RAZOV E IL RUOLO DELL’AMBASCIATA RUSSA A ROMA
UNA CARRIERA NEL PARTITO COMUNISTA DELL’URSS… ORA AMA LE FESTE E LE TERRAZZE ROMANE
Il 2 giugno, per la prima volta, non è stato invitato al Quirinale e c’è rimasto male, l’ambasciatore russo Sergey Razov: «La politica è politica – ha sospirato amaro – ma in tutti questi anni io e mia moglie abbiamo assistito con grande piacere al solenne ricevimento del presidente della Repubblica Italiana».
Ecco, però, che entro pochissimi giorni, l’ambasciatore offeso potrebbe già consumare la sua «vendetta», perché dopo due anni di pandemia, il 12 giugno, tornerà in presenza la festa per la Giornata della Russia a Villa Abamelek, la sua residenza romana immersa in un parco di 27 ettari nei pressi del Gianicolo, con più di mille invitati, tra diplomatici, politici, addetti militari, fuochi pirotecnici e musica dell’Inguscezia, come da tradizione.
E allora attenti agli inviti: nel 2018 c’era già Matteo Salvini (con Gianluca Savoini) all’epoca ministro dell’Interno. Salvini che poi in ambasciata è diventato quasi un habitué: quattro gli incontri con Razov negli ultimi mesi accompagnato dal suo consulente Antonio Capuano per preparare il viaggio a Mosca, poi tramontato.
E quest’ anno? «Le relazioni sono come un mosaico, cose belle e meno belle», ama dire sempre Razov, che voleva passare per colomba prima che gli spuntassero gli artigli del falco: «Lui combina l’arroganza con la spregiudicatezza», disse una volta l’ex deputato (FI) Fabrizio Cicchitto.
Già il cognome suona bellicoso: Razov.
E al di là delle frasi ad effetto – «Abbiamo teso una mano di aiuto agli italiani e ora qualcuno vuole mordere questa mano» – il primo a mordere di solito è lui, 69 anni, ambasciatore da 9 per l’Italia e San Marino. Come due giorni fa, quando ha fatto pubblicare sul profilo Facebook dell’ambasciata un dossier di attacco all’Italia del ministero degli Affari Esteri di Mosca.
O come quando dopo l’invio delle armi in Ucraina disse: «È come cercare di spegnere il fuoco col cherosene, le sanzioni non resteranno senza risposta».
Tra il 1975 e il 1990, la sua carriera è interna al Partito comunista dell’Urss. Poi lascia per la diplomazia. Parla bene l’italiano, l’inglese, il polacco e il cinese (è stato ambasciatore anche in Mongolia, Polonia, Cina).
Sposato, due figli, Razov è scaltro, preferisce lavorare sottotraccia, ma le terrazze di Roma non gli dispiacciono. Se lo ricordano ancora in Campidoglio, in un’ottobrata del 2019, insieme ai principi Sforza, l’ambasciatore Umberto Vattani, Maria Pia Ruspoli, fare al microfono il discorso di saluto per il Premio Pushkin.
E va molto fiero anche delle sue onorificenze: per esempio l’Ordine dell’Amicizia della Federazione Russa, una stella raggiante in oro in cui campeggia il globo terrestre circondato da una corona d’olivo. Sul retro l’iscrizione in cirillico «Pace e Amicizia». Si fa per dire.
(da Corriere della Sera)
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