SENATO, LA LOTTERIA DELLA RIFORMA
L’ANALISI DEL COSTITUZIONALISTA AINIS: SERVE UNO PSICHIATRA
Finalmente la politica ha deciso: il nuovo Senato verrà eletto all’Enalotto.
È l’esito del voto schizofrenico con cui la commissione Affari costituzionali ha avviato la riforma.
Un voto al quadrato, dal quale sbucano fuori due Senati: uno eletto (secondo l’ordine del giorno Calderoli), l’altro no (secondo il testo del governo).
Ma se è per questo, d’ora in avanti ci concederemo pure il lusso di due Stati: uno centralista (quello di Renzi, che toglie competenze alle Regioni), l’altro federalista (quello di Calderoli, che invece le incrementa).
E il doppio Stato, col suo doppio Senato, timbrerà la doppia legge: una per mano dei soli deputati (così vuole il governo), l’altra con il voto d’ambedue le Camere (così vuole l’ordine del giorno).
Insomma, troppa grazia. Ma altresì troppa disgrazia, ad ascoltare gli improperi che rimbombano dai fronti contrapposti.
Con Berlusconi accusato di tradimento sia da Renzi sia da Calderoli; ma il delitto è inevitabile, se hai due mogli in casa.
D’altronde in questa pièce teatrale sono tutti bigami, nessuno escluso.
Anzi: c’è chi è diventato trigamo, crepi l’astinenza.
È il caso del Pd: una maggioranza (con Forza Italia) sulla legge elettorale, un’altra (con Alfano) sul governo, una terza (ma esiste?) sulle riforme costituzionali.
Il simbolo della nuova stagione è Mario Mauro: ha votato entrambi i testi.
L’uomo che vuole e disvuole. Subito infilzato dal medesimo anatema che già trafisse il dissenziente Chiti: cerca soltanto un po’ di visibilità . Da chi? Dagli elettori.
Se non altro, ora abbiamo compreso il nostro ruolo: quello dei guardoni.
Ma forse è meglio distogliere lo sguardo, tanto non è proprio un belvedere. Per i miopi, giganteggia invece l’argomento con cui la presidente Finocchiaro ha archiviato l’incidente: l’ordine del giorno Calderoli sarebbe al più un consiglio, una preghiera
Dal precetto alla prece.
Quanto al tormentone sull’elezione del Senato, si profila un compromesso: decideranno le singole Regioni, ciascuna a modo suo.
Avremo quindi pattuglie di senatori eletti, nominati, premiati, sorteggiati. Dal federalismo fiscale al separatismo elettorale.
Ci sarebbe da allarmarsi, se l’intenzione fosse seria. Tranquilli, non lo è. Si tratta semplicemente d’una finta, un’ammuina.
Fino alle europee, nessuno caverà un ragno dal buco.
E dopo? Se vince Grillo, perderà l’Italicum: per Berlusconi troppo rischioso il ballottaggio. Se vince quest’ultimo, il presidenzialismo tornerà di moda.
Peccato che ogni Costituzione rifiuti i vezzi del momento: se è una Carta a modo, non passa mai di moda. Non a caso quella degli Usa risale al 1787, quando nel Far West giravano gli Apache.
Ma intanto non resta che aspettare. E magari stilare un promemoria, per quando verrà il tempo delle decisioni.
Primo: nel testo del governo, non è tutto oro ciò che luccica. Però non è nemmeno una patacca. L’idea dei sindaci in Senato, per esempio: magari sono troppi, ma l’idea non è affatto malvagia. O i 21 senatori nominati dal capo dello Stato: suona bislacca la nomina (un partito del presidente, suvvia), non altrettanto i nominati.
Se Palazzo Madama svolgerà un ruolo di garanzia costituzionale, ben vengano esperienze e competenze. Basta trovare un altro criterio per selezionarle, non è così difficile.
Secondo: la legge sui partiti. E quella sulle lobby. E le primarie regolamentate. E il nodo della rappresentanza femminile. E la par condicio. E il conflitto d’interessi.
Fino all’altro ieri tutti questi temi sembravano impellenti, adesso sono caduti nell’oblio.
Sarà che la nostra attenzione è instabile e nevrotica, come quella d’un bambino. O forse sarà che i partiti, sotto sotto, non ne vogliono sapere. Ma la malattia del sistema politico italiano scava nel corpaccione dei partiti, e da lì contagia poi le istituzioni.
Se curi soltanto le seconde, ti limiti alla superficie del problema.
Come il malato che si rivolga al sarto, anzichè al medico condotto.
Però in questo caso serve uno specialista patentato.
Quale? Lo psichiatra.
Michele Ainis
(da “il Corriere della Sera“)
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