“PAPILLON NON SI ARRENDE PERCHE’ CONOSCE LA LIBERTA'”
INTERVISTA ALL’ETOLOGO ENRICO ALLEVA: “SIAMO NOI A DOVERCI RICORDARE COME SI CONVIVE CON GLI ORSI”
“Papillon ha una fortissima motivazione a tornare libero perchè sa di potercela fare. Per questo non mi stupisce che sia evaso una seconda volta. Il dibattito, più che su come limitare questa sua maestria e plasticità comportamentale, dovrebbe concentrarsi su come recuperare quei pilastri di tolleranza che regolavano la convivenza tra uomini e orsi generazioni addietro, nell’Italia contadina. E soprattutto non dobbiamo dimenticare che se abbiamo rivoluto gli orsi nelle montagne del Trentino è stato per tutelare un ecosistema il cui equilibrio dovrebbe starci a cuore”.
Enrico Alleva, etologo e accademico dei Lincei, presidente della Federazione italiana scienze della natura e dell’ambiente, non vuole partecipare alla tifoseria da stadio che rumoreggia attorno alla vicenda di M49, in arte Papillon, l’orso evaso per la seconda volta dal Centro faunistico del Casteller.
A lui interessa che gli umani capiscano che è ora di tornare a scuola dai nostri nonni, smettendoci di sentirci padroni del mondo.
Professor Alleva, Papillon è evaso di nuovo: questa volta ha divelto la rete di protezione che lo teneva rinchiuso. Il presidente della Provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, ha assicurato che verrà localizzato presto perchè provvisto di radio-collare. Il ministro Costa chiede che non venga rinchiuso e assolutamente non abbattuto; la Coldiretti chiede di garantire la sicurezza di cittadini e stalle. La stupisce questa evoluzione?
“Non è facile prevedere tecnicamente la maestria e la plasticità comportamentale di animali selvatici tutto sommato poco noti, anche perchè elusivi, come sono gli orsi. Non mi stupisce più di tanto che Papillon, avendo una fortissima motivazione a tornare libero (cosa che non succede negli animali nei giardini zoologici e nei bioparchi), sia in qualche modo riuscito a farcela. In generale, il problema di gestire questi animali detti problematici è legato a quanto poco le popolazioni locali conoscono della storia naturale e dell’etologia di queste specie (è un discorso che vale per l’orso come per il lupo e tanti altri animali)”.
Cosa ci insegna la tenace voglia di libertà di Papillon?
“Sulla fuga posso dire che un animale che già una volta è riuscito a escogitare un sistema per scappare, certamente sarà molto motivato a tentare tantissime strategie. Un animale abituato a stare in gabbia ovviamente non conosce questa possibilità , quindi utilizzare i sistemi messi a punto in tanti anni nei giardini zoologici non è l’approccio giusto. Questi sono animali che hanno una prestanza fisica diversa rispetto a quelli cresciuti in cattività , magari presi da piccoli, un po’ rachitici, o già vecchi”.
Nelle ultime settimane sono stati segnalati diversi incontri ravvicinati, tra cui un’aggressione. Si denunciano attacchi a malve e a bivacchi di esemplari in cerca di cibo. Come è possibile la convivenza tra umani e orsi?
“La gestione di questi animali più problematici non è semplice; probabilmente ci sarebbe bisogno di un monitoraggio continuo. Di sicuro è necessario uno sforzo per ri-alfabetizzare le popolazioni locali della specie umana. Se l’Italia rurale – quella del Fascismo e della Seconda Guerra Mondiale, per non parlare di ancora prima — si basava su una cultura contadina per cui il contatto con queste specie era tradizionale e veniva raccontato fin da bambini, le generazioni di oggi non hanno idea di quali sono i pilastri della reciproca tolleranza tra uomini e orsi. Oggi il cittadino metropolitano non ha più questa continuità di antropologia culturale, e quindi si spaventa, ha reazioni qualche volta troppo intrusive, è troppo curioso, vuole fare foto e video… Non mi sento di fare una anamnesi degli incontri riportati di recente, anche perchè i racconti sono sempre pittoreschi e menzogneri, soprattutto nelle enfatizzazioni dei media. Comunque diciamo che il lupo di Cappuccetto Rosso non c’è più, il concetto di paura ancestrale fa parte di una cultura delle favole che non si incontra più con la tradizione rurale, e quindi perde d’impatto”.
Ma cosa fare in caso di incontro con un orso? Quali comportamenti sono assolutamente da evitare?
