REATO DI CLANDESTINITA’: UNA LEGGE INUTILE
PROCESSI SURREALI A STRANIERI CHE NON SI PRESENTANO… A GENOVA I PRIMI TRE PROCESSI CON CONDANNE VIRTUALI DAVANTI AL GIUDICE DI PACE: ALLA FINE NON VIENE ESPULSO NESSUNO… ALTRO CHE PUGNO DI FERRO E “CERTEZZA DELL’ESPULSIONE”, E’ TUTTA UNA FARSA
La legge simbolo del nuovo pacchetto sicurezza ( alias “pacco”), il reato di clandestinità che trasforma in criminale chiunque sia sprovvisto del permesso di soggiorno (anche se ha un documento valido e non ha mai commesso reati), il “pugno di ferro” contro gli immigrati irregolari, i processi con “certezza dell’espulsione” (termine usato dal sassofonista Maroni), insomma tutta la retorica sfornata nelle scorse settimane dall’intellighenzia leghista (si fa per dire, ovvio), va in scena due giorni fa per la prima volta davanti a un giudice di pace di Genova.
Ne dà un dettagliato resoconto il “Secolo XIX”, con un cronista attento a seguire le tre udienze fissate, con dibattimento virtuale, visto che dei tre imputati non c’e’ traccia, tanto da far sbottare il giudice “Tutto questo non serve a niente, è una legge inutile”.
Nessuno degli extracomunitari denunciati era presente, nessuno è stato cacciato, nonostante le condanne.
Per la clandestinità semplice non è previsto l’arresto e gli stranieri hanno avuto tutto il tempo di dileguarsi in attesa che andasse in scena il giudizio.
Il primo convitato di pietra è stato un albanese di 22 anni, fermato il 9 agosto mentre lavorava come muratore nei lavori di ristrutturazione di uno stabile.
Il restyling aveva infastidito un paio di inquilini che avevano chiamato i vigili. L’albanese aveva passaporto regolare, nessun precedente, ma senza permesso di soggiorno ha commesso un crimine. Portato in Questura, sottoposto a foto segnaletiche e rilasciato in vista dell’udienza di 10 giorni dopo. Ovviamente nessuno l’ha mai più visto.
La pena prevista dalla legge in questo caso è da 5.000 a 10.000 euro di ammenda, convertibile in espulsione.
L’avvocato difensore chiede se qualcuno sa se il Questore gli ha ordinato di lasciare l’Italia con foglio scritto: nessuno sa nulla.
Il legale chiede: ma se l’albanese avesse lasciato il nostro Paese di sua iniziativa che senso avrebbe il processo? Perplessità di tutti.
Il giudice di pace condanna a 5.000 euro, convertibili in espulsione. Tanto la multa non la paga nessuno e del clandestino non c’è traccia.
Seconda udienza, tocca a un tunisino di 27 anni fermato da una pattuglia della Finanza per un controllo. Non aveva documenti, solita trafila in Questura, non c’era posto nei Cie ( Centri identificazione ed espulsione) e viene lasciato libero in attesa del processo.
Il suo legale fa notare che indirizzo e telefono del suo studio, rilasciati al tunisino per contattarlo, erano sbagliati e non c’era indicato il reato di cui era accusato.
In pratica il tunisino non sarebbe stato informato nè del reato contestatogli, nè sarebbe stato messo nelle condizioni di contattare il legale. Perplessità in sala.
Il giudice commina la solita condanna virtuale.
Terzo caso: un tunisino fermato dai carabinieri, con la solita trafila. Ovviamente non si presenta, ma anche se si fosse presentato sarebbe cambiato poco, perchè non c’è nessuno dei due carabinieri che l’avevano fermato. Sono entrambi a riposo: “zeru testimonianze”, processo rinviato.
E la mattinata è finita: i processi per clandestinità che dovrebbero garantire la sicurezza dei cittadini funzionano così.
Se qualcuno era rimasto perplesso per le nostre critiche al “pacco sicurezza”, ora ne ha la prova tangibile.
Basta frequentare un tribunale e assistere ai processi virtuali dell’era maroniana…
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