RENZI PROMETTE CENTO EURO (NON SUOI) E VA ALLA PIAZZA CONTRO PIAZZA
IL 25 OTTOBRE, CON I SINDACATI A SAN GIOVANNI, PRESIDIA LA LEOPOLDA A FIRENZE
“Ci hanno anche risolto il problema di chi ci fa la manifestazione contro mentre facciamo la Leopolda”. Così Matteo Renzi che si fa intervistare da Ballarò nel cortile di Palazzo Chigi, il giorno dopo la direzione del Pd.
E va al frontale con Susanna Camusso. Un’altra promessa: “Cento euro in busta paga dal recupero del Tfr”.
E la leader Cgil derubrica “un altro annuncio roboante”. Mentre promette un autunno caldo: “Non è finita qui”, dice.
E giura al Jobs act “una strada costellata dalla mobilitazione”.
La contrapposizione fisica oltre che ideologica è in programma per il 25 ottobre: manifestazione sindacale a Roma a San Giovanni, a Firenze la Leopolda renziana.
Un po’ l’altro partito, l’altra direzione, l’altro popolo. E via di questo passo. “Ho grande rispetto per i sindacati. Ma dov’erano negli anni in cui si creava il precariato e i diritti dei ragazzi venivano cancellati? Tornano in piazza ora? Bene! Viva! Che bello! Ma io nel frattempo non mollo”.
C’è da giurare che le esclamazioni di giubilo del presidente del Consiglio siano sincere.
Ieri, Confindustria attraverso il Sole24 ore, gli ha fatto qualche rilievo sulle modifiche votate in direzione all’articolo 18: il reintegro previsto per motivi disciplinari produrrebbe una riforma “annacquata” per gli elementi di incertezza introdotti alle imprese.
“Se D’Alema non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. Tutte le volte che parla guadagno un punto nei sondaggi”, dice, non a caso, Renzi.
E in effetti, senza l’attacco in direzione del Lìder Maximo e di Bersani alla fine sarebbe risultato evidente che il premier una mediazione comunque l’ha fatta, mentre invece è passato esattamente il messaggio che lui voleva trasmettere: l’asfaltamento dell’articolo 18.
I nemici a Renzi non dispiacciono. Ma è anche alla ricerca di amici: tant’è vero che sabato va ad Assisi, per le celebrazioni di San Francesco, con tanto di discorso alla nazione. La Chiesa è meglio non averla contro.
La Camusso comunque tiene aperto un fronte caldo, proprio il giorno dopo le divisioni di una minoranza dem, che stenta a trovare una linea politica.
E che a Palazzo Madama, dove il jobs act è alla prova dell’aula, avrebbe pure i numeri per contare.
Non per niente, l’inizio delle votazioni è slittato da oggi alla settimana prossima: si cerca una mediazione.
Ma poi, Renzi vuole chiudere per mercoledì notte. E la fiducia è un’ipotesi che sale.
Il governo sulla Carta ha 167 voti. Ma l’incognita sono 30-40 senatori del Pd.
In 38 hanno firmato degli emendamenti (Magda Zanoni, dei “giovani turchi” ritirerà la firma).
Al netto di questi, ci sono circa 25 bersaniani e una decina tra civatiani (Ricchiuti, Albano, Casson, Mineo, Lo Giudice, Tocci) e dissidenti spuri (come Corsini e Dirindin). Che faranno?
Ieri mattina in Senato c’è stata la riunione del gruppo dem.
Nessun voto, mentre il capogruppo Zanda annunciava un “possibile emendamento del governo” alla legge delega. Toni bassi.
“A nessuno gliene importa niente del merito”, racconta chi c’era. Ognuno cerca di capire come si metterà .
Non a caso sia Vannino Chiti (il portabandiera dell’opposizione alla riforma costituzionale), che il bersaniano Gotor o Casson parlano di aperture positive e di ricerca di una mediazione.
La palla comunque è al governo. “Terremo conto di tutta la nostra ampia maggioranza”, spiega il vice segretario Pd, Guerini.
Perchè Ncd non è proprio contenta di come la direzione ha indicato la strada.
E poi, il governo vuole evitare che il licenziamento disciplinare diventi una variabile troppo ampia: dunque, bisognerà capire come scriverlo.
La strada più semplice per trattare con la minoranza, ovvero recepire alcuni emendamenti, potrebbe non essere quella da percorrere.
Se la mediazione è troppo complicata il governo metterà la fiducia. Con la promessa di modificare qualcosa alla Camera e tenendosi le mani libere per inserire le cose vere nei decreti attuativi.
Il più ribelle di tutti, Civati: “Allora servirà una valutazione politica. Perchè far cadere il governo potrebbe essere disastroso. Ma sia chiaro che mettere la fiducia è una sconfitta di Renzi”.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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