SU BONAFEDE I GRILLINI HANNO UN’IDEA: FAR FINTA DI NIENTE, DOPO AVERCI ROTTO I MARONI PER ANNI CON LA TRASPARENZA
LA STRADA MAESTRA SAREBBE QUELLA DI CONVOCARE IL MAGISTRATO DI MATTEO IN COMMISSIONE ANTIMAFIA PERCHE’ POSSA ARGOMENTARE LE SUE ACCUSE AL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, MA PER FARLO BISOGNA AVERE LE PALLE E LA COSCIENZA PULITA
Mettersi tutto alle spalle. O mettere a tacere, a seconda dell’accezione che gli si vuol dare. Il Movimento 5 stelle deve archiviare al più presto la querelle che ha visto opposti Nino Di Matteo e Alfonso Bonafede.
Uno scontro pazzesco, tremendo, tra un membro del Csm e il Guardasigilli, su un argomento che, se fosse preso sul serio, sarebbe ai prodromi di un secondo processo Stato-mafia. I pentastellati contano sull’effimero contemporaneo, per cui tutto viene lasciato alle spalle, e archiviata in tre o quattro giorni la polemica si passa a sbranarsi su quella successiva.
Per le identità dei due protagonisti, oltre alla lacerazione istituzionale di un pm che chiama una trasmissione in prima serata per accusare il ministro della Giustizia di essersi lasciato influenzare dai capi mafia nel non dagli una nomina, il problema è tutto interno al Movimento.
Perchè coinvolge un tetragono dell’ortodossia come Bonafede e un santino delle battaglie giustizialiste di anni quale Di Matteo. Le chat sono infuocate, i sostenitori del magistrato sono una minoranza ma ben nutrita, ma i parlamentari sono stati invitati al silenzio.
Dopo una giornata di videoconferenze, messaggi e telefonate, e diversi contatti tra il ministro e Giuseppe Conte, lunedì sera sono uscite in batteria, i vertici, premier compreso, hanno rotto un silenzio di ore. Con due costanti, in tutte le dichiarazioni e le note: la difesa del titolare della Giustizia e la rimozione totale del nome di Di Matteo.
Un membro dell’esecutivo ragiona: “Alfonso è totalmente dalla parte del torto, ma questa storia ha un duplice aspetto potenzialmente esplosivo: risveglia antiche inimicizie contro uno che per anni è stato fedele a Di Maio, e vede come controparte uno che il nostro mondo non può attaccare”.
Sono un’estrema minoranza (ma ci sono) quelli che dicono non a torto che “se fosse stato di un altro partito saremmo già in piazza a protestare violando i dpcm”.
Ha riscosso un enorme successo, perlomeno di condivisioni, l’editoriale mattutino di Marco Travaglio, che ha plasmato i termini delle discussioni fra onorevoli e senatori per tutto il giorno: la destra non può permettersi di difendere uno come Di Matteo che ha sempre attaccato; tra i due è stato solo un malinteso.
Una decisione politica, dunque, quella di poche, concentrate nel tempo e stringate dichiarazioni di sostegno e poi più il nulla. Ma si vocifera – notizia che non trova conferme ufficiali – che ci sia stato anche un discreto lavorio dal Quirinale per sminare il campo periglioso, con uno scontro al fulmicotone tra il ministro di Giustizia e un componente di quel Csm di cui Mattarella presiede. Il Csm stesso, fatto salvo per una dichiarazione dei tre laici eletti in quota Csm, si è ritirato in una torre d’avorio di silenzio.
Italia viva si è tenuta ben lontana dal reiterare le minacce di sfiducia individuale. I renziani hanno sì chiesto che Bonafede riferisca in Parlamento, ma negano con convinzione di voler percorrere una simile strada.
Bonafede è entrato nel meccanismo perverso alimentato per anni dal grillismo, quel clima per cui Leonardo Pucci, vice capo di Gabinetto del ministro, si sente in dovere di dire all’Adnkronos di non essere stato sponsor di Basentini all’epoca della nomina che lo preferì a Di Matteo, come se il compito dello staff apicale di un ministero non fosse anche quello di consigliare il ministro.
Una situazione paradossale, dalla quale l’unico che sembra difendere Bonafede tout court è il Pd. In tanti si sono espressi in questa direzione, uno per tutti il vicesegretario Andrea Orlando: Non si dimette un ministro per un dibattito in tv, Bonafede si è detto disposto a riferire in Parlamento”.
Si notino bene le parole: in Parlamento. Perchè il tentativo è quello di disinnescare un’informativa in aula, magari in diretta tv. E’ pendente una richiesta di convocazione in commissione Antimafia per Bonafede, avanzata un mesetto fa, nelle ore delle rivolte delle carceri. Proprio la settimana scorsa il presidente Nicola Morra ha annunciato la disponibilità del ministro a essere audito.
Un intervento in commissione, che inglobi oltre alla specifica difesa sul punto una relazione completa delle attività delle ultime settimane sarebbe assai meno dirompente. Oltre a evitare una casuale ma pericolosa saldatura con le istanze in queste ore sbandierate da Matteo Salvini.
“Bonafede aveva il rapporto del Gom sul tavolo già il 9 giugno – spiega una fonte Dem che ha studiato il dossier – Di Matteo lo ha incontrato il 18. Dire che abbia cambiato idea per quel rapporto è indimostrabile, una pura illazione”. La conclusione, che è anche un auspicio: “Finirà tutto in una bolla di sapone”.
(da “Huffingtonpost”)
Leave a Reply