PARLAMENTO RIBELLE E MANOVRA ELETTORALE: SI VA VERSO LE URNE?
VOTI SUL FILO DI LANA, MAGGIORANZA IN AFFANNO E IN DISSOLUZIONE PER LOTTE INTESTINE… MENTRE RENZI USA ARMI DI DISTRAZIONE DI MASSA
Nella pancia parlamentare del Pd raccontano che l’altra sera, al Senato, il merito di aver salvato la nota di aggiornamento del Def sul filo di lana è stato di Enrico Morando.
Un tempo, dal Pds in poi, Morando era l’uomo di partito esperto di leggi finanziarie e adesso che all’Economia ci sta da viceministro, il suo ruolo è spesso decisivo.
Suo infatti sarebbe stato il compito di convincere e agganciare i voti necessari per non soccombere: l’ex grillino Orellana e il senatore del Pd dimissionario Tocci, senza dimenticare un’altra manciata di civatiani dissidenti sull’articolo 18.
Alla fine, la maggioranza di Renzi ha raggiunto il suo punto più basso: appena 161 voti, sufficienti sì per l’approvazione, ma un chiaro segnale d’allarme per il futuro
E che, nella giornata del Consiglio dei ministri sulla legge di Stabilità , in Parlamento ha ripreso quota lo scenario del voto anticipato, vero argomento di discussione che tiene banco tra senatori e deputati.
Ieri sera, per esempio, a Palazzo Madama l’ennesima fiducia, stavolta sul decreto per gli stadi, è passata con un altro voto “minimo”, 164.
A questo punto è sempre più chiaro un ulteriore aspetto della delicata e complicata fase politica del renzismo: la guerra tra il premier e il Parlamento.
Parlamento che non ha “eletto” o “nominato” lui, bensì il suo predecessore alla guida del Pd, Bersani.
Proprio da parte dei bersaniani è in corso da settimane un conflitto a bassa intensità per logorare Renzi tra Montecitorio e Palazzo Madama.
Il caso più vistoso è quello delle continue votazioni a vuoto dei due giudici della Corte costituzionali.
Confessa un democrat di minoranza che non ha mai votato Luciano Violante, indicato dal Colle in quota Pd: “Siamo almeno 40 che boicottiamo Violante e il patto del Nazareno”.
Un problema interno, quindi. Un grosso problema interno per il premier. Non solo.
Se lo spauracchio è ogni volta il Senato, fino a quando i renziani dovranno fare di conto per calcolare le assenze strategiche, quelle occasionali, il soccorso azzurro e finanche i quotidiani cambi di casacca tra i centristi irrequieti di Alfano e Casini?
È lo stesso scenario già vissuto da Prodi nel biennio 2006-2008, nello stesso posto, al Senato, e anche da Berlusconi nella legislatura successiva, quando alla Camera sopravvisse per un po’ con i Responsabili di Scilipoti e Razzi al posto degli scissionisti di Gianfranco Fini.
In questo scenario, che per il momento coincide con la realtà autunnale, Renzi è sotto tiro e ricatto in modo costante.
Orellana come Scilipoti non è un paragone azzardato. Chi saranno i prossimi e quale sarà la contrattazione?
Ma vedere il premier ripiegare sul metodo Verdini (lo sherpa berlusconiano del patto del Nazareno, protagonista delle più clamorose compravendite di parlamentari per conto di B.) sembra quasi innaturale. Altro che rottamazione. Altro che cambiare verso.
Senza dimenticare che se Forza Italia decidesse di fare opposizione sul serio, al Senato la maggioranza andrebbe giù in pochissimo, come nel tragico inverno dell’ultimo Prodi, quello del 2008
Poi c’è il paradosso più eclatante di questa fase (la politica italiana è eternamente bizantina e democristiana): i guerriglieri bersaniani che tengono l’odiato “Matteo” sulla graticola non tireranno la corda fino all’ultimo.
Altrimenti l’articolo 18 avrebbe fornito la piattaforma perfetta per una rottura clamorosa, per una crisi di governo e persino per il lancio di un nuovo partito.
Tutto ciò non è accaduto perchè nei gruppi parlamentari eletti nel febbraio del 2013, in epoca prerenziana, prevalgono convenienze di parte e istinto di autoconservazione. E qui si arriva all’incognita più grande dell’attuale quadro: lo stesso premier.
Non a caso, l’ipotesi della manovra elettorale viene attribuita a lui sia dagli amici sia dai nemici
Tra Renzi e il voto anticipato c’è certamente il macigno della successione annunciata di Napolitano (anche se adesso circolano voci che smentiscono un addio a gennaio), ma la verità è che il premier non ha ancora deciso quale strada scegliere.
Se la scilipotizzazione della sua maggioranza, sotto ricatto e sotto la tutela del soccorso azzurro oppure la tentazione di ribaltare tutto (compreso il tavolo europeo) e giocarsi la carta del voto anticipato a primavera.
L’altra sera, ad Arcore, Berlusconi con alcuni suoi commensali si è detto fiducioso che Renzi non sceglierà la strada del voto anticipato. A Silvio, con il crollo di FI, conviene lucrare sulla sua ritrovata centralità quanto più a lungo possibile, magari con un Renzi 2.
Ma gli ultras del premier non dimenticano mai di far presente che “l’istinto di Matteo non è quello di campicchiare, è l’opposto”. Cioè, le urne.
Colle permettendo.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano”)
Leave a Reply