POKER DI PAPABILI AL COLLE: PRODI IN ASCESA TRA I RENZIANI
SARA’ IN OCCASIONE DELL’ASSEMBLEA DEI GRANDI ELETTORI DEM CHE SI CAPIRA’ SE ESISTE UN NOME IN GRADO DI REGGERE IL VOTO SEGRETO
Inutile girarci intorno.
Se il capo dello Stato deve uscire da una rosa approvata dall’assemblea dei Grandi elettori del Pd è dentro quel partito, o intorno a esso, che vanno accesi i riflettori.
Per evitare agguati o crisi di rigetto, Renzi infatti sa bene che un nome dem ha più probabilità di passare attraverso l’ordalia del voto segreto.
In questi giorni, prima della chiusura delle Camere, nei capannelli dei parlamentari Pd la discussione si è già accesa. Non su vaghi identikit, come impone la liturgia mediatica. Ma su nomi e cognomi.
E benchè nel partito abbia molti, moltissimi avversari, in fondo il primo personaggio a dominare le conversazioni, per status internazionale, per il prestigio interno di cui ancora gode, è sempre Romano Prodi.
Se una rosa deve essere offerta a Grillo e Berlusconi uno dei petali non può che essere lui, due volte premier e poi presidente della Commissione europea.
Personalità troppo ingombrante per Renzi?
Michele Anzaldi, renziano della prima ora, non lo crede affatto: «Nel 2013 Renzi ci disse di votare Prodi, è una leggenda che tra i 101 traditori ci fossimo noi».
Certo, c’è il problema di Berlusconi. Ma la “teoria Minzolini”, quella che vede in Prodi l’unico presidente che potrebbe opporsi davvero se il premier volesse andare al voto anticipato, sta facendo proseliti in Forza Italia.
«Non c’è un veto pregiudiziale su nessuno», si ripete dal cerchio magico di Arcore, nonostante Giovanni Toti di recente abbia sconsigliato la candidatura “troppo divisiva” del Professore.
Sta di fatto che i prodiani doc sono sempre più orbitanti intorno al capo del governo.
Dal sottosegretario Sandro Gozi, ormai fisso in televisione a difendere il governo, fino ad Arturo Parisi, che ha interpretato l’idea renziana di “partito della nazione” come realizzazione del sogno maggioritario dell’Ulivo.
Per non parlare del sottosegretario Graziano Delrio, non a caso presente quando Prodi varcò tre settimane fa il portone di Palazzo Chigi per un colloquio inevitabilmente interpretato anche come atto d’ingresso tra i “papabili”
Ma a dominare le chiacchiere da Transatlantico, lasciando da parte i nomi più o meno esotici, ci sono anche esponenti della vecchia guardia.
Come Walter Veltroni, di nuovo in auge dopo un offuscamento dovuto allo schizzo di fango di Mafia Capitale, che ha visto coinvolto un suo ex collaboratore (Luca Odevaine). Veltroni risulta del tutto estraneo alla vicenda e le sue quotazioni sono di nuovo in crescita.
Se non altro perchè è stato il pioniere della vocazione maggioritaria e fondatore del partito. Oltretutto, a differenza di Prodi, Veltroni può vantare una benevola neutralità da parte di Berlusconi.
Tanto che in Parlamento c’era in questi giorni chi ricordava non solo la campagna elettorale del 2008, all’insegna del fair play (addio al Caimano, l’ex Cavaliere era semplicemente «il leader dello schieramento a noi avverso»), ma anche quell’antico sdoganamento che l’allora capo della propaganda del Pci fece a Berlusconi nel 1986, invitandolo a un dibattito alla festa dell’Unità .
Certo, come Prodi anche Veltroni è ugualmente detestato da una parte ormai minoritaria del partito.
Potrebbero riaccendersi nei suoi confronti gli odi tribali che portarono al pugnalamento di Prodi? Secondo Walter Verini, ex braccio destro di Veltroni oggi deputato dem, lo spettro del 2013 ormai è dissolto: «Da quei giorni tutto è cambiato. Allora nei gruppi del Pd, figli delle parlamentarie, c’era grandissima inesperienza, c’era gente spaventata e pronta a cambiare idea al primo stormir di fronda sui social network. Oggi siamo tutti più maturi».
Seguendo la pista interna si incontrano però altri due nomi nella top list dei candidabili.
Il primo è stato segretario dei Ds e vanta ancora molte simpatie tra i bersaniani, dopotutto ha fatto la gavetta nella “Ditta”: Piero Fassino, sindaco di Torino, presidente Anci e, soprattutto, una lunga preparazione in campo internazionale.
Su di lui potrebbero convergere sia i renziani che Areadem.
Poi c’è Dario Franceschini, che nei gruppi conta meno sostenitori ma resta una figura di riferimento. Soprattutto, pur essendo stato segretario del Pd, nelle sue vene scorre l’antico sangue democristiano. Il vento potrebbe volgersi a suo favore se per il Quirinale tornasse a valere il principio dell’alternanza laico-cattolico.
Se questi sono gli umori che si raccolgono nei gruppi dem, le voci del mondo renziano puntano anche su un’altra figura, del tutto estranea alla politica: Raffaele Cantone. Invocato da Renzi come santino ovunque si sia verificato uno scandalo, dall’Expo al Mose a Roma Capitale, sarebbe difficile per chiunque opporsi alla sua candidatura. Marco Follini, nel 2006 tra i king maker di Napolitano, oggi punterebbe su di lui: «Sarebbe un segnale fortissimo che l’Italia dà all’estero».
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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