“C’è una regola fondamentale: quando un essere della specie Homo sapiens incontra un orso o un lupo chi ha più paura non è Homo sapiens perchè l’uomo è un vero pericolo per quelle specie. Quindi il nostro problema è che abbiamo davanti un animale spaventato e quindi potenzialmente irritabile. Occorre – suggerisce Alleva – trattarlo in modo che non pensi che lo stiamo per aggredire, perchè nella sua mente l’uomo è un predatore. Poi se ci sono i cuccioli ovviamente non bisogna mettersi tra la mamma e i cuccioli ma questo ormai è una banalità . Ma soprattutto se ci si accorge che un orso prende troppa confidenza con i cassonetti dei rifiuti bisogna segnalarlo alle autorità e su questo c’è un’attività della Federazione italiana scienze della natura e dell’ambiente nei confronti delle stesse autorità ”.
Il comportamento umano, insomma, è da considerarsi in molti casi il principale indiziato…
“L’umanità è diventata sempre più ricca, affluente e sprecona. Per questi animali la crescente e massiccia produzione di immondizia diventa un richiamo, un’attrattiva. Questo discorso vale soprattutto per quegli esemplari particolarmente curiosi ed esplorativi dotati di un basso livello di neofobia, come diciamo noi etologi. Sono animali che mostrano poca paura per le novità e con i quali gli incontri, soprattutto in presenza di disattenzioni umane, rischiano di farsi più frequenti. Come sanno bene nelle zone abituate a gestire gli orsi — ad esempio nel parco di Yellowstone, Yoghi e Bubu insegnano — quando gli animali tendono a diventare troppo poco spaventati e ad accorciare le distanze, quella è la fase in cui intervenire prima che succeda qualcosa. Lì ad esempio c’è una cultura in cui ti insegnano cosa attrae un orso, dall’odore del dentifricio all’effluvio delle provviste del campeggiatore, e si impongono regole molto ferree, come l’istituzione di zone in cui, nelle stagioni riproduttive, i turisti non hanno accesso o hanno accesso limitato”.
Crede che da noi gli esperti non siano tenuti nella giusta considerazione?
“Bisognerebbe ascoltare di più gli esperti competenti. Può succedere che ci siano degli attriti tra gli amministrazioni locali e i tecnici. Da presidente della Federazione Italiana Scienze della Natura e dell’Ambiente, devo dire che se chi governa i territori tenesse in maggiore considerazione gli esperti, molti problemi sarebbero risolvibili.
Auspico che si possa usare questo momento di contrasto anche per diffondere una cultura. Ci si scorda che alcuni grossi mammiferi si sono spostati in Italia quando c’è stata la guerra in Jugoslavia, e hanno capito che il rischio di finire in un campo minato era molto elevato. Spesso ci si dimentica delle ragioni che spingono gli animali a spostarsi. Le attività umane, in maniera diretta o indiretta, hanno sempre un ruolo”.
Il progetto di ripopolamento dell’orso in Trentino sta avendo successo, è considerato un modello a livello europeo. Vuole sottolineare il perchè?
“Purtroppo l’Europa ha delle nazioni come la Romania o la stessa Francia o la Svizzera dove le organizzazioni che si occupano di pastorizia sono molto ascoltate, mentre l’impegno ad esempio del Wwf in Italia ha promosso una tradizione di zoofilia e militanza per la biodiversità . E’ un punto importante perchè se una specie passa il confine, cosa che normalmente fa, rischia di sentirsi molto protetta da una parte e dunque di fidarsi eccessivamente di quelle popolazioni lì, mentre sa che dall’altra parte farebbe una pessima fine. Non va mai scordato che questi predatori sono dei regolatori molto importanti delle popolazioni di prede. I botanici o chi si occupa del naturale rinnovarsi dei boschi sa che alcune specie di caprioli o di cervi divorano in maniera sistematica tutti gli alberi giovani, impedendo al bosco di rinnovarsi visto che anche gli alberi muoiono di vecchiaia. Non sono specie che stanno lì solo perchè ci piace l’idea che siano lì, a farsi avvistare dal turista col binocolo: sono elementi chiave di regolazione degli ecosistemi, senza i quali poi si verificano degli squilibri. Fanno parte della storia naturale delle zone in cui sono tornati”.
Cosa si sente di dire a chi chiede la reclusione o addirittura l’abbattimento di questi animali?
“Generalmente queste specie, se sono governate con un minimo di saggezza, non danno grandi problemi. I casi più fastidiosi possono essere prevenuti, anche se non al 100%. Cedere alle soluzioni apparentemente più semplici non è mai una buona idea. Prendiamo un branco di lupi: se si abbattono alcuni esemplari, è possibile che il branco, indebolito, sia più propenso a prendere di mira le pecore. La Federazione italiana scienze della natura e dell’ambiente, con le sue Società di Botanica, Etologia e di Ecologia, è a disposizione degli amministratori locali proprio per fornire quei consigli tecnici che poi diventano una sorta di ventaglio di opzioni per decidere. La natura è interconnessa, dobbiamo rimparare le sue leggi fondamentali”.
(da “Huffingtonpost”)
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