fonti autorevoli del Pd che hanno un’interlocuzione costante col Colle raccontano che proprio nel colloquio odierno c’è stato l’ultimo, discreto tentativo di chiedere al capo dello Stato una settimana al massimo, per favorire l’approvazione al Senato della legge elettorale secondo quei tempi che ha illustrato, nel suo colloquio al Colle, il ministro Boschi.
Tentativo che palazzo Chigi smentisce e che avrebbe avuto lo stesso esito dei tentativi precedenti.
Perchè, sono queste le parole che più volte ha usato Napolitano nelle ultime settimane, “per il capo dello Stato le dimissioni sono un atto personale che non ha nesso con null’altro”.
La data resta quella di mercoledì 14 gennaio.
E sono stati riempiti gli scatoloni, con libri, documenti e anche preoccupazioni.
(da “Huffingtonpost”)
